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Una mattina del 1940 nel New England, l'intera popolazione della cittadina di Friar New Hampshire, ben 572 persone, si mise in cammino su per un sentiero di montagna, lasciandosi alle spalle vestiti, soldi, effetti personali. Tutte queste persone abbandonarono anche i loro aninmali domestici: tutti i cani rimasero legati o chiusi nei loro recinti e morirono di fame. Nessuno seppe mai spiegare perché lo fecero. Gruppi di salvataggio inviati dall'esercito riuscirono più tardi a individuare i resti di circa trecento degli scomparsi.
Alcuni erano morti assiderati, altri erano stati barbaramente e misteriosamente uccisi...
Col passare degli anni un'accurata azione di "insabbiamento" riuscì a contenere e a far dimenticare questa triste storia e le leggende createsi attorno a Friar e ai boschi selvaggi che la circondano: la città tornò a popolarsi e qualcuno, principalmente cacciatori, osò addirittura tornare in quelle foreste.
Oggi però un gruppo di ricercatori è convinto di aver trovato il sentiero percorso 70 anni prima dai "camminatori di Friar" ed è deciso a seguire quella strada e arrivare a fare luce su questo incredibile mistero.
La loro ricerca avrà presto dei risvolti terribili...A prima vista siamo dalle parti di un revival di "The Blair Witch Project" (1999). C'è questo sperduto paesino statunitense sul quale aleggia una leggenda molto realmente raccontata nelle prime sequenze con le foto in bianco e nero della tragedia collettiva degli anni '40. C'è una natura avvolgente e sinistra, anonima, frondosa, muta e troppo grande per essere capita dagli umani. C'è il gruppo di ricercatori storico-antropologici ben decisi a studiare il fenomeno: il tutto è narrato da Holland e Mitton senza fronzoli particolari, con freddezza quasi entomologica, vedi il primo gelido impatto tra ricercatori e abitanti della cittadina di Friar. I registi ci fanno poi, saggiamente, entrare in medias res, come a volerci dire 'questo che vedete non è TBWP, che ben conosciamo, quindi lasciatevelo alle spalle e seguiteci subito sulla YellowBrickRoad'. Sono presenti tuttavia altre suggestioni, come rimandi a "Lost", e poi certamente al mitico e indimenticabile "Picnic a Hanging Rock" (1975) del grande, grandissimo Peter Weir. Di quest'ultimo film "YellowBrickRoad" riprende lo stile sensorial-naturalistico, con quelle sequenze che riprendono cieli alti levati in mezzo ai rami di grandi querce, oppure i campi lunghi e medi di distese di fiori ed erba carezzata dal vento. I rimandi ad opere similari sono comunque consapevoli e ben inseriti in questa originale pellicola dei due registi statunitensi. Originale perchè inscrive il tema del mistero della Natura Matrigna Omicida, così atavico, primigenio, all'interno di una storia "moderna", con tanto di strizzatina d'occhio alle cosiddette "nuove tecnologie". Grande profusione quindi di videocamere digitali, ma sempre in equilibrio anti-mockumentarisico, con una sceneggiatura ben scritta, misurata, che ci porta lentamente ma inequivocabilmente nel territorio dell'inquietudine. Ottimo inoltre l'uso del sonoro, che contrappunta lo scorrere delle inquadrature con effetto molto straniante, nonchè generando un climax emotivo graduale ma inesorabile. Il gruppo di attori (particolare menzione per Michael Laurino) è ben assortito e selezionato. L'interazione tra i vari personaggi sulla scena è costruita con una finezza psicologica che guarda al gruppo come individuo e organismo vivo e conflittuale nella sua relazione enigmatica con l'incombente Natura circostante. Il primo picco conflittuale tra due personaggi, Daryl (Clark Freeman) e Erin (Cassidy Freeman), carica come una molla la tensione, spingendola verso un puro gore davvero molto spiazzante e benvenuto perchè imprime alla storia un'aura perturbante molto efficace. A partire da questo primo innocuo litigio, che si tramuta improvvisamente in violento omicidio, il film corre speditamente e con vigoria lungo un sentiero horror molto acutamente disegnato dai due filmaker. Certo, da qui in poi, tutto diventa misterioso, incomprensibile, le bussole cominciano ad impazzire, così come le menti dei nostri ricercatori, così inizialmente "scientificamente orientate". Ma "YellowBrickRoad" è un film che sorprende, che organizza la suspense in modo ritmato e mai annoiante, che si fa cioè guardare con interesse, e nel quale si coglie passione e inventiva da parte degli autori. Per esempio le sequenze in cui i protagonisti vengono letteralmente bombardati da fortissimi stimoli acustici provenienti da un altrove naturale non identificato, pur essendo molto "Lost"-featured, possiedono una loro particolare potenza evocativa che non mi pare di aver visto in certo cinema perturbante recente che si rifa al solito "TBWP". Il pregio di "YellowBrickRoad" consiste cioè nello srotolarsi di una sceneggiatura nella quale il mistero si infittisce sempre di più, attraverso il ricorso a tecniche polimorfe, tra cui un sonoro stridente e disturbante, nonchè il gore collocato in situazioni in cui non ce lo aspetteremmo affatto. Di non secondaria importanza la fotografia di Michael Hardwick, che fonda la sua filosofia su un uso della luce naturale e sull'accentuazione della sua ugualmente naturale umbratilità. I due registi, Jess Holland e Andy Mitton, sono comunque coloro da tenere maggiormente d'occhio, rispetto agli sviluppi futuri della loro poetica, poichè la loro modalità sperimentale di guardare all'horror, in questo film, rende questo loro esordio molto interessante e apprezzabile. Anche il finale, che attinge alle suggestioni carpenteriane di "Il seme della follia" (1994), possiede una sua originalità, pur rimandando ad altri stilemi cinematografici. "YellowBrickRoad": consigliato. Regia:Jesse Holland, Andy Mitton Sceneggiatura:Andy Mitton, Jesse Holland
Fotografia:Michael Hardwick Cast:Michael Laurino, Anessa Ramsey, Alex Draper, Cassidy Freeman, Clark Freeman, Tara Giordano, Sam Elmore, Laura Heisler, Lee Wilkof
Nazione:USA Produzione: Points North Films Anno:2010 Durata:90 min.
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