Magazine Cinema
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La vita di Jack Kevorkian, il medico americano che effettuò oltre 100 eutanasie (anche se tecnicamente permetteva alle persone di suicidarsi con metodi non dolorosi) su pazienti terminali e che lottò attivamente (in tribunale come nei media) per rendere completamente legale l'eutanasia e il suicidio assistito.
Se è vero che da anni la televisione (negli Stati Uniti e in Inghilterra soprattutto) ha alzato la qualità media delle serie (il recente "True detective" già dice tutto) e dei film tv prodotti, è anche vero che è la HBO a dettare il passo e a produrre (o solo a trasmettere) alcuni dei prodotti più interessanti. Nel campo dei film tv, i migliori (o i più intriganti) degli ultimi anni (penso ad RKO 281, Angels in America, Game change, Dietro ai candelabri, ecc...) vengono tutti da li; non tutti sono capolavori, ma tutti sono interessanti e tutti hanno un grande cast e budget invidiabili.
Detto ciò, questo è una di quelle produzioni. Un film tv girato da Dio (per gli standard televisivi) in colori delicati, macchina da presa che si sofferma a cogliere le luci soffuse sullo sfondo, che insiste nei volti dei personaggi; niente di epocale, ma una confezione ottima e delicata come vorrebbe essere la trama.
La storia è sorretta da un cast bellissimo, con una paio di nomi grossi infilati in parti secondarie (la Sarandon poco utilizzata, ma con un personaggio ben caratterizzato, Goodman colpevolmente troppo sullo sfondo, anche solo per un personaggio bello, ma piatto), una serie di comprimari all'altezza dell'obiettivo, ma soprattutto un Pacino in grandissima forma, invecchiato, anaffettivo, freddo, tagliente e deciso, praticamente irriconoscibile, praticamente una delle sue migliori interpretazioni da diversi anni.
Unica pecca è la storia. Ovvio che la trama parteggi per il protagonista, ovvio lo spingere sull'emotività, ovvio anche il dover far stare spunti diversi in un tempo limitato (la difficoltà di rendere una vita sullo schermo è proprio in questo), però il lavoro è fatto male. Si concentra sulla lotta a favore dell'eutanasia e scegli, per farlo, un tempo piuttosto lungo, dalla sua prima morte assistita al suo ultimo scontro in tribunale; nel mezzo però ci infila troppi spunti, diverse facce che vorrebbero rendere bene il personaggio, ma che alla fine portano via tempo al resto (la mostra dei suoi quadri, attitudine quella della pittura appena accennata in una scena precedente; il rapporto con la sorella risolto con uno spalleggiarsi mai spiegato e in una litigata; il rapporto con Goodman, sostanzialmente utile solo a mettere un altro nome importante di fianco a quello di Pacino; il personaggio della Sarandon, buono solo per far morire una persona vicina al protagonista); il risultato è quindi quello di dover accelerare sulle sequenze finali.
Con qualche decisione in più nella scrittura del plot si avrebbe avuto un film tv perfetto; al momento ci accontentiamo di un film tv molto bello.
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