mar 12, 2014 Scritto da miriambarone
Quel che spesso capita alle idee sperimentali sociali brillanti e innovative è che inizino a circolare tra i network e la rete, fino a che diventano movimenti mondiali o comunque conosciuti al di là delle aspettative. Di esempi in questo senso se ne hanno diversi: il fenomeno Femen, che dall’Ucrania è dilagato e si è fatto conoscere in tutta Europa, o l’Occupy movement, che partito da Wall Street contro la disuguaglianza economica e sociale ha raggiunto circa 85 città statunitensi.
La stessa fortunata sorte è toccata ad un movimento – pacifico, e soprattutto dilagante sui social – che mira, in maniera simile a quello del modello Shaun Ross, all’esporre visualmente ciò che si è per poter far valere i propri diritti. In altre parole, fuggire al politically correct semplicemente postando fotografie di ritratti di persone che appaiono per qualche motivo diverse.
Il progetto è nato da un’idea di Steve Rosenfield, che sul suo sito www.whatibeproject.com spiega che spesso ancora nel mondo contemporaneo la diversità è bullizzata o, quanto meno, giudicata: scopo del suo proposito è aprire una nuova linea e modalità di comunicazione per aiutare ad accettare ciò che non appartiene al nostro solito modo di pensare.
“ What I be ”, questo il nome del movimento, è nato circa dodici anni fa e nel tempo è diventato come un diario dove vengono raccontate le storie di chiunque voglia essere fotografato. Insomma, un fotoromanzo dove a parlare sono i volti delle persone e, a volte, le scritte che i soggetti portano sulla pelle, come per esempio “You are not fat”, “I’m a loser” o “Accept me”. Frasi semplici e d’effetto che promuovono istanze altrettanto semplici – e per questo d’effetto.
Ogni partecipante al progetto What I Be ha l’obbligo di scrivere un mini testo su quali sono le paure o le insicurezze che affliggono la loro vita, e questo ha lo scopo di mostrare come le paure, o le diversità, non formano le persone che siamo.