Nelle due ore che precedono lo spettacolo Piazza d’Armi si riempie di bancarelle che vendono abbigliamento e oggetti legati al wrestling. Questo è uno sport che attira ragazzi e ragazze, adulti e bambini; e mentre Marco si chiede cosa ci trovino tutti di così divertente, si ritrova nel catino del PalaIsozaki in mezzo a decine di ragazzini che indossano le cinture dei campioni e le maschere colorate di Rey Mysterio. Stasera però l’ospite d’onore è John Cena, wrestler da 21 titoli nella WWE, un’autentica leggenda.
Dagli spalti i cori accompagnano l’ingresso degli ultimi spettatori, finché il primo combattente entra in scena. È già sudato e mentre si avvicina al ring i suoi strani movimenti scatenano il delirio della gente. Arriva anche il suo avversario, i tifosi si schierano, la campana dà il via all’incontro. Non è una semplice lotta di finte botte; i contendenti si provocano, interagiscono con la gente, mettono a segno acrobazie circensi, salendo sulle corde e tuffandosi con stile fuori dal quadrato. Ci sono anche un match femminile e uno “di squadra”. Con il passare dei minuti Marco ci prende gusto; non è davvero il suo genere di sport ma i protagonisti sono atleti di tutto rispetto e l’entusiasmo della folla lo coinvolge.
Vengono assegnati titoli, come il WWE Tag Team Championship e il WWE United States Championship. Quest’ultimo se lo aggiudica Sheamus nel penultimo incontro, dopo un quarto d’ora di “lotta” contro Alberto Del Rio. È ciò che serve per incendiare l’atmosfera che accoglie l’ultima sfida, quella tra John Cena e Bray Wyatt; 16 minuti e 25 secondi, finché l’ultimo conteggio dell’arbitro dichiara il trionfo di Cena.
Piano piano, con il procedere degli incontri, Marco comincia a capire come mai migliaia di persone (tra cui lui stesso) si divertono di fronte a tutto questo. Ripensa a quando era bambino e passava intere serate a ridere davanti ai film pieni di cazzotti di Bud Spencer e Terence Hill. Rispetto agli attori del wrestling erano molto meno sbruffoni e muscolosi, erano vestiti e tiravano pugni senza tanti giri di parole. Ma a pensarci bene non erano poi così diversi. La gente li amava perché a chiunque piace vedere qualcuno che se le dà di santa ragione; soprattutto se per finta.