Magazine Cinema
Blue Jasmine
(Usa 2013, 98 min., col., drammatico)
Compatto, sobrio, sincero e umano. Woody Allen, in Blue Jasmine, ritrova quel dualismo fra uomo e donna a lui caro, composto di cinismo, sarcasmo e dramma.
Jasmine (Cate Blanchett) aveva tutto, una vita agiata grazie ai soldi del marito Hal (Alec Baldwin). Insomma, una borghese newyorkese arricchita. Un giorno tutto va a rotoli e Jasmine crolla e si ritrova in crisi. Si rifugia a San Francisco dalla sorella Ginger (Sally Hawkins) per rincominciare la propria vita, peccato però che la nuova realtà sociale non sarà esattamente quella a lei nota.
È da Midnight in Paris che il buon vecchio Woody Allen non riusciva a portare un suo film al di là della sufficienza. Forse l’età, forse l’instancabile lavoratore che è in lui (sforna un film una volta l’anno), ma ultimamente continuava a confermare la maledizione (non dello “scorpione di Giada”): un film sì e uno (o due) no. Dopo la parentesi romana, tentiamo di dimenticarla, Allen torna negli States e realizza un’ottima pellicola: Blue Jasmine.
Quando si guarda una sua pellicola, si tenta sempre di scovare dove si nasconde il personaggio maschile che sostituisce il logorroico, sarcastico, pungente, ma soprattutto ansiogeno, ipocondriaco e isterico Allen degli esordi. In Blue Jasmine non lo si trova. Hal? Il compagno di Ginger, Chili (Bobby Cannavale)? No, non rappresentano le caratteristiche di Allen. Si potrebbe pensare, allora, che il regista non compaia come accadde nell’ottimo Vicky Cristina Barcelona. In realtà, non è proprio così. L’errore risiede, infatti, nel cercare Allen in un personaggio maschile o non cercarlo del tutto. Woody può essere trovato, eccezionalmente, in Jasmine. Il personaggio interpretato da Cate Blanchett, infatti, si presenta in aereo sfornando una logorrea d’informazioni sulla sua vita a una perfetta sconosciuta. È ansiogena, ipocondriaca e colpita da una moltitudine di eventi.
Quindi, se da un lato si ritrova il carattere del regista in Jasmine, dall’altro lato si va oltre Allen. Banalmente, si è di fronte a una donna e non a un uomo: primo aspetto. In secondo luogo, sebbene Jasmine rappresenti i malanni di Woody Allen fin dal suo esordio, questi sono più profondi e ancorati di quelli presenti nei personaggi “alleniani”. Ecco perché la pellicola non è solo una commedia, ma è anche un dramma. È vero che Jasmine fa un po’ la vittima (livello Allen), ma lei è anche malata veramente (altro livello). Ecco perché l’ultima pellicola del cineasta risulta meno superficiale delle ultime, più profonda e sincera, realizzando un ottimo ritratto della psiche femminile pur essendo un uomo: in Jasmine c’è un po’ di Woody Allen e un po’ di qualcosa d’altro, l’aspetto femminile per l’appunto.
Un capitolo a parte per Cate Blanchett. Senza di lei, il film non sarebbe un granché. È lei che tiene alto il ritmo della commedia. La sua recitazione è impeccabile, passa dall’euforia alla sonnolenza da farmaco, da uno stile “noblesse oblige” all’isteria compulsiva. Insomma, una vera prova d’attore. Da Oscar? Perché no.
Mattia Giannone
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