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White God – Sinfonia per Hagen: la recensione

Creato il 11 aprile 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

C’era una volta il migliore amico dell’uomo: il cane. Dico c’era perché ora non lo è più. Dopo anni di violenze, maltrattamenti, abbandoni in strada, reclusioni in canili dietro le cui sbarre non sappiamo cosa accade, i cani hanno deciso di ribellarsi, e diventare il peggiore nemico dell’uomo.

white-godVincitore della sezione Un Certain Regard del 67esimo Festival di Cannes e acclamato al Sundance 2015, White God – Sinfonia per Hagen di Kornél Mundruczó è una parabola simbolica della società odierna, dove le distanze e le discriminazioni tra le classi sociali sono sempre più forti, tanto da spingere chi subisce a rivoltarsi. Il regista ungherese realizza un film poderoso, che spaventa e fa riflettere su quanto possa prima o poi accadere se “chi sta sopra” continua a tirare la corda, anzi il guinzaglio.

White God è una favola moderna di uomini e cani ammantata di apocalittico, come dimostra la sequenza d’apertura che ricorda la desolata e fintamente pacifica ambientazione urbana di Io sono leggenda di Francis Lawrence. I cani si sollevano, determinati a portare a compimento un riscatto maturato e trattenuto da tempo. Mundruczó sposa il loro punto di vista, adottando spesso e volentieri una macchina a mano che palesa l’instabilità della situazione, loro e nostra, di un regno animale (e naturale) sull’orlo di una rivalsa su un genere umano prepotente, egoista, non curante del prossimo.

Sbalorditivo il “lavoro attoriale” condotto sui cani, il cui movimento si fa portamento, i cui occhi e sguardi, smorfie e ringhi risultano estremamente espressivi. Un linguaggio “muto” che riesce a parlare allo spettatore più di tanti verbosi e didascalici dialoghi. Di fronte ad un’umanità che si abbaia addosso, ma anche in faccia e sul muso a quegli animali che dovrebbero (solo) tenergli compagnia, i cani di White God ci parlano. E corrono. Uno tsunami di zampe galoppanti come un’inondazione che invade le strade destinata a fermarsi, almeno provvisoriamente, solo di fronte ad un’anima gentile che come un moderno pifferaio magico è capace di placarli, quasi ipnotizzarli, con un’esile ma solenne sinfonia suonata alla tromba. E lì, come nel finale del film, ci inchiniamo, quasi prostriamo di fronte a questo esercito di cani, come a chiedere perdono per tutti i mali che nel tempo abbiamo inflitto loro.

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