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Vorrei non dover cominciare scrivendo, ancora una volta, di come la sensibilità british sia elemento così riconoscibile da non aver bisogno di più di qualche inquadratura per una concretizzazione delle atmosfere e di due dialoghi in croce per una buona solidità caratterizzativa, ma mi ritrovo a pensarlo ogni volta e What Remains ha in fondo tutte le bontà del tipico, buon prodotto televisivo inglese. Quattro puntate che iniziano, svolgono e concludono una storia investigativa che gioca un po’ classicamente sulle ombre umane e sui segreti celati – d’altronde l’ambientazione condominiale non è di certo nuova per presentare una valida tavolozza di psicologie chiaroscure, spargere indizi, far annusare odori sbagliati e scoprire cosa si celi oltre –, ma lo fa con quel tocco signorile ed elegante in grado di scolpire fortissime personalità mostrandole sotto una veste di realismo a tratti davvero incredibile nel possedere così tante sfaccettature nelle misura figurativa su cui sono modellate.
Vecchi professori brontoloni, trentenni poco svegli, mammine in dolce attesa, padri fragili che non sanno gestire i figli e figli viscidi che si approfittano della debolezza dei padri, e soprattutto lei, Melissa, solitaria e sovrappeso, il cui cadavere ritrovato in soffitta dà il via alle indagini: in What Remains non è una questione di buoni e cattivi, né tanto meno del cliché ribaltato dove bene e male spariscono per evidenziare solo certa malvagità, qui Tony Basgallop mostra semplicemente persone normali che sbagliano, giudicano male, agiscono sulla base di calcoli errati, ma che sono anche in grado di capire, di muoversi altrimenti, di sottolineare positività e solarità che non per forza nascono dagli errori ma sulla base di riflessioni sincere e credibili. La stessa Melissa, che poteva essere sbrigativamente archiviata come la grassona rancorosa odiata da tutti (e data l'elevata qualità generale nessuno, sia chiaro, avrebbe in fondo avuto da ridire su un personaggio che pur con la sua importanza serve più che altro a far scattare la molla iniziale), mostra un’attenzione psicologica che le imprime tanto leggerezza nel non valutare con la dovuta pazienza certe situazioni quanto forza nell’opporsi a certi momenti di sfruttamento, ma anche e soprattutto semplice umanità nel vivere, un po’ per scelta un po’ per necessità, lontana da tutti. E su tutto naturalmente risalta la tenera cocciutaggine del detective Len Harper, deciso ad arrivare sino in fondo a quest’omicidio irrisolto senza mai perdersi d’animo nonostante le difficoltà e gli errori (su tutto il bellissimo confronto con il ragazzetto, ma anche, per risaltarne certa giusta rocciosità, il breve scambio con il vicino).
Ma al di là di tanta struttura psicologica, What Remains funziona squisitamente anche su un piano strettamente narrativo/televisivo, creando piste, false soluzione, alibi che vengono infranti e improvvisi indizi anche attraverso un uso interessante e significativo del flashback senza mai arrivare a dover raccontare una storia delineata con stile: What Remains mostra tutto, e lo fa così bene da confondere, disperdere e principalmente credere a quello che si vede, nascondendo meravigliosamente l’identità dell’assassino, come si confà a un buon giallo, fino alla fine.
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