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Webtax cancellata, problema rimasto

Creato il 10 marzo 2014 da Db @dariobonacina

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Al termine di un iter alquanto tortuoso,  la cosiddetta webtax è stata accantonata, ma solo per quanto riguarda l’obbligo, per le aziende che fanno business via Internet, di avere una partita IVA italiana: resta in vigore, per le imprese, la regolamentazione dei pagamenti – che potranno essere effettuati solo con bonifico bancario o postale, o con altri strumenti da cui si possa identificare la corrispondente partita IVA del beneficiario – così come rimangono in piedi anche il requisito della stabile organizzazione e la tracciabilità dei profitti.

Per quanto possa sembrare – ed essere – una soluzione impercorribile così com’è stata concepita, la proposta della webtax testimonia un problema molto serio legato alle opportunità di elusione fiscale da parte di molte grandi aziende. E’ un problema di dimensioni rilevanti e, dato che riguarda realtà che operano su mercati di livello internazionale grazie al regime di libera concorrenza, non può essere affrontato solamente a livello locale e non va pensato unicamente con orientamento ai business legati ad Internet (l’elusione fiscale, i paradisi fiscali esistono da quando esiste il fisco, non da quando esiste la rete), anche se sono quelli che generano i numeri meno visibili: tanto per rendere l’idea del fatto che la questione è più ampia del Vecchio Continente, è sufficiente notare che Google ha la sua base negli USA, ma ha sedi anche in Irlanda, Olanda e Bermuda, e si stima che – in virtù dei differenti regimi fiscali in vigore in questi stati – nel 2012 il risparmio fiscale negli Stati Uniti sia stato pari a 2 miliardi di dollari.

A soluzioni mirate ad evitare il profit shifting (l’opportunità di veicolare profitti nei paradisi fiscali e non avere utili imponibili negli stati in cui si opera) stanno lavorando, in ottica internazionale, la Commissione Europea e l’OCSE, lavorando su due fronti: uno è ovviamente quello fiscale, perché la disinvoltura delle multinazionali che operano su Internet è foriera di danni dal punto di vista delle entrate pubbliche, ma c’è anche da osservare la concorrenzialità dell’ampio mercato in cui queste aziende si muovono, dal momento che sfruttano agevolazioni che danno loro un enorme vantaggio nei confronti di altre aziende, incluse quelle della GDO (Grande Distribuzione Organizzata).

Esiste già una direttiva europea – la n.112 del 2006 – in cui, anche in seguito a modifiche successive, è stato previsto che gli Stati UE possano pretendere il pagamento delle tasse dove vengono erogati i servizi. L’entrata in vigore di questa norma è fissata per il gennaio 2015, ma non si escludono slittamenti. Sarebbe opportuno che non si verificassero: le distorsioni fiscali e di mercato sono già andate oltre ogni limite tollerabile e la proposta della webtax, seppur con le sue criticità, ha avuto un effetto positivo nell’evidenziare la questione e portarla ad alti livelli di discussione, che dovranno tradursi in fatti.



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