Quando la fantascienza della sterminata filmografia dedicata all’invasione aliena (pacifica e non) e del cosiddetto disaster movie apocalittico incontra l’altrettanto prolifica filmografia del filone bellico, il risultato non può che essere un divertentissimo e spettacolare giocattolone iper-cinetico dal quale non ci si può di certo aspettare originalità nel plot, introspezione e spessore narrativo. World Invasion di Jonathan Liebesman è la cartina tornasole e l’esempio più calzante di questo modo di fare e concepire un cinema completamente al servizio dell’intrattenimento e delle esigenze del botteghino. Ci si trova così al cospetto di un’ibridazione che mescola in maniera sapiente gli elementi imprescindibili dei generi chiamati in causa e i relativi cliché, dando di fatto forma e sostanza ad un frullato di detonazioni, inseguimenti, conflitti a fuoco, bombardamenti, dosi massicce di effetti speciali e incontri ravvicinati del primo, del secondo e del terzo tipo. E da questo punto di vista, la pellicola diretta da Liebesman non delude le attese degli appassionati, scaricando su di essi una mitragliata di scene dall’alto coefficiente adrenalinico. Peccato che alla lunga, il divertimento cede il passo alla noia di un’insopportabile prevedibilità e ripetitività stilistica.
Nel caso del quarto film firmato dal regista sudafricano classe 1976, con all’attivo due cortometraggi (Genesis and Catastrophe del 2000 e Rings del 2005) e un terzetto di horror-thriller piuttosto altalenante per il grande schermo (l’esordio del 2003 Al calare delle tenebre, Non aprite quella porta – L’inizio del 2006 e The Killing Room del 2009), il frullato in questione assomiglia molto di più ad una maionese impazzita, i cui ingredienti, presi singolarmente, appaiono ben confezionati ma, una volta assemblati, provocano un’indigestione di immagini e suoni. Lo spettacolo ovviamente non manca ed è di discreta qualità, ma dietro di esso si palesa una povertà di scrittura dovuta senza alcun dubbio alla volontà degli autori di mettere in piedi una struttura narrativa sufficiente per supportare il minimo indispensabile le due ore di “racconto”. Forse, anzi sicuramente, per questo, scovare anche una sola sequenza nella quale le parole prendono il posto degli inarrestabili colpi di mortaio è praticamente impossibile. Del resto, basta la sola sinossi ad ammettere chiaramente le intenzioni.
Nella base militare di Camp Pendleton, vicino Los Angeles, un gruppo di marines capitanati dal sergente Michael Nantz (interpretato da un Aaron Eckhart comunque credibile, che dimostra la sua estrema versatilità passando senza alcun problema da film autoriali come The Rabbit Hole a veri e propri popcorn movie come questo), è chiamato a rispondere immediatamente a uno dei numerosi attacchi lungo la costa. Il sergente Nantz e i suoi uomini intraprendono una feroce battaglia per le strade di Los Angeles contro un nemico alieno determinato a impadronirsi delle riserve d’acqua e a distruggere tutto ciò che incontra sul suo cammino.
Sinossi alla mano la mente dello spettatore non può che tornare al passato e a quella galassia infinita di pellicole che hanno messo al centro delle storie raccontate il conflitto tra forze terrestri e armate aliene scese sul nostro pianeta per scopi per nulla amichevoli. Capostipite l’indimenticabile Ultimatum alla Terra (1951) di Robert Wise, seguito a ruota da film come La Guerra dei Mondi (2005) di Spielberg, Independence Day (1996) di Emmerich, dai quali World Invasion saccheggia spunti narrativi e idee visive senza alcun ritegno. In questo modo i dejà vu e le citazioni si allargano a macchia d’olio sullo schermo, chiamando in causa non solo lo Sci-Fi di ieri e di oggi (fortunatamente c’è chi ha saputo fare di peggio, vedi il pessimo Skyline dei fratelli Strause), ma anche il war movie vecchio e nuovo stampo; in particolare l’abominevole Berretti verdi (1968) del duo Wayne-Kellogg, dal quale Liebesman & Co. hanno preso ispirazione per partorire un film dichiaratamente ‘americocentrico’, nel quale la Hollywood della prima decade del Duemila dà libero sfogo ad un nauseante miscuglio di ottimismo, patriottismo e politically correct, che mette nelle condizioni l’esercito a stelle e strisce di sconfiggere il nemico di turno.
Francesco Del Grosso