Eccola.
Potevo sentirla.
Sapevo che stava arrivando.
Anche se non è stato facile accorgersene.
Perchè lei si nasconde.
Striscia lenta, si insinua tra le pieghe della mia mente.
Inesorabile.
Senza sosta.
Mi ha consumato a poco a poco.
Non ha fretta, dopotutto.
Ed è quello il guaio.
Perchè se fosse stata un tipo più impaziente, si sarebbe fatta scoprire.
E probabilmente l’avrebbero bloccata in tempo.
E invece no.
Lei, la subdola malattia che mi ha consumato piano e senza tregua è iniziata senza un sintomo, un malessere.
Nessuno stravolgimento nelle analisi, nessun senso di spossatezza.
Mai un dolore.
E io, che sono sempre stata una di quelle donne forti, che corrono come un treno senza mai guardarsi indietro avrei avuto bisogno di un’avvisaglia.
Non fosse altro per permettermi, ad esempio, di smettere di avvelenarmi con i miei due pacchetti quotidiani di sigarette.
Ma io ero sempre di fretta, ansiosa di vivere la vita, di prenderla a morsi.
Il lavoro, la famiglia, gli amici, i nipoti.
Dovevo avere tutto sotto controllo.
Mi piaceva vivere, girare, ridere e incazzarmi.
Soprattutto incazzarmi. Quello lo facevo spesso, senza problemi.
Poi la rabbia sbolliva e tornavo a sorridere alla vita e alle persone che erano parte della mia quotidianità.
Forse l’unica avvisaglia era rappresentata dal mio umore.
Non che fossi un campione di cordialità.
Sono sempre stata difficilmente “gestibile”, mettiamola così.
E fin dalla tenera età.
Non parliamo dell’adolescenza: ero il capobanda, la prima del gruppo a fumare, la prima a prendere la patente.
Solo che, ultimamente, ero diventata più scostante, quasi intrattabile.
Sbalzi d’umore frequenti.
In alcuni casi il mio caratteraccio mi ha portato ad interrompere dei rapporti d’amicizia importanti.
E la mia testardaggine mi ha impedito poi di fare il primo passo.
Non ce l’ho fatta.
Di questo oggi mi pento.
Perchè, io questo non potevo immaginarlo, ma la malattia in quel periodo stava correndo veloce verso la sua meta finale.
E stava per fare capolino e farsi scoprire da tutti.
Solo che ha aspettato proprio l’ultimo momento, la furba.
E non c’è stato nulla da fare.
L’unica cosa che apprezzo è che è stato tutto così veloce e inaspettato.
So che chi mi ha voluto bene, quest’aspetto, non lo ha apprezzato quanto me.
Ma ora che mi trovo qui, in questa specie di nuvola grigia e viola (che erano casualmente anche due dei miei colori preferiti) e abbasso lo sguardo verso le persone che hanno viaggiato insieme a me per quella parte della mia vita, vorrei dire loro tante cose.
A mio marito e mio figlio di vivere la vita senza ansie e senza rabbia e di cogliere solo il lato positivo di ogni giorno.
Ai miei nipoti che non dimentichino mai di amare. E di sbagliare. Per riuscire ad amare di più.
Alla mia cara amica d’infanzia di smetterla di preoccuparsi sempre di avere tutto e tutti sotto controllo.
Ne avrà di tempo, “dopo”, per farlo.
Alla mia quasi figlia vorrei solo dire: Non continuare a tormentarti.
So che non siamo riuscite a salutarci prima della mia partenza.
E che quel malinteso che ci ha allontanate è soltanto questo. Un malinteso, nato dalla mia boccaccia e chissà da quale stramba paura.
So anche che avresti voluto chiedermi scusa. Ma non c’è stato tempo.
Beh, sappi che ti sto chiedendo scusa ora.
A tutti voi che avete ascoltato i lamenti di questa pover’anima vorrei soltanto dire una cosa:
Non lasciate mai nulla di non detto.
Anche se fa male, o se siete troppo orgogliosi.
Ecco.
Quell’orgoglio mettelo in un cassetto, chiudete a chiave e dimenticatevi di dove avete lasciato la chiave.
E chiedete sempre scusa.
In fretta.
Non lasciate che vi consumi il rimpianto di quello che avrebbe potuto essere e che non è stato perchè è mancato il tempo.
Amate.
Amate tanto.
E sorridete.
E ricordate con amore.
(Questo post è per te, cara amica, mia seconda mamma, volata via troppo presto e prima che potessi dirti tante cose. Ti voglio bene).
Pensato da
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