Al di là del film, oggi, girando per le zone della città degli studi, ho appresso una cosa in particolare sui milanesi: non parcheggiano come gli svizzeri, in questo sono italianissimi.
Tra le conversazioni della giornata, come sempre tante, mi è rimasta impresa una che ho fatto con due milanesi di adozione. Parlando con il responsabile di un hotel e con una sua collaboratrice, lui salernitano e lei filippina, si diceva che ultimamente nel Nord sono molto aumentati i casi di suicido per colpa della crisi. La cronaca di questi mesi, infatti, è piena di storie di persone che, travolte in un modo o nell’altro dalla recessione economica, si concludono in tragedia. Una scelta molto discutibile, non solo per me ma anche per i miei interlocutori.
Mentre parlavamo delle mie intenzioni di stabilirmi a Milano e cercare qui un lavoro, al telegiornale hanno comunicato l’ennesimo suicidio, proprio qui in Lombardia, a Brescia, un suicido-omicidio. La notizia ha confermato, in tutti noi, due cose: la discutibilità di una scelta simile; e la mancanza di relazione tra la vita e il fattore economico.
Senza voler fare il moralista, ritengo che la crisi – e non voglio mancare di rispetto a nessuno – è diventata la scusa per giustificare i nostri fallimenti, i nostri squilibri mentali, la nostra incapacità di far fronte alla vita. Io penso che se uno si suicida, lo fa perché lo vuole fare e non certo perché manca il lavoro o perché ha molti debiti. Penso che sia una mancanza di rispetto nei confronti di tutte quelle persone che, per esempio malate, vorrebbero vivere. Credo che ultimamente i media seguano con più attenzione il fenomeno e che a volte lo spirito di emulazione sia una brutta bestia. Ricordo per esempio il periodo dei sassi dai cavalcavia.
E per fortuna non solo l’unico a pensarla così e la cosa mi conforta.
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