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Whole (2003) fa parte di quella cerchia di documentari il cui nome che sta dietro la mdp passa in secondo piano, potrebbe esserci Steven Spielberg o una Melody Gilbert qualunque che il risultato non cambierebbe: l’interesse è focalizzato invece su ciò che sta davanti alla lente della cinepresa, e il tema trattato in questo film è davvero intrigante. Si parla infatti di Body Integrity Identity Disorder, e cosa sarebbe tale patologia che si può tradurre come Disturbo d’Identità dell’Integrità Corporea? Che ci crediate o meno riguarda persone (assolutamente normali come viene più volte mostrato nella proiezione) che vivono uno stato di sofferenza a causa del corpo completo che nei loro desideri vorrebbero mutilato. Proprio così: nelle varie interviste tra l’America e l’Europa effettuate dalla regista, la carrellata di soggetti (tutti maschietti) affetti da questo disturbo descrive, in alcuni casi fino alle lacrime, il peso che i “malati” si sono dovuti portare appresso praticamente da sempre; c’è chi rileggendo il diario segreto rimembra già in giovane età l’estraneità della propria gamba, e chi ancora del tutto integro sogna in un futuro quanto mai vicino l’amputazione dell’arto.
Lo stile è sobrio e lascia il palcoscenico agli intervistati che ci mettono la faccia, il nome e i sentimenti. Alle loro confessioni vengono alternati interventi di esperti o direttamente di famigliari coinvolti dal disagio del caro. Aldilà della facile ilarità che l’argomento può scatenare, nel vedere degli uomini che fanno di tutto per alleviare il dolore che li affligge, e fanno davvero di tutto: dall’utilizzare calze elastiche che legano la tibia al femorale, alla modifica di fotografie “normali” (la locandina è un’immagine ritoccata), fino a soluzioni più drastiche come spararsi alla gamba o ad immergerla nel ghiaccio per anestetizzarla, insomma nel sentire quest’ennesima pagina oscura della mente umana, non possiamo far altro che porci domande prive di risposta e ringraziare il cinema che ci offre l’opportunità di venire a conoscenza delle crepe che venano la nostra fragile razza.
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