Ma è giusto il silenzio su un caso come quello di Yara Gambirasio? E' la scelta migliore? E' sicuramente una richiesta strana, fuori dagli schemi classici: il silenzio stampa viene chiesto, su indicazione degli inquirenti, nei casi di sequestro di persona a scopo di estorisione sin dalle prime battute della vicenda in modo da poter stabilire un contatto in tranquillità e per evitare che fughe di notizie compromettano le trattative. Qui sono ormai trascorsi quasi due mesi e se di sequestro di persona si è trattato, l'estorsione non sembra il fine al quale mirano i rapitori. Dunque la richiesta di silenzio stampa arriva dalla famiglia e da un paese comprensibilimente esasperati e devastati da una tensione che sfianca. Ma siamo sicuri che la richiesta non giustificata da esigenze di indagine sia la scelta migliore per la famiglia? Siamo sicuri che spegnere completamente i riflettori su questa vicenda non voglia dire spegnere anche l'attenzione sulle sorti di Yara?
Ma siamo sicuri che senza telecamere e taccuini gli sforzi investigativi non finiscano, nel giro di qualche giorno, per diventare semplice routine, sicura anticamera di ogni caso insoluto? Basti vedere come l'indagine ha mosso i primi passi, con i suoi balbettamenti, i passi falsi, gli errori, per capire quanto la presenza massiccia dei media abbia imposto agli stessi inquirenti (sempre attenti all'immagine pubblica del loro lavoro) un salto di qualità con la messa in campo degli esperti dello Sco della Polizia, dei Ros dei Carabinieri, con le tecniche che siamo abituati a vedere nei telefilm di Fox Crime.
Forse, più che nuocere al caso, l'attenzione dei media, sia pur con tutte le distorsioni e gli eccessi della categoria, è servita di stimolo, di sollecitazione, è servita a far sentire meno sola anche la famiglia Gambirasio. Insomma: temo che senza i riflettori delle dirette la notte di Brembate possa essere più buia e più fredda per tutti. Su L'Eco di Bergamo il direttore Ettore Ongis ha scritto ha firmato un intervento sul tema carico di umanità e di buon senso, che, da giornalista, mi sento di condividere. Eccolo:
Aderiamo alla richiesta della famiglia Gambirasio di far calare il silenzio stampa sul caso di Yara, pur senza nascondere che lo facciamo a malincuore. Avremmo preferito continuare a tenere informata l'opinione pubblica e la popolazione bergamasca sugli sviluppi di questa tristissima vicenda, e di farlo con la misura, l'attenzione e la partecipazione con cui abbiamo cercato di seguirla in questi 50 giorni.
Da lunedì sia sul giornale che sul sito internet non daremo più notizie relative all'inchiesta - a meno che non si venga a conoscenza di una svolta nelle indagini - limitandoci a riferire di iniziative pubbliche o di testimonianze di affetto e solidarietà che sappiamo essere in programma nei prossimi giorni.
La scelta della famiglia, condivisa dalle autorità di Brembate Sopra e dagli inquirenti, scaturisce da un giudizio negativo su come una parte dell'informazione, e in particolare quella televisiva, ha trattato (purtroppo in molti casi maltrattato) le poche notizie su Yara, la comunità di Brembate e alcune realtà chiamate in causa anche se totalmente estranee ai fatti.
Ci sono stati colleghi che hanno diffuso informazioni infondate, seminato sospetti, elaborato teoremi, col rischio reale di intralciare le indagini degli inquirenti. Sotto accusa sono soprattutto certi programmi di informazione-intrattenimento nei quali, in assenza di notizie, troppo spesso sono prevalse le chiacchiere ripetute all'infinito.
Comprendiamo dunque la stanchezza di un paese che da 51 giorni vive con i riflettori puntati in faccia. Dal canto nostro, per quanto possibile, abbiamo cercato, anche partecipando ad alcuni di questi programmi, di stare ai fatti e di ridimensionare le fantasie.
Nell'assecondare la richiesta di silenzio, ci permettiamo però di fare presente alcune questioni. Innanzitutto abbiamo l'impressione che non basterà un appello a fermare i media. Il rischio potrebbe essere, paradossalmente, quello di lasciare il campo libero a chi fa un giornalismo senza tanti scrupoli, a danno di quanti invece lavorano con coscienza e rigore professionale.
C'è solo un antidoto al cattivo giornalismo, ed è il buon giornalismo. In secondo luogo, l'attenzione della stampa se da un lato rischia di essere troppo invadente, dall'altro può contribuire a non far abbassare la guardia su una vicenda che ha avuto un forte impatto sulla vita di tutti.
Ecco perché ci sembra eccessivo il perentorio invito degli amministratori a sgomberare il suolo pubblico di Brembate. Quello che non vorremmo si verificasse, è che il silenzio stampa, con l'andare del tempo, diventasse silenzio tout court. Questo sì che sarebbe grave.
Ettore Ongis