Yellow cab, gypsy cab, dollar cab, holla back. From Marieclaire.it with Love

Creato il 11 settembre 2013 da Agipsyinthekitchen

Bambini, Halloween, Gramercy Park, NYC


New York.
La prima volta avevo circa 15 anni: mamma, il suo fidanzato di allora, i figli del fidanzato di allora. Non mi ricordo molto, se non l'immane fatica di adattarmi a quel fuso orario e la scontrosità per essere lì senza quella che io ritenevo la mia famiglia per intero: mamma e papà.
La seconda volta avevo 18 anni: ero a Boston a studiare e con Enrico, il mio primo grande amore, decidemmo di fare la nostra prima fuga romantica, quella che avrebbe suggellato il mio definitivo passaggio a femmina, a donna, e non più bambina, e decidemmo che il teatro di questo evento dovesse essere solo e proprio la Grande Mela.
Mi ricordo l'hotel un po' anonimo, con questi letti immensi, king size bed ricoperti da  trapunte un po' stantie, un po' folk.
Mi ricordo le luci, mi ricordo quella vertigine di trovarsi dalla parte opposta del mondo e al tempo stesso essere completamente libera e abbandonata a quella nuova esperienza, sapendo che in quei momenti si stavano costruendo ricordi indelebili, di quelli che proprio non ti potrai mai scordare, di quelli che racconterai alle tue figlie, e poi alle tue nipoti e loro stesse quando si troveranno in questa città ridacchieranno con le loro amiche ricordando quella matta della loro nonna Alice, nel lontano millenovecentoequalchecosa, che faceva scorribande e scopriva l'amore con un ragazzo dai capelli rossi e che aveva come animale domestico un'anaconda di nome Peggy.
La terza volta invece avevo 24 anni: ero appena tornata da una vacanza con amici ed ero stata obbligata da mia madre a partire alla volta dell'Italy-America Chamber of Commerce.
Le urlai, mentre superavo i controlli doganali, che sarei tornata dopo due mesi, che questa era una delle sue idee balzane e che lo faceva solo per non avermi intorno.
Che sciocca: non ritornai più in Italia, se non per rinnovare il visto e dare gli ultimi esami in università, per i successivi tre anni a venire.
Ero Alice nel paese delle meraviglie: camminavo su e giù per i blocks come se fosse la cosa più naturale del mondo, la sera facevo da baby sitter, ordinavo home delivery ogni giorno e mi divertivo a parlare con gli sconosciuti.
Mangiavo orange cranberry muffins bevendo spremute d'arancia e compravo tuberose al mercato dei farmers di Union Square ogni sabato.
Anthopologie, ABC Carpet, il cinema all'angolo tra la 21ma e la quinta, insieme con il Mimosa e le uova strapazzate, erano i miei rituali domenicali.
Neutralizzata newyorker, andavo a schiarirmi i pensieri in Central Park, mangiavo frozen yogurt dopo cena camminando sull'Hudson nelle sere primaverili e cominciavo ad agghindarmi per le varie feste di rito - Halloween, Thanksgiving, Natale- con un largo anticipo di mesi.
Avevo un amore, Marco, che lavorava nella city  e  mi baciava nel bar del W sotto casa e subito dopo una passione per Marcello, giovane cameriere toscano pieno di piercing e conosciuto al Gradisca, piccolo ristorante  italiano a Chelsea, che invece mi baciava ogni notte, finito il suo turno al ristorante, all'Express, una brasserie aperta 24 ore all'angolo tra la 23ma e Gramercy park, dove abitavo.
Scendevo il sabato mattina da casa, con ancora il sonno negli occhi, e il cappotto indossato sopra il pigiama per comprare Vogue US e bagels caldi nel delhi a fianco al mio portone e , come nella migliore tradizione di questa serendipità che avvolge questa città, ho incontrato Julia Roberts, anche lei nella mia stessa tenuta, ed anche lei diretta a comprarsi ciambelle e caffè nero.
Facevo yoga e mangiavo pretzel con la stessa facilità con cui ora scrivo.
Scovavo mercatini vintage e bevevo frozen margarita per poi spalare le tonnellate di neve che cadevano puntuali d'inverno.
Mi incantavo davanti ai pulmini gialli delle scuole e andavo al MET ogni mese.
Arrivava l'Autunno e mangiavo granola, bevendo sidro di mele caldo, nel ristorante dello Zoo di Central Park, comprando stupide calamite ogni volta e matite colorate.

mele a central park


Gipsy e lo street food newyorkese, qualche anno fa..


Union Square Market


La quarta volta che tornai ero con G.
Ovvero Lui che credevo l'uomo che avrei sposato, che forse dopo di lui chissà se amerò ancora così tanto e così forte.
Lui con cui abbiamo subaffittato questa minuscola casa uptown, dove i vicini la sera di capodanno ci avevano offerto wine and cheese, dove le pareti avevano i mattoni a vista, dove il riscaldamento borbottava e la doccia funzionava male.
Ma chissenefrega: eravamo così innamorati, così al sicuro dal freddo natalizio che tutto questo amore ci proteggeva e rendeva ancora più magica questa città.
Di quelle vacanze di capodanno mi ricordo noi, noi e quella meravigliosa camminata nelle luci fredde della sera, da Chinatown su fino alla nostra casa, tenendoci la mano e raccontandoci delle nostre famiglie e del futuro e tutto era così bello e naturale e sembrava di rimanere incantati in quel momento, in cui tra noi e tutto il resto c'era un oceano di mezzo.
Una meravigliosa prova di vita a due, in cui le nostre anime coincidevano ancora meglio che il burro con le noccioline.

Gipsy qualche anno fa con coroncina pre Capodanno


La quinta volta invece, feci da fattorino di lusso: dovetti portare in occasione del ballo al Metropolitan un abito fatto su misura per Madame Ciccone.
Partita di fretta e furia, senza preavviso e un po' agitata.
Il tutto si trasformò portata a termine la missione, in un weekend con la mia zia di Londra, che al tempo viveva lì.
Un weekend di shopping, di risate, di leggerezza, di confidenza come solo le zie sanno regalare.
Una New York in primavera, con il caldo che ti fa sorridere.
E mangiando una cupcakes abbiamo perfino ritrovato un cellulare su una panchina, che solo dopo, quando l'abbiamo restituito, abbiamo scoperto che era nientepopodimeno che di Vito Schnabel. Cose che succedono solo a NY.
Incroci di vita e di sguardi e di destini che vengono travolti nell'arco di una manciata di secondi.
La sesta volta eravamo di ritorno dagli Hamptons, sempre io e G.
Quella che per me era stata una luna di miele, in realtà aveva segnato il prodromo della fine della nostra relazione.
Come un cerchio che si chiude, ma anche quella volta questa incredibile città mi aveva regalato tramonti inaspettati e momenti delicati, da conservare come piccoli segreti nascosti.
Ed eccoci qui: un altro 11 settembre.
Un altro motivo in più per non scordare.
Si: ricordiamoci di non dare nulla per scontato.
Che la vita è meravigliosa e ci sono posti che sono fatti di pura magia e che regalano emozioni e sensazioni difficili da ritrovare. O forse siamo noi che mettiamo la magia in quello che facciamo, siamo noi che la portiamo un po' nei posti che visitiamo.




Una ricetta che per me fa autunno, e porta allo stesso tempo un po' di...magia, quando sprigiona il suo profumo dal forno.
Plumcake alla rosa
Nel carrello della spesa
1 vasetto di gelatina alla rosa
vaniglia pura del madagascar, 1 cucchiaio
1 bustina di lievito
1 vasetto di yogurt magro
250 gr di farina manitoba
70 gr di zucchero a velo
60 gr di zucchero di canna
50 gr di burro
3 uova
50 ml di latte
Voilà...Andiamo ai fornelli
Lavorare le uova con lo zucchero fino ad ottenere una morbida spuma bianca. Aggiungere la vaniglia, la farina setacciata con il levito, lo zucchero, il burro fuso e raffreddato, lo yogurt e impastare. A poco a poco incorporare il latte. Quando il composto è omogeneo, aggiungere la gelatina alla rosa e mescolare.
Fate cuocere per 45 /50 minuti a 160°C.
NB: la parte sotto rimarrà molto morbida, sembra quasi non cotta...ma lo è...ed è deliziosa!E' la gelatina alla rosa che con il calore si è cristallizzata!
oggi mi trovate quihttp://www.marieclaire.it/Cucina/Il-blog-di-Alice-Agnelli

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