Avete presente quando vedete una cover e ve ne innamorate? Quando vi bastano tre righe di una trama per conquistarvi? A me è successo con Ally Rose. La quinta vittima di Morgan Cavendish, primo volume della duologia Redrock’s Murders (self-published).
Protagonista dei romanzi è Alicia Rosslyn McPharson, Ispettore della divisione omicidi di Redrock Bay, e il suo team incaricato di scovare il misterioso assassino che da oltre due anni dissangua le sue vittime in concomitanza di particolari fasi lunari e lascia sui loro corpi straziati un curioso omaggio funebre. Ma la realtà di Redrock Bay è tutt’altro che consueta, anzi cela al suo interno una comunità sovrannaturale di cui tutti sono all’oscuro. La donna, però, non sarà sola a condurre le indagini: sarà affiancata da due ambigui vampiri bicentenari, da un detective privato, da una medium e da un ex partner rissoso.
Che ne pensate? Intrigante, vero?
Nell’attesa di leggerlo – e recensirlo – vi lascio con la trama, il teaser trailer e un estratto dal libro (il prologo), oltre ad alcune informazioni sull’autrice.
Redrock Bay, Nova Scotia. Una serie di brutali omicidi macchia di sangue le strade della città. La polizia brancola nel buio e l’Ispettore Alicia Rosslyn McPharson, contro la volontà del suo Capitano, si affida all’aiuto di una medium: un’altra vittima sarebbe dovuta morire quella stessa notte. Qualcosa, però, non va come previsto. Una donna viene uccisa, ma non è quella designata dalla veggente. Alicia, coinvolta in prima persona nella vicenda, viene così catapultata in un mondo spaventoso che le sconvolgerà la vita, popolato da creature sovrannaturali di cui ignorava l’esistenza. Dopo essere scomparsa per un anno senza lasciare traccia, torna dalla sua famiglia e dai suoi colleghi completamente cambiata e pronta a catturare il misterioso assassino che, nel frattempo, è tornato a uccidere. Affiancata nelle indagini da due ambigui vampiri bicentenari, da un detective privato, da una medium e da un ex partner rissoso, Alicia dovrà combattere per impedire che le strane morti continuino a susseguirsi. La lotta contro il tempo si farà serrata e, mentre il collegamento tra le uccisioni stenterà ad apparire, la protagonista dovrà districarsi tra vaghi sospetti, prove inconsistenti, amori pericolosi e rapporti perduti, tra magia, sangue e mistero fino ad una inaspettata conclusione.
Fino a che punto puoi resistere quando il mondo intorno a te cade a pezzi e tutto quello a cui avevi creduto fino a quel momento viene messo in discussione? Un avvincente thriller sovrannaturale in cui tutti mentono e niente è come sembra.
Titolo: Ally Rose. La quinta vittina
Autore: Morgan Cavendish
Editore: Self Published
Pagine: 352
Prezzo: E. 2,99 ebook (su Amazon)
Data di uscita: ottobre 2015
Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli. Se fossi stata meno impulsiva, infatti, mi sarei subito accorta che in quella storia qualcosa non quadrava.
Quella notte sarebbe dovuta morire un’altra donna; la medium, a cui il distretto si appoggiava quando i casi diventavano insolubili, l’aveva visto accadere in sogno. Tuttavia, la possibilità che l’assassino stesse agendo in quel preciso istante, la concreta eventualità di catturarlo e la speranza di salvare anche la ragazza, mi spinse ad agire senza badare al mio istinto. Da detective della omicidi quale ero, non persi tempo, radunai i rinforzi e mi diressi prontamente sul posto con una squadra di sei agenti.
– Voi due, di là – ordinai indicando il retro del fabbricato – Voi quattro con me –
Non c’era nessuno, il vicolo che avevamo appena imboccato era deserto. L’unico suono che sentivo era il battito frenetico del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie. La porta, che conduceva all’interno, era aperta. Mi addossai al muro con la pistola stretta in una mano e sfiorai il battente con l’altra. Subito, il mio sesto senso prese a pizzicare; un crescente senso di disagio e preoccupazione mi invase, ma mi obbligai ad ignorarlo, troppo presa dalla mia missione. Scambiai un cenno rapido con gli altri agenti ed entrammo.
L’oscurità ci avvolse e, dopo aver percorso un corridoio stretto e salito una rampa di scale, ci trovammo in quella che sembrava una ala dell’edificio ancora in costruzione. Ferro e calcinacci erano disseminati ovunque e intralciavano il nostro cammino costringendoci a tenere l’attenzione fissata sui nostri piedi anziché davanti a noi. L’aria era intrisa di umidità, era piovuto per giorni e dal soffitto era filtrata così tanta acqua da rendere poco agibile il percorso. Tendevo l’orecchio in modo da percepire ogni più piccolo rumore, ma lo scalpiccio prodotto dai nostri passi sulle pozzanghere rendeva vano ogni mio tentativo.
– State attenti, c’è qualcosa di strano… – mormorai piano scorgendo un movimento improvviso in lontananza. Mi acquattai e, facendo segno ai miei compagni, accostai la schiena contro una colonna. Annuendo al mio comando, due di loro corsero rapidamente in avanti e cercarono riparo dietro ad altrettanti pilastri. Gli altri, che avrebbero dovuto fornire il fuoco di copertura, arretrarono di qualche passo restando nelle retrovie. Io rimasi sola, ferma al centro del quadrato immaginario che la formazione di attacco assunta dai miei uomini aveva disegnato. Mi guardai intorno, ma la visibilità era ridotta e, nonostante la luce delle torce, non riuscii a scorgere nessuno.
In quel momento, l’urlo straziante di uno dei miei agenti mi fece trasalire. Rispetto alla mia posizione, il grido veniva da dietro; mi mossi nella sua direzione per provare a soccorrerlo ma mi bloccai subito, non riuscendo bene a capire cosa gli stesse succedendo. Tenevo la pistola puntata dritta davanti a me, ma pur sapendo che dovevo intervenire non riuscii a farlo. Se avessi aperto il fuoco in quelle condizioni, senza sapere cosa avessi attorno o chi ci stesse attaccando, avrei potuto colpirlo. Lui o un altro dei miei uomini.
Mentre lottavo contro il tempo e decidevo come agire, uno spostamento d’aria, improvviso e gelido, mi obbligò a voltarmi per capire che cosa l’avesse causato. Nello stesso istante, quando un secondo agente urlò, compresi che eravamo stati attirati in una trappola. Qualcuno, forse lo stesso assassino, ci stava girando intorno facendoci fuori uno dopo l’altro ed ero stata io a condurre tutti al macello. Nessuno ci stava sparando, nessuno ci stava colpendo con armi convenzionali, eppure tutta la mia squadra stava cadendo sotto ai miei occhi. Venivamo colti di sorpresa, alle spalle, in modo silenzioso ed improvviso. Chiunque ci avesse teso quell’agguato, si muoveva veloce, in modo da non farsi vedere e quando si avvertiva la sua presenza era ormai troppo tardi.
Mi girai da una parte all’altra, nervosa e spaventata, nel tentativo di riuscire a scorgerlo. Mi voltai ancora e ancora, con il cuore che mi balzava nel petto, il respiro affannoso e le lacrime che mi bagnavano il volto, ma dell’assassino non c’era traccia. Non ero capace di vederlo, non lo sentivo, intorno a me i miei compagni erano ormai tutti morti e la colpa era solo mia.
A quel punto, non potendo più fare nulla, cercai almeno di mettermi al riparo. Non appena mi mossi, però, crollai a terra; ero in preda al panico e le mie gambe avevano ceduto. Disperata, con la torcia che era rotolava via e la pistola che mi scivolava dalle dita, mi puntellai sulle mani per rialzarmi in fretta e darmela a gambe.
Fu proprio riprendendo la pila elettrica che la mia attenzione venne catturata dall’alone rosso sotto di me. Era sangue ed era dappertutto: sui miei vestiti, sul pavimento, sulle mie mani. I miei agenti non erano stati solo uccisi, erano stati fatti letteralmente a pezzi. Sopraffatta dal terrore, provai a fuggire ma, prima che potessi riuscirci, mi sentii afferrare per i capelli e trascinare all’indietro. Gridai e, mentre cercavo di divincolarmi per raggiungere la pistola che avevo perso nella caduta, un dolore lancinante mi trafisse il collo.
Inerme e senza più la possibilità di reagire, abbassai lo sguardo e vidi il sangue dei miei agenti mischiarsi al mio. A quel punto, osservando il propagarsi delle macchie cremisi attraverso il velo argentato che la falce di luna irradiava all’interno del locale, non ebbi più dubbi: la donna vista dalla medium, quella destinata a morire quella notte, ero io.
Morgan Cavendish, classe 1978, nasce come giornalista free lance per alcuni giornali locali prima e per case editrici importanti, quali Sprea Edizioni e Delos Book, subito dopo. Insieme alla scrittura, Morgan ha lavorato attivamente come grafica, web designer e illustratrice.
Nel corso degli anni, dopo preso parte a svariati concorsi letterari tra cui il Premio Lovecraft, ha continuato a scrivere fanfictions e racconti originali fino ad approdare alla pubblicazione in Self Publishing nel maggio 2013. Ama scrivere e ama la fantasia in tutte le sue sfumature con una leggera predilezione per quelle più scure che virano dal nero al rosso. Nei suoi lavori cerca di trasmettere questa passione e prova a mettere nero su bianco queste gradazioni. Se vi piacciono i racconti/romanzi che digradano verso l’oscuro e l’inquieto senza però tralasciare la vena romantica, la passione e l’amore in tutte le sue forme, potete provare a leggerla.
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