Magazine Cultura
Yaron Herman, pianoforte
Stéphane Kerecki, contrabbasso
Jeffrey Boudreaux, batteria
Si pa presto, di questi tempi, a parlare di "genio". Concetto inflazionato, un po' come "guru" oppure "enfant prodige". E dunque ascoltiamolo, questo giovane israeliano che ha rifiutato la serializzazione delle scuole di jazz americane, preferendo un meno comodo soggiorno parigino (del resto anche Chopin scelse, a suo tempo, di vivere e morire presso la Ville Lumière, mica a Boston...).
Dopo un iniziale jarretteggiamento, con tanto di vocetta sofferente in omaggio al mitico Keith si va verso cose più originali (meglio!). Un po' di Nirvana, un po' di Dewey Redman (una "Moochie, Moochie" ampiamente rimaneggiata) e poi Yaron Herman.
Bene, molto bene. Una tecnica impeccabile, una grande passione, un tocco preciso ma non per questo privo di sensualità. Partecipazione, intensità e soprattutto molta capacità di trasmettere queste emozioni al pubblico, creando uno show estremamente diversificato che va dal lirismo alla Jacky Terrasson (che pure lui vive in terra di Francia) a certi momenti di "climax" alla Bad Plus. E non è dire poco.
Bene, molto bene, dicevamo. Ottimi anche i due compagni di avventura, con un contrabbasso che non si impaurisce a suonare un po' di R&B ed una batteria che riesce a passare da atmosfere quasi impressionistiche, fatte di piccole percussioni e spazzole, a momenti di suono possente e vigoroso.
Allora, come dicevo, lasciamo che all'ottimo Yaron diano del "genio" tra qualche decennio. Lasciamo che il tempo, come dice il Santo Vangelo, separi il grano dalla pula. E, per l'intanto, godiamoci lo spettacolo.
E questo è tutto dalla Casa del Jazz.
Marco Lorenzo Faustini
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