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Yakin, Bertozzi: Gerusalemme – Un ritratto di famiglia

Creato il 23 ottobre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Yakin, Bertozzi: Gerusalemme   Un ritratto di famiglia Panini Comics Nick Bertozzi In Evidenza Boaz Yakin Il racconto di Gerusalemme (testi di Boaz Yakin e disegni di ) copre il periodo che va dall’aprile 1945 al giugno 1948 e narra le vicende della famiglia Halabi (da cui il sottotitolo Un ritratto di famiglia), che si intrecciano con quelle della nascita degli stati di Israele e Palestina all’indomani del secondo conflitto mondiale e del ritiro britannico dalla regione, temperie storica affrontata recentemente anche da Luca Enoch e Claudio Stassi nel loro La Banda Stern.
La famiglia Halabi è divisa in due rami, con a capo rispettivamente Izak e Yakov. Il primo, ricco commerciante, approfitta delle difficoltà economiche del secondo per umiliarlo e pretende che il proprio figlio Jonathan nutra verso la famiglia di Yakov il suo medesimo disprezzo. D’altra parte, Jonathan è compagno di scuola di Motti, ultimogenito di Yakov, e fra i due si sviluppa nel tempo un’amicizia, che subisce e si nutre anche dei drammi della cronaca. La famiglia di Izak, grande di numero e che seguiamo più da vicino, è a sua volta attraversata da tensioni quasi laceranti fra i suoi componenti.
Il risultato è un’estrema infelicità quotidiana: guidate dall’istinto di sopravvivenza, costrette a difendersi da tutto ciò che le circonda, le due famiglie, pur sperimentando approcci totalmente diversi all’esistenza, non solo non riescono a evitare alcuna sofferenza, ma addirittura le amplificano al proprio interno. Cosicché, più che rifugi, i due nuclei sembrano solo ulteriori campi di battaglia.
L’unico spiraglio di una diversa visione sembra offerto dalla passione per il teatro, che il piccolo Motti, eccellente lanciatore di pietre in stYakin, Bertozzi: Gerusalemme   Un ritratto di famiglia Panini Comics Nick Bertozzi In Evidenza Boaz Yakin rada, appassionato lavorante dietro il sipario, scopre per caso e inizia a coltivare quasi inconsapevolmente, arrivando a imparare a memoria il testo delle opere di cui segue l’allestimento. È la passione per un qualcosa lontano dal mondo circostante, lontano dalla vita quotidiana e dai suoi orrori; qualcosa che, sembra sostenere il finale dell’opera, da solo tuttavia non basta a fondare una speranza che sia in grado di affrontare gli odi che imperversano fuori dal teatro.

Le dinamiche messe in scena rendono ragionevole considerare le vicende della famiglia Halabi come un’allegoria di quelle dei popoli che abitano l’ex mandato britannico. Passioni incancrenite, sedimentate e introiettate dagli individui, che hanno trasformato quello scenario geopolitico in espressione del linguaggio corrente, come segnala implicitamente (inconsapevolmente?) Sarah Glidden nel suo Capire Israele in 60 giorni , che si riferisce alla vicenda israelo-palestinese chiamandola “la situazione”. La convivenza fra arabi e Israele è passata di fatto da questione politica a elemento del discorso, logorato e destinato a perdere di senso. La “questione arabo-israeliana” come le “mezze stagioni”: un modo di dire e non uno stato di cose che si pensa verrà mai risolto ragionevolmente e politicamente.
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ostrano la fondazione di questa irrisolvibilità: è la forza di leva dell’odio, che porta la morte nel più crudele dei modi e garantisce carriere, rapporti di forza, ruoli di organizzazioni e partiti in un gioco di potere cinico. Come il ricco Yakov, che vuole trasmettere al figlio la propria ricchezza e il proprio odio verso la famiglia del fratello come un combinato inscindibile (indicando così una visione del mondo), così i poteri delle varie fazioni muovono le persone. Come Yakov non vuole che l’amicizia fra il proprio unico figlio e il minore dei figli di Izak porti al riavvicinamento dei due rami familiari, alla loro convivenza pacifica e costruttiva, così forze, apparentemente opposte delle fazioni in lotta, oggettivamente collaborano nel perpetuare l’odio su cui basano il proprio potere.

Dell’opera, spiace particolarmente il finale, che nella sua miscela di tragedia e fatalismo non consente alcuna remissione della brutalità e dell’odio che permeano capillarmente le vicende narrate. Il sentimento risultante è un vuoto di speranza, una vertigine di fronte a forze inarrestabili, quasi oltre la possibilità dell’intervento umano, quasi che l’attenzione divina verso la città tre volte sacra si manifestasse in un costante accanimento nel soffiare sulle braci delle rivalità.
Rivalità tra popoli, tra fazioni, tra famiglie, tra individui.
Una sorta di fenomeno frattale, che guida le azioni dei vari attori a qualsiasi livello.

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Bertozzi supporta il racconto con attenzione all’espressione delle emozioni degli individui, delle tensioni che si irradiano dagli sguardi e dai corpi. Le inquadrature sono ravvicinate i campi lunghi e panorami sono centellinati, così che il lettore si trova quasi sempre faccia a faccia con i personaggi, accanto a loro in ambienti ristretti, spesso soffocanti; il riempimento dello spazio della vignetta da parte delle figure umane trasmette anche la saturazione emotiva, provocando un diffuso e quasi ossessivo senso di claustrofobia.
Il risultato è uno scenario politico e sociale grottesco, perfino surreale, dove la paranoia è la condizione mentale ordinaria, come mostra Guy Delisle nelle sue Cronache di Gerusalemme (leggi qui la recensione di Marta Ghezzi e qui quella di Valerio Stivè).
Di fronte a ciò che sono in grado di muovere le forze avverse alla pacificazione (gli Yakov delle varie comunità e fazioni), qualsiasi spinta costruttiva, come l’arte e la ragione (rappresentate dal teatro di Shakespeare amato da Motti) o come l’umana solidarietà (qui l’amicizia fra Jonathan e Motti) devono arrendersi.

Abbiamo parlato di:
Gerusalemme – Un ritratto di famiglia
Boaz Yakin, Nick Bertozzi
Traduzione di Marco Rizzo
Panini, 2013
382 pagina, cartonato, bianco e nero – 24,90 €
ISBN: 9788863047165

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