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Yokomichi Yonosuke (横道世之介, A Story of Yonosuke). Regia: Okita Shuichi. Sceneggiatura: Maeda Shiro, basato sul romanzo di Yoshida Shuichi. Fotografia: Kondo Ryuto. Montaggio: Sato Takashi. Musica: Takada Ren. Interpreti: Kora Kengo, Yoshitaka Yuriko, Ikematsu Sosuke, Ito Ayumi, Asakura Aki, Satsukawa Aimi, Yo Kimiko, Yozo Kitaro, Kunimura Jun. Produttore: Nishigaya Toshikazu. Durata: 160’. Anno: 2013
Kora Kengo lascia le vesti dello yazuka bello e dannato che (come non ricordarlo) interpretava efficacemente in The Egoists di Hiroki Ryuichi, per indossare, in maniera convincente, quelle di un ragazzo molto naïf, approdato dalla provincia nella Tokyo dei rutilanti anni Ottanta.
Il giovane Yonosuke del film di Okita ha il nome di un comico e la presenza scenica di un outsider, fuori dagli schemi così come altri personaggi di precedenti opere del regista: si pensi a The Woodman and the Rain del 2011 o anche a The Chef of South Polar del 2009. Del resto diversi altri registi giapponesi negli ultimi tempi hanno inserito nelle loro opere figure maschili socialmente non omologate: un esempio, tra gli altri, il recente See you Tomorrow, Everyone di Nakamura Yoshihiro.
Yonosuke è ingenuo, ma simpatico: all’università si iscrive, insieme ad una coppia di nuovi amici, al club di samba, si lascia coinvolgere in situazioni diverse al limite del grottesco dalle persone che incontra (come la escort che lo assolda per accompagnarla ad una cena), si innamora di Shoko, una ragazza molto ricca e un po’ strana, come lui.
Il film procede per salti temporali, improvvisamente il regista sposta l’azione molti anni dopo mentre una coppia ricorda i tempi dell’università e le avventure da ragazzi con il giovane bizzarro, per poi tornare agli anni Ottanta. Proprio attraverso questi “spostamenti”, non subito, ma nel procedere del film, lo spettatore ha modo di capire che Yonosuke è venuto a mancare, i suoi amici ricordano una persona ormai deceduta, e questi scorci di memoria, sapientemente mescolati alle vicende grottesche che coinvolgono i ragazzi, pervadono l’opera di un’atmosfera a tratti malinconica.
La storia d’amore tra i due “pesci fuor d’acqua” Yonosuke e Shoko, gode di momenti di surrealtà del tutto compatibili con i personaggi, come quando il ragazzo le chiede impacciato se loro due in effetti stiano insieme e lei, scioccata dalla domanda, si avvolge in un pesante tendone e gli risponde nascosta dall’involto di tela. Il tutto sotto gli occhi di una impassibile cameriera che si trova appoggiata ad una delle pareti della sala. Il regista introduce però anche cenni a problematiche sociali: proprio mentre i due si trovano di sera su di una spiaggia nel tentativo di scambiarsi goffi abbracci, approda un barcone pieno di profughi in arrivo dal Vietnam e la scena si trasforma in un fuggi fuggi generale nella più totale confusione.
Si ride (delle lezioni di samba in piena campagna, per esempio) nel film di Okita, ma con un senso di nostalgia per il tempo che passa: Yonosuke si dilettava di fotografia, e chiudono il film proprio gli scatti (e quindi lo sguardo) del protagonista che oramai sappiamo non esserci più, mentre, significativamente, petali di ciliegio si staccano, simbolo dell’effimero e della vita che finisce.
E’ un’opera che da un lato si interroga sui rapporti tra le persone, sull’impronta che ciascuno di noi lascia durante il proprio percorso di vita, dall’altro ci regala quel senso di calore coraggioso che ispira sempre la non omologazione. [Claudia Bertolè]
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