W.p.w.

Da Antonio

Io li ho sempre immaginati andar per barca sul Tamigi i tre tizi che si nascondono dietro l’acronimo W.P.W., proprio come Jerome, Harris e George (per tacer del cane), i tre simpaticissimi personaggi del romanzo di Jerome K. Jerome “Tre uomini in barca”.

E invece Louis Wolff, Sir John Parkinson (che non è “quel” Parkinson) e Paul Dudley White sono tre cardiologi che dopo la pubblicazione di uno studio nel 1930 (la scoperta della particolare anomalia la si deve a Frank Norman Wilson nel 1915) si sono occupati della sindrome che proprio da loro prende il nome.

Tralasciando le descrizione della malattia (dico solo che è un difetto del battito cardiaco, per ulteriori info basta andare su uno dei tanti siti on line che si occupano di patologie cardiache e non solo), da qualche giorno a questa parte è rispuntata fuori nella mia vita, proprio come un vecchio maglione dimenticato in un angolo dell’armadio.

L’ultima volta che ci ho avuto seriamente a che fare è stato alla visita militare (ebbene sì, la famigerata visita militare è appartenuta alla mia epoca, anche se la mia durò lo spazio di una mattinata e non i vecchi tre giorni tre), dopo di che più il nulla.

Certo, qualche volta ne ho sentito parlare in tv (Dr. House docet) e qualche altra ne ho fatto io stesso un accenno di sfuggita a diversi interlocutori, più o meno cari e più (pochissimissimissimi) o meno (la stragrande maggioranza) attenti. Ovviamente per tutti era semplicemente il “soffio” al cuore, e figurarsi se mi son mai preso la briga di specificare la cosa. In un mondo dove, ahimè, le più elementari – nel senso letterale del termine – nozioni di qualsivoglia argomento lasciano alquanto a desiderare, anche da parte di chi davvero non te lo aspetti, probabilmente non sarebbe servito a gran che.

Insomma sta di fatto che qua la minestra è di nuovo sul fuoco. Ora, non che ci sia la possibilità (ma forse qualcuno avrebbe piacere di leggere “speranza”) del sopravvenire di qualche tipo di problema, ma la vicenda potrebbe avere una sua evoluzione. “Tifiamo perché ciò non accada” è stato l’intercalare odierno, seguito, però, da un inequivocabile “ma…”.

Sta di fatto, comunque, che il mix di emozioni, speranze, ricordi e chi più ne ha più ne metta, che mi son trovato a gestire è sfociato in un pensiero di seconda mano che ciclicamente riaffiora nell’emisfero destro del mio bacato cervello. Chissà se un giorno la mia curiosità verrà mai soddisfatta, certo è che le quote per un paio di (a questo punto davvero inverosimili) accadimenti sono davvero alte, anzi altissime. La mia puntata? Passo, decisamente. Staremo a vedere e magari a sogghignare alla fine dei giorni.



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