Strana creatura i Woodwall, in continua tensione tra sonorità settantiane hard/psichedeliche e suoni del deserto anni Novanta, ma con un che di straniante che dona al tutto una mood lisergico e a tratti slabbrato. Di certo nel dna si ritrovano sia blues sia metal, nebulizzati insieme a molti altri ingredienti all’interno di una lava-lamp che riflette nella stanza giochi di luce fumosi che neanche a casa del brucaliffo, eppure appare chiaro come dietro l’angolo si celi la voglia di corse sulle due ruote con “Born To Be Wild” che risuona ancora nelle orecchie e i generatori saturi pronti ad esplodere. Tutto chiaro? Peccato che con l’apertura di “Walden” il panorama cambi ancora una volta, con il coro e l’arpeggio che mischiano completamente le carte e donano al tutto un retrogusto Sixties tanto inaspettato quanto capace di inserirsi alla perfezione nel mood generale di WoodEmpire. La verità è che i Woodwall hanno tirato fuori dal cilindro un lavoro capace di sorprendere da molteplici punti di vista, a cominciare dalla scrittura e dalla scelta dei suoni, il tutto al servizio di brani difficili da inquadrare eppure perfettamente a fuoco nel tributare omaggio a un ben preciso, quanto cangiante, immaginario sonoro. Sono i particolari a fare la differenza e rendere il tutto personale, come il riff metal che prende improvvisamente vita all’inizio della finale “Holocene/Cambrian” e che – pur nel suo durare un battito di palpebre – dona una spinta in più al brano e colpisce ogni volta che fugacemente si riaffaccia. Un’altra sorpresa di un anno quanto mai ricco e un altro nome da segnarsi nel taccuino. Inutile dilungarsi oltre: stoner e psichedelia si sono persi nel bosco e hanno pensato bene di darsi un po’ da fare per passare il tempo tra un fungo e una leccata di rospo.
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