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Wolfenstein: The New Order – Recensione

Da Videogiochi @ZGiochi
Recensione del 31/05/2014

Cover Wolfenstein: The New Order

PC - PS3 - PS4 - Xbox 360 - Xbox One Pegi 18 TESTATO SU
XONE

Genere:

Sviluppatore:

Produttore: Bethesda Softworks

Distributore: Bethesda Softworks

Lingua: Italiano

Giocatori: 1

Data di uscita: 23/05/2014

Wolfenstein: The New Order – Recensione PS3PS4X360XONEPC

EUR 59,08EUR 64,33EUR 59,99EUR 64,33EUR 49,99

VISITA LA SCHEDA DI Wolfenstein: The New Order

Pro-1Trama ispirata e direzione artistica a dir poco azzeccata Contro-1L'IA, pur essendo aggressiva, traballa spesso e volentieri

Pro-2Gameplay old-school molto divertente Contro-2Presenza di qualche bug grafico, texture quasi mai all'altezza

Pro-3Alta rigiocabilità Contro-3Bilanciamento audio da rivedere in toto

Ne ha fatta di strada Wolfenstein da quell’ormai lontano 1981, quando aprì il suo corso con Castle Wolfenstein. Una storia bella da ricordare, che ha portato a sequel (vedi Beyond Castle Wolfenstein), all’introduzione delle tre dimensioni con Wolfenstein 3D e ai vari Return to Castle Wolfenstein, Enemy Territory, o a produzioni pensate per mobile quali Wolfenstein RPG, quindi ai più recenti Wolfenstein (2009) e Wolfenstein: The New Order giunto da pochi giorni nei negozi, nelle versioni PC, PlayStation 3 e PlayStation 4, quindi Xbox 360 e Xbox One. A tanti rilasci si son susseguiti altrettanti team di sviluppo, dai Muse Software a id Software, passando per Gray Matter Interactive (team che circa dieci anni fa venne incorporato in quello di Treyarch) e Splash Damage, gli stessi di Brink o Batman: Arkham Origins, fino ai Raven Software e MachineGames, quest’ultimo responsabile del titolo di cui vi parleremo oggi.

Un team nuovo, alla sua prima pubblicazione, ma formato dagli ex fondatori di Starbreeze Studios, autori della serie Darkness di 2K e The Chronicles of Riddick, che hanno deciso di mescolare le carte in tavola, proponendoci un FPS con meccaniche old-school a cui si affiancano una narrazione ed una regia tipiche dei videogiochi che hanno contraddistinto tante delle produzioni del giorno d’oggi. Qual è il risultato finale? Scopritelo nella nostra recensione.

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ONLY YOU CAN STOP DEATHSHEAD

1946. La Seconda Guerra Mondiale minaccia ancora il destino dell’Europa e laddove gli Alleati un tempo riportavano l’ordine, avanzando e guadagnando terreno, ora i nazisti dominano incontrastati grazie alla strepitosa e sanguinosa tecnologia ideata dal Generale Wilhelm Strasse, alias Deathshead. Situazioni ribaltate e speranze ridotto all’osso, si tenta quindi il tutto per tutto con un assalto finale, nel tentativo di porre fine al dominio tedesco. La sortita del Capitano B. J. Blazkowicz nei laboratori del pazzo generale non ha esito positivo, anzi, viene rinchiuso assieme a due alleati, Fergus Reid (pilota) e Probst Wyatt III (giovanissimo soldato); saremo chiamati a decidere sul loro destino, compiendo quella che a tutti gli effetti sarà una scelta dolorosa, che influenzerà spezzoni di trama e non solo, prima del terribile incidente accorso al protagonista Blazkowicz, che lo costringerà ad uno stato vegetativo di circa quattordici anni. Nel 1960 la guerra che un tempo decimava soldati e popolazione è solo un ricordo, ma le barbarie portate a termine dai nazisti persistono: hanno vinto la guerra, dimostrandosi letali e feroci, piegando anche le forze americane. Ora il regime nazista governa l’intero mondo, facendosi portatore di un clima di terrore, possibile anche grazie ad enormi super-soldati e robot nazisti, che minacciano costantemente la vita di tutti i giorni dell’afflitta e sconsolata popolazione mondiale. La resistenza, così la chiamavano un tempo, pare scomparsa; i suoi esponenti dispersi, almeno apparentemente, e il capitano Blazkowicz è rinchiuso in un manicomio polacco, sotto le amorevoli cure dell’infermiera Anya Oliwa. Il mondo è cambiato, quelle che un tempo erano considerate le più grandi potenze mondiali sono state messe in ginocchio dallo strapotere tedesco, che non s’è fatta scrupolo d’usare ordigni nucleari sul suolo americano. Non c’è tempo per piangersi addosso, in ogni caso, perché col suo risveglio il capitano Blazkowicz tenterà di ricomporre i cocci per contrastare il dispotismo tedesco, che non dà speranze all’umanità tutta, a costo della sua stessa vita.

In breve, questo è l’incipit di Wolfenstein: The New Order, grazie al quale risalta l’ucronìa, quindi una narrativa basata sul fatto che la storia mondiale abbia imboccato un percorso diverso da quello reale; un modo per “leggere” da un altro punto di vista gli avvenimenti del grande conflitto mondiale, a cui spesso e volentieri si mescolano utopia e distopia, come è effettivamente avvenuto nel titolo di MachineGames. Superato un prologo tutt’altro che accattivante, piuttosto pesante e non molto riuscito, chiamato a compiere più che altro le veci di un tutorial, il videogioco ci proietta all’interno di un racconto articolato e profondo, influenzando in parte il gameplay (per la scelta a cui facevamo riferimento poco sopra), proponendoci raccapriccianti scorci della dittatura che ha sconfitto non solo l’America, ma minaccia verosimilmente il futuro dell’intera società, ed altri più “quotidiani”, com’è diventato vivere quando tutt’attorno regna sovrana la violenza e l’usurpazione, a cui inevitabilmente si affiancano le emozioni dei protagonisti, momenti topici drammatici e tanta sana azione e frotte di sangue, o circuiti di robot che saltano letteralmente in aria. Il legame armonioso di tutti questi aspetti conduce il giocatore a sentirsi realmente partecipe degli eventi narrati in maniera certosina, dimostrando che anche un genere così inflazionato può far la sua sporca figura se a “muoverne i fili” è un team di sviluppo pieno di personalità e dalle capacità realizzative sopra la media. A quanto detto, e approfondiremo a breve l’argomento, si associa un gameplay di vecchio stampo, immancabile in un Wolfenstein, che portano ad un connubio apprezzabile e ben riuscito tra vecchio e nuovo. A rendere più varie le fasi di gioco troveremo piccoli enigmi da risolvere, fasi a bordo di veicoli, ed un covo segreto presso cui consultare un’ottima quantità di ulteriori approfondimenti sulla trama, o semplicemente citazioni ed easter egg (i più importanti riguardano il Vault 101 di Fallout ed il primo livello, interamente giocabile e “aggiornato”, di Wolfenstein 3D).

La longevità, considerando che Wolfenstein: The New Order è un FPS only single-player, è decisamente buona: per completare i 16 capitoli di gioco abbiamo impiegato circa dodici ore nella difficoltà ‘Uber’, la più tosta tra le prime cinque disponibili, senza però aver raccolto gran parte dei collezionabili che garantiscono una rigiocabilità elevatissima tra tesori dorati e speciali lettere zeppe di ulteriori particolari, arrivando ai Codici dell’Enigma che se raccolti tutti, dopo aver decifrato la sequenza, ci permetteranno di sbloccare modalità bonus come quella ’999′ (come i punti vita in nostro possesso, in una run al livello di difficoltà massimo e con munizioni e granate infinite), o quella ‘Passeggiata nel parco’ in cui gli elementi su HUD verranno rimossi, quindi la modalità ‘Hardcore’ che prevede la totale assenza di medikit e rifornimenti bellici, e quella ‘Ironman’: una sola vita per portare a termine il gioco… Per decifrare tutti e quattro i codici bisognerà applicarsi per conseguire almeno due run, considerando che la scelta compiuta nel prologo porterà ad una diversificazione delle abilità in possesso di Blazkowicz, che limiterà il numero di segreti accessibili. Tale scelta influenza in maniera evidente anche il gameplay, visto che otterremo la possibilità di scassinare serrature o di manomettere circuiti elettrici, senza però intaccare il finale di gioco, a differenza di qualche filmato o dialogo durante la narrazione dei fatti.

ONLY YOU CAN REWRITE HISTORY

Lato gameplay Wolfenstein: The New Order è un titolo che si rifà alle origini della serie, ma all’ossatura old-school amalgama elementi più attuali, vedi l’uso delle coperture. Tutto ciò pad alla mano si traduce in azione frenetica o più strategica, a seconda del modo di giocare d’ognuno, dove si sentirà la necessità e il bisogno di spostarsi con buona frequenza per impedire ai nemici (molto aggressivi al livello di difficoltà Uber) di accerchiarci e crearci più d’un grattacapo. Ahinoi, non è tutto rose e fiori: le fasi stealth di cui si compone il prodotto di MachineGames lasciano spesso perplessi, anche a causa di un’IA poco reattiva in queste circostanze, con tempi di reazione piuttosto lunghi; si tratta comunque di un incentivo ad affrontare diversamente gli scontri, un modo per impedire il respawn continuo dei nemici, eliminando prima di tutto i comandanti sparsi nella location di turno e la cui distanza dalla nostra posizione è opportunamente segnalata in-game. Questo non si traduce in maggior semplicità, sia ben chiaro, dato che spesso e volentieri una mossa avventata, o un percorso troppo rischioso, porteranno ad allertare gli avversari, che potrebbero così circondarvi e riempirvi di proiettili. In tali circostanze inoltre viene a galla l’evidente sbilanciamento tra la potenza di fuoco dei nemici e quella di Blazkowicz, che potrà essere compensata facendo grande attenzione, sfruttando saggiamente le coperture ed affinando la propria precisione contro i bersagli. Per ottenerla bisognerà fare conoscenza del vasto arsenale a nostra disposizione, dal pugnale alle pistole, passando per mitragliatrici, mitragliatori, classici fucili d’assalto o da cecchino, shotgun, e poi granate e torrette fisse sparse in postazioni strategiche. Il feedback con ognuna di queste è ottimo, il rinculo varia da arma ad arma, e la possibilità concessaci da molte armi – quella di avere due differenti modalità di fuoco – rende le cose più allettanti. Grazie ai potenziamenti sparsi nel gioco, da cercare e raccogliere così come i tanti collezionabili, si percepisce maggior enfasi nelle sparatorie e la possibilità di poter imbracciare due armi per volta… Be’, fantastico, non c’è bisogno di aggiungere altro!

Le armi appaiono tutte ben realizzate e diversificate a livello estetico, soltanto per qualcuna si avverte un leggero fastidio col feedback fornito durante l’utilizzo, vedi quelle “spaziali”, che però tentano di sopperire a tale mancanza con un design assolutamente ricercato. Ma parlavamo di ossatura old-school poco fa, quella che difatti contraddistingue gran parte dell’esperienza di gioco; primo tra tutti la (quasi) assenza dell’auto healing, ossia dell’auto-guarigione alla quale gli FPS del giorno d’oggi ci hanno abituato. In Wolfenstein: The New Order il sistema di rigenerazione è parziale ed in caso di ferite gravi scordatevi di tornare ai classici 100 punti vita; per farlo dovrete raccogliere i medikit sparsi nei livelli e lo stesso dicasi per proiettili ed armatura, che con frequenza saranno però rilasciati anche dai nemici abbattuti. Altresì, la quantità massima di energia potrà essere anche sovraccaricata, in modo tale da aumentare i propri punti vita – ma il livello pian piano tornerà al cap massimo consentito – che potranno garantirvi maggior possibilità di superare indenni alcune sezioni di gioco piuttosto difficili, anche perché di inventari dentro cui “custodirli” non se ne parla, com’è giusto che sia. In aiuto anche i talenti, ossia il sistema grazie al quale potrete sbloccare perk utili ad aumentare svariate abilità, la resistenza ai colpi, la capacità del caricatore e così via. Si suddividono in quattro grandi categorie: quelle dedicate alla furtività, quindi andranno conseguite un tot di uccisioni stealth, quelle dedicate alla tattica (sfruttando le coperture), alla demolizione tramite granate e lanciarazzi, e all’assalto, che richiederanno l’utilizzo della speciale arma Laser Kraftwerk e di armi doppie. Il sistema funziona piuttosto bene, anche se trova la sua massima utilità solo ed esclusivamente alle difficoltà di gioco più alte, in quanto alle più basse non se ne sente l’efficacia in-game.

APERTO A TUTTI, CON L’ID TECH 5

Le ultime doverose considerazioni vanno fatte sui comparti tecnici. In Wolfenstein: The New Order è una versione migliorata dell’id Tech 5 a reggere tutto dal punto di vista grafico; l’engine proprietario di id Software che venne mostrato per la prima volta nel 2007, su un computer a 8-core ed una scheda video Nvidia Quadro da 512 MB, è cresciuto tanto negli anni anche se destò qualche perplessità fin dal suo esordio con Rage (2011). Le particolarità di questo motore permettono di utilizzare “mega texture” che consentono di ottenere una buona resa grafica negli ambienti più ampi, meno nei piccoli dettagli, anche su hardware non high-end, adattandosi a maggior ragione alle prestazioni (per ora sottotono) delle console di nuova generazione, PlayStation 4 e Xbox One, oltre che di quelle ormai considerate “old-gen”. Da qui, l’enorme peso del titolo, che supera i 40GB: pensate che circa 33 sono composti dalle sole texture di cui sopra. The New Order, secondo titolo prodotto con l’id Tech 5 e in futuro entreranno in questa lista anche The Evil Within e Doom 4, complessivamente stupisce in alcuni scenari (vedi quello sulla Luna), ma s’è visto decisamente di meglio in giro, anche se i 60 frame per secondo belli granitici, i 1080p, una buona illuminazione dinamica e dei buoni effetti particellari, oltre che dei tempi di caricamento brevi, non son cose da poco. Il lavoro certosino è stato compiuto nella direzione artistica che caratterizza nella maniera più appropriata ogni città incontrata durante la nostra avventura, tonnellate di cemento e strutture futuristiche che stravolgono intere città, mettendo in evidente risalto la mano nazista, il loro voler apparire più forti di tutto, perfino in campo architettonico: non c’è modo migliore di presentarsi per mettere le cose in chiaro. Tuttavia, la qualità delle texture non è molto elevata, nemmeno nella versione PC coi dettagli di gioco impostati al massimo, e sulla stessa sono svariati i bug grafici ancora da risolvere. Bug che invece diminuiscono drasticamente nella versione Xbox One del titolo, anche se di compenetrazioni poligonali è possibile sempre vederne. Wolfenstein: The New Order però non è soltanto location, strutture imponenti o diroccate, ma è composto anche da un gran numero di nemici a frapporsi tra noi ed il nostro obiettivo; in tal senso, la varietà degli stessi è apprezzabile, mentre ci saremmo aspettati qualcosina in più per i nemici più importanti, anche in termini di caratterizzazione.

La parte audio si compone di una colonna sonora adatta al contesto – stupenda la traccia finale di Melissa Hollick intitolata ‘I Believe’, artista ventunenne di Birmingham – e alle fasi di gioco, lo stesso dicasi per gli effetti e l’ottimo doppiaggio in italiano, peccato che persistano problemi di bilanciamento audio. Non son bastati i cinque gigabyte di update su PlayStation 4 e i sette e mezzo per la versione Xbox One a risolverlo, tanto che tra il frastuono dei proiettili e quello delle tracce musicali alternative rock capiterà sovente di non udire al meglio il dialogo di turno recitato. Speriamo che il team possa risolvere al più presto questo problema, magari dandoci anche soltanto la possibilità di settare il livello del volume delle singole componenti succitate.

Wolfenstein: The New Order – Recensione IN CONCLUSIONE
Anche se Wolfenstein: The New Order non porta nuove meccaniche all'interno del panorama FPS, ed è giusto così considerando la natura tipicamente old-school della serie, il titolo di MachineGames riesce nell'intento di intrattenere e spesso di sorprendere il giocatore grazie ad una trama coinvolgente e a un'atmosfera elettrizzante, eccezion fatta per un inizio lento e poco riuscito, tanto da mettere in risalto due aspetti importanti: il primo riguarda il genere degli sparatutto che ha inflazionato il mondo del gaming, ma che può ancora dire tanto se affrontato e sviluppato nella maniera giusta; il secondo, è più un attestato di raggiunta maturazione per gli ex-founder di Starbreeze Studios (ora MachineGames, per l'appunto), che hanno saputo confezionare uno shooter sostanzialmente di vecchio stampo, ma di grande impatto artistico e narrativo. Una sorta d'unione tra il “vecchio” ed il “nuovo”, per dirla in poche parole. Certo, dal punto di vista prettamente grafico si sarebbe potuto fare di più, così come per le questioni sopra affrontate e riguardanti il bilanciamento dell'audio, ma una cosa è certa: quelli di MachineGames ci hanno regalato il primo titolo veramente imperdibile di questo ancora poco convincente 2014 videoludico, compiendo un ottimo lavoro senza precludere l'esperienza di gioco ai neofiti, ma è scontato dire che saranno proprio i fan di Wolfenstein a goder di più con questo persuasivo The New Order. ZVOTO 8
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