Nel visitare i luoghi della prima trilogia è raro incrociare un segnale che indichi dove Frodo e compagni si nascondevano dall’armata dell’oscuro Sauron. Non è chiaro, se non ai più appassionati, dove siano state girate le scene del film, e nonostante l’accessibilità di molte di queste aree, si contanto sulle dita le compagnie che organizzano tour nei luoghi di culto del Signore Degli Anelli. È strano, se ci si pensa, che nessuno abbia ancora tentato di sfruttare il fenomeno che soltanto nel 2004 ha visto arrivare oltre 150.000 turisti che hanno ammesso di visitare la Nuova Zelanda ispirati principalmente dall’ormai leggendaria saga di Tolkien. Ma il bello di Aotearoa, della Terra di Mezzo, è proprio questo, che come spiega David Perks, il responsabile di Positively Wellington Tourism, non ha interesse a mettersi in vetrina per le grandi produzioni o i set cinematografici, ma più per l’idea che anche i luoghi più semplici da raggiungere possano diventare magici grazie alla sola fantasia, anche quando riportati al naturale.
Oggi, per la premier dell’Hobbit, sono attese 30.000 persone in Courtney Place. Sulla via principale della Capitale che si dirige verso l’Embassy Theatre, dove la proiezione avrà atto dalle 21:00, un tappeto rosso della lunghezza di 500 metri e del peso di oltre tre tonnellate e mezzo è stato steso durante la notte. Le strade, già addobbate da giorni, sono state chiuse al traffico e già da ieri sera i fan più sfegatati si sono ritrovati per accamparsi e non rischiare di perdersi la posizione migliore ai bordi del red carpet.
Il film in arrivo ha trasformato la città dalla testa ai piedi. Non è soltanto l’enorme riproduzione di Gandalf il Grigio, che dalla facciata dell’Embassy sembra controllare l’attività sottostante, e non è neanche il gigantesco schermo che mostra il conto alla rovescia sopra le porte del cinema di Kent Terrace. È il Gollum lungo 13 metri che accoglie tutti i nuovi arrivati nel terminal principale dell’aeroporto, è l’immagine delle cascate della Terra di Mezzo che copre interamente la facciata del Clemenger Building e farà di sfondo alla grande parata, e infine i tredici gnomi, alti sei metri l’uno, che si susseguono sul tetto dell’ufficio centrale delle Poste, uno dei più imponenti edifici del waterfront. Ci sono poi i francobolli ad edizione limitata, il grande mercato artigianale del Waitangi Park, gli “Hobbit Menu” di decine di ristoranti del centro, e le vetrine di piccoli negozi che cercano di esprimere in modo creativo l’eccitazione per l’evento che concluderà qusto anno che ha visto seguirsi un successo dopo l’altro.Per Peter Jackson è un sogno diventato realtà. Sempre vicino alla sua comunità, il regista di Pukerua Bay, ai confini della Capitale, ama la sua terra come pochi, e in un classico patriottismo kiwi, è riuscito a trasformare la sua città natale nella Hollywood del Sud Pacifico, ma non senza sforzi. La sua biografia, “Peter Jackson – A Film Maker’s Journey”, racconta degli inizi quando le prime pellicole venivano girate con budget di dodici dollari, fino agli anni recenti, alla fondazione dei premiati studi Weta Workshop e Weta Digital, che oggi sono casa di un progetto che ha coinvolto un cast internazionale di oltre 2.000 persone, ed ha sviluppato quello che è il più grande investimento nella storia delle produzioni cinematorgafiche neozelandesi e tra i maggiori del mondo, oltre a poter vantare ben 5 oscar. Iniziate nel Marzo 2011, le riprese per l’Hobbit sono durate oltre un anno e mezzo, con gli ultimi ritocchi effettuati soltanto giorni prima della premier, come si può vedere dai video blog che Jackson regolarmente pubblica sulla sua pagina di Facebook, come a voler aggiornare i suoi compaesani più curiosi. Ed è soltanto durante il corso di questa milionaria impresa che è avvenuta la decisione di trasformare quello che doveva essere un unico lungometraggio in un’altra trilogia, con altri due film che saranno rilasciati nel 2013 e nel 2014.
Fa quasi ridere ricordare quando la pisolante Miramar, la frazione di Wellington occupata dagli studi Weta, fu invasa per la prima volta dal cast del Signore degli Anelli. I locali, come sempre rilassati e socievoli nei confronti di chiunque incroci la loro strada, oggi si sono adeguati a questo via vai di star americane, e l’industria dell’ospitalità in primo luogo, sia a Miramar che nel resto della città, è cresciuta ed ha aumentato gli standard fino ad attirare l’attenzione del New York Times, che ha esplorato i vari caffè e ristoranti del luogo per capire il gusto degli attori, e la disponibilità dei kiwi nei loro confronti. Elijah Wood e Martin Freeman sono soltanto i primi ad ammettere di sentirsi a casa ogni volta che hanno l’occasione di tornare downunder, e non hanno mancato neanche questa volta di provare alcuni dei nuovi locali più in voga tra gli abitanti della zona, mangiando ad Ancestral, il risorante ispirato alla Shanghai degli anni ’30, in Courtney Place, lunedì, e poi ad Ambeli, in Mt. Victoria, martedì sera, la notte prima del grande evento.
“Hollywood as God intended it” fu la descrizione del regista messicano Guillermo Del Toro, quando visitò questa compatta città sulla punta meridionale dell’Isola Nord, ed è proprio grazie allo spirito creativo portato dall’industria cinematografica e dal misto di culture dei nuovi espatriati che Wellington, nel 2010, è stata nominata “Coolest little Capital of the World” dalla famosa casa editrice Lonely Planet, quando, come ogni Novemebre, ha stilato la classifica dei dieci luoghi da non perdere nell’anno a venire. Su quest’onda l’intenzione di montare sulle colline circostanti l’aeroporto un enorme serie di lettere bianche dicenti “Wellywood” sullo stile della capitale del cinema americana, poi abbandonata da un animato dibattito popolare, è stata un altro segnale di un luogo che sì, si sta facendo notare, ma riesce anche a prendersi in giro e non montarsi troppo la testa.
E in questo Mercoledì di fine Novembre, dove i riflettori del mondo del cinema sono tutti puntati sulla piccola Capitale, Hollywood è il riferimento che per primo salta in mente, il luogo che si è volutamente deciso di evitare, per sostenere una Terra piccola, nascosta, e forse l’ultima dove tutto ciò di magico che ci viene offerto, può ancora essere una realtà.