Di Mirella Astarita. 16 Giugno 2014: arriva la svolta.
Dopo quattro anni di indagini, scoperte e retro font si è arrivati ad un nome:Massimo Giuseppe Bossetti. Questo il nome indicato dagli inquirenti per l’omicidio di Yara Gambirasio, la bambina 13enne che il 26 Novembre 2010 scomparve, dopo esser stata in palestra.
Un caso controverso e complicato, che ha impiegato le forze dell’ordine e i corpi speciali per 4 anni e più. Un caso risolto non utilizzando le classiche “piste” fatte di moventi ed alibi, ma seguendo le tracce del Dna, quello che fu trovato sugli slip della vittima a dicembre 2010.
Da quel giorno gli investigatori non hanno mai smesso di cercare il proprietario di quella traccia di sangue. Un caso lungo che ha coinvolto decine di persone e che ha portato alla luce intrighi e segreti di quaranta e più anni fa.
Ma procediamo dall’inizio: Il 26 novembre 2010 Yara Gambirasio, una bambina di 13 anni scompare a Brembate di Sopra, vicino Bergamo. L’ultima volta era stata vista in palestra, dove praticava ginnastica ritmica, a 700 metri dalla sua abitazione. L’ultimo suo segno di vita è stato uno sms di risposta inviato ad un’amica. Ore 18:47 il suo cellulare è agganciato alla cella di Mapello, circa tre chilometri da Brembate. Dopo poco la traccia scompare.
Il 5 Dicembre viene fermato un uomo di origine marocchine Mohamed Fikri, manovale di un cantiere di Mapello, il suo fermo è basato su un’intercettazione mal tradotta. “Allah perdonami, non l’ho uccisa io” è quello che traducono gli inquirenti, mentre durante la telefonata Fikri aveva detto “Allah ti prego fa che risponda”, questo grave errore di traduzione, è stato dimostrato dall’uomo, venendo così riconosciuto come uomo estraneo ai fatti.
L’8 Gennaio la prima svolta. Arriva una lettera anonima nella quale c’èra scritto che il corpo di Yara si trovasse nel cantiere di Mapello, questa lettera fu dichiarata senza fondamento, in quanto quel cantiere era già stato ispezionato più volte.
Il 26 Febbraio viene ritrovato il corpo di Yara, vicino un torrente nei pressi di Chignolo d’Isola. Il paese si trova a circo 10 chilometri da Brembate. Dopo tre mesi esatti viene ritrovato il corpo di Yara, le prime analisi riportano che la ragazza è stata uccisa sul posto, la sua morte è avvenuta a cause delle coltellate inflittegli e del freddo.
A giugno gli investigatori isolano una traccia di Dna maschile sugli slip della ragazza, che non sarebbe, rispetto gli altri, frutto di contaminazione causale, ma risulterebbe essere quella dell’assassino. Il profilo genetico di quella traccia , però non risulta nei 2500 già raccolti dagli inquirenti. Quindi l’uomo non sarebbe nella cerchia di conoscenti e frequentatori della famiglia Gambirasio.
A settembre 2012 nasce la “pista di Gorno”, e viene alla luce, per la prima volta, il nome di Giuseppe Guerinoni. Da una marca da bollo su una vecchia patente viene estratto il Dna di Giuseppe Guerinoni (deceduto nel 1999, autista di autobus, e padre di due figli) che è simile a quello trovato sul corpo della piccola Yara. Da qui si compara il Dna ritrovato nel 2011 con quello di tutti gli appartenenti del nucleo familiare di Guerinoni, la ricerca è un buco nell’acqua: nessun familiare ha quel Dna.
Il 7 marzo 2013 viene riesumata la salma di Guerinoni, padre biologico dell’assassino. La salma viene sottoposta a tutte le analisi disposte dalla Procura.
Per più di un anno non si hanno novità, gli investigatori continuano ad esaminare il Dna di centinaia di persone, ma nulla, tutto fermo, fino al 10 Aprile 2014, quando grazie la consulenza dell’anatomopatologa Cattaneo si smontano tutti i dubbi, l’assassino è un figlio biologico di Guerinoni.
Da quel momento inizia una disperata ricerca ad “Ignoto 1”, vengono fermate tutte le donne che hanno avuto rapporti o relazioni con l’autista, vengono confrontati Dna, comparate le strutture genetiche, un lavoro certosino durato due mesi, che Venerdì scorso ha portato al fermo di Bossetti, il suo Dna corrisponde. L’uomo è il nipote della donna che all’epoca si occupava delle pulizie nella casa della famiglia Gambirasio. Gli investigatori stanno cercando i collegamenti tra l’uomo e Yara.
Bossetti è padre di tre figli, ed ha una sorella gemella. Al momento del fermo non era a conoscenza di chi fosse il suo padre biologico.
Nel capo di imputazione del pm di Bergamo contro Bossetti si legge che l’indagato ha colpito Yara “con tre colpi al capo e con plurime coltellate in diverse regioni del corpo” e “abbandonandola agonizzante in un campo isolato ne cagionava la morte”. L’autopsia sul corpo della tredicenne stabilì che la vittima era morta di freddo e di stenti e non per le ferite inferte dal suo aggressore.
Per la risoluzione di questo caso c’è stata una stretta collaborazione tra Carabinieri e Polizia, e si sono seguite due piste, una classica fatta di indagini, collegamenti e moventi, perseguita soprattutto dai Carabinieri, e l’altra più specifica, fatta di segmenti di Dna e strutture genetiche a cui hanno collaborato la Polizia e i corpi speciali. In Italia non esiste un caso analogo.
Bossetti al momento è in stato di fermo, è stato interrogato, ma il contenuto delle ore di colloquio non è pervenuto, tutto sotto silenzio, un caso “maneggiato con cura” nel rispetto, in questi anni mai una parola di troppo né un’ indicazione ambigua, per questo ora è nata una diatriba tra il tribunale di Bergamo e il ministro dell’intermo Angelino Alfano, che fin da subito ha annunciato il nome dell’assassino fornendo tutte le informazioni del caso, quasi come se, domenica, insieme alle forze dell’ordine, durante il fermo, ci fosse stato anche lui.
In questi anni, la famiglia Gambirasio ha affrontato il dolore, con estrema umiltà e riservatezza, ha saputo resistere alla foga mediatica, alle telecamere che quasi con forza volevano entrare nel loro menage familiare. Un esempio, una famiglia unita e sorretta dalla fede. Il parroco del Paese, durante la predica, ha ricordato l’esempio di questa famiglia, e le parole del padre di Yara: “se lei è morta è perché noi diventassimo più buoni. Cosa facciamo nei confronti del presunto assassino? Invochiamo la pena di morte? No, certo. A me interessa che Yara sia stata e continui ad essere un dono per la nostra comunità”