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Whipping Post (ovvero, cominciamo dalle cose complicate) Parte I

Creato il 22 settembre 2011 da Postscriptum

Whipping Post (ovvero, cominciamo dalle cose complicate) Parte I

 

Come si inizia una rubrica sul Rock? Ponendo in chiaro le premesse e le prospettive? E poi, bisogna iniziare a discutere di Rock seguendo un ordine cronologico o come altro? In poche parole: potrebbe esser lecito pensare che sia giusto “introdurre” la mia discussione, no? Ma “introdurre” è sempre pericoloso, si rischia di affastellare righe su righe, dense di parole introduttive (Letteratura d’introduzione, vasto filone cui spesso si affezionano misconosciuti autori di infima qualità) c’altro non farebbero, in buona sostanza, che stancare il lettore. Gli Dei sanno quanto mi piacerebbe introdurre, persino lungamente, con prolissità gaudente, ma devo impormi un freno. Per cui, niente premesse! O lettore, ritorna qui, lascia stare farmville e tetris battle almeno per un momento, leggiti questo mio brevissimo (ah,ah,ah…) pensiero su uno dei più grandi pezzi della storia del Rock. E comunque, alla fine, ho introdotto lo stesso. Che autore di infima qualità che sono!!!

Chissà quanti meriterebbero di esser legati al “palo della flagellazione”, perlomeno metaforicamente. Un brevissimo elenco? Vasco Rossi ca nun si po’ sentiri cchiù (“cciù” per i modicani nel mondo); i Superheavy che di super pesante hanno solo l’effetto che riescono a dare dopo aver provocato il rigonfiamento delle gonadi dell’ascoltatore (Mick Jagger, nun ti si po’ taliari, in tal condizioni) ; il supercavaliere belluscone di cui tutte s’innamorano e difatti Egli riconosce che è proprio quello il suo problema; il rock di tutti i nuovi gruppetti che vogliono somigliare solo agli U2 e solo quelli conoscono; i Queensryche (belli stagionati, tra l’altro) che nel loro ultimo album si sono ispirati anche troppo agli U2 anche troppo (ripetizione dovuta, quando si parla degli autori di Sunday bloody Sunday, mi pare). E insomma potrei anche andare avanti, ma a che servirebbe? Tanto più che nel pezzo in questione è proprio colui che canta a sentirsi legato al palo della flagellazione. Tutto ciò – quanta originalità!!! – a causa del dolore provato per esser stato lasciato dalla “tipa”.

Sarebbe pure interessante voler porre in relazione il Palo con la visione che hanno i Testimoni di Geova riguardo il momento estremo di Gesù Cristo (il tizio coi dreadlocks nato in Palestina, sì, mi riferisco a lui), ma probabilmente ne risulterebbe una forzatura. Non riesco proprio ad immaginarmelo Duane Allman, coi suoi bei baffoni, a fare il porta a porta, per convincere malcapitati apritori di portoni che il mondo sta per finire. Ma lasciamo perdere il testo un po’ banalotto e parliamo degli autori di questo brano. I fratelli Allman, ossia Duane (nickname: Skydog) e Gregg.

Il pezzo in questione fu scritto precisamente da Gregg e a quanto pare, probabilmente, non si riferiva solo ad una ragazza, ma in realtà, parla del rapporto conflittuale con il fratello Duane. Sto parlando di quando ancora non esisteva la band in questione e i fratelli Allman suonavano, insieme, in un misconosciuto gruppo, i The Hourglass (due album tra il ’67 ed il ’68). I discografici avevano pensato male, cercando di spingere più sulla voce di Gregg che sul chitarrismo di Duane (e non mi sembra superfluo aggiungere che persino il commercialissimo magazine RollingStone si è accorto del tizio, ponendolo al secondo posto in una opinabile lista dei migliori 100 chitarristi, appena dopo un certo Jimi Hendrix). Gregg, dal canto suo, probabilmente si convinse troppo di essere nel giusto e che a breve sarebbe divenuto una star o qualcosa del genere. E invece si ritrovò, suo malgrado, a sfregare al suolo i biondi peli delle natiche, scottandosi per l’attrito. Duane aveva abbandonato la band insieme agli altri musicisti, lasciando Gregg sul bidet a lamentarsi dei bruciori. Il chitarrista se ne andò in giro alla ricerca di una nuova band e nel frattempo faceva il session-man di lusso. In quegli anni collabora, tra gli altri, con Aretha Franklin (da sentire i brani Isn’t it Fair e la strepitosa versione slide-ish, in pieno stile Skydog, di The Weight, il pezzo della mitica The Band), Wilson Pickett (vagamente hendrixiana la Hey Jude che ne viene fuori), i primi Boz Scaggs (quelli del brano super funky [rifatto recentemente dagli Incognito e da Mario Biondi] Lowdown – e ti saluto Jason Kay – ma lì siamo “già” nel ’76 e Duane non c’era più da un bel pezzo…non c’era in tutti i sensi. Con Duane è invece da ascoltare Loan me a dime, credo risalente al ‘69).

Poi è assolutamente da menzionare la partecipazione fondamentale di Skydog/Duane a quel vero capolavoro assoluto del rock che è l’album “Layla and Other Assorted Love Songs” dei Derek And The Dominos, insieme ad Eric Clapton (che si era appena messo con la moglie del suo miglior amico, George Harrison). Tornando al nostro discorso, Duane riesce a trovare degli elementi ben più che validi per una nuova band (Dickey Betts, chitarrista; Berry Oakley, basso; Butch Trucks e Jai Johanson spesso contemporaneamente alle pelli fusi in quella base ritmica avvolgente e potente come poche band sono mai riuscite a ricreare). A quel punto il chitarrista alza la cornetta del telefono e chiama suo fratello Gregg, invitandolo a far parte della nuova formazione (sia alla voce che all’hammond). L’album del debutto, del ’69, ha lo stesso nome della band e contiene già molti classici, molti a firma di Gregg Allman (spicca la jazzistica e amplissima Dreams. Roba che manderà in estasi anche Jerry Garcia ed in qualche modo muterà l’avvenire dei Grateful Dead). Degne di nota sono anche le cover Don’t want you no more (Spencer Davis)  e Trouble no more di McKinley “Acque Fangose” Morgnafield (ok ok, è Muddy Waters, la finisco subito di fare l’esperto parafrasante/tradutorre e alias-eggiante! È che adoro il padre del blues di Chicago. E chi non lo ama? Chiedetelo agli Stones, per esempio). Tra queste vi è per l’appunto Whipping Post, anch’essa scritta da Gregg Allman, a quanto pare su di un asse da stiro, per la fretta di non far fuggire l’ispirazione. E c’è poco da scherzare su tali cose, basti pensare al Kubla Khan di Coleridge ed il disturbatore divino che ne ha interrotto la completa stesura, proprio quando Samuel Taylor (sì, eravamo assieme al liceo e dunque mi rivolgo a lui con il “tu”) sembrava avesse trovato l’Ideona della sua vita, quella che avrebbe giustificato filosoficamente anche la sua visione escatologica sul mondo e avrebbe chiarito alle popolazioni di tutta la terra la vera e piena Verità. E invece per colpa di uno che suona al citofono e gli fa perdere tempo, si dimenticò quello che doveva scrivere. Chi gli suonò veramente alla porta? Un inviato divino sotto mentite spoglie? Secondo me doveva essere un testimone di Geova – tanto per ritornare al nostro discorso iniziale – magari coi capelli lunghi e due bei baffoni. In effetti il testo di Whipping Post è un po’ lontano dal poter essere definito capolavoro (e dal poter esser messo a raffronto con Coleridge) e forse su di un foglio di carta, leggendolo e rileggendolo, se ne sarebbe accorto anche Gregg Allman, ma così non andò. Ciò che rende però speciale questo brano è la sua parte strumentale, non tanto in quella dell’album omonimo, quanto in quella apparsa sul live At Fillmore East del ’71 – e prima o poi bisognerà scrivere un articolo sul mitico locale – la versione arriva a ben ventitré minuti, parecchi dei quali spesi in profonde e caldissime improvvisazioni strumentali. Titanica, rispetto la versione in studio, di appena cinque minuti.  (descrizione del brano rimandata alla prossima puntata)

Gaetano Celestre http://gaetanocelestre.blogspot.com


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