YOUNG ADULT (Usa 2012)
Mavis Gary, il personaggio principale di questo film, guida una Mini, scrive su un Mac, chiama con un iPhone e indossa magliette Hello Kitty. Vuole riconquistare il fidanzato neopapà dei tempi del liceo e allora parte in auto alla volta del suo paesino natale in Minnesota. Gli eventi che la vedono coinvolta ci spingono a identificarla con i personaggi dei libri che scrive, adolescenti imbranati alle prese con le prime scottature della vita. Considerate queste premesse, dunque, il film, nei suoi primi 30 minuti, rischia di essere, nell’ordine: 1) una di quelle pellicole superfighette tutta accessori e niente cervello; 2) un banale road movie messo in moto da un banalissimo pretesto; 3) un’opera dalle ambizioni sociologico-generazionali, della serie “vediamo cosa succede a questi giovani d’oggi che non sanno crescere e rimangono in un limbo di depressione post-adolescenziale per tutta la vita”. Tutto ciò, per fortuna, e nonostante un titolo ingannevolmente epocale (se avessero cominciato a chiamarci “generazione young adult” avrei cambiato pianeta), non accade: gli accessori/sponsor a un certo punto smettono di accumularsi, il viaggio in auto sulle (belle) note dei Teenage Fanclub finisce subito e il discorso sociologico rimane invece confinato alla figura della protagonista, dipinta anzi come un’eccezione alla regola, come una persona malata e infelice.
Cosa rimane, allora?
Non moltissimo, a mio parere. Rimane la bella interpretazione di Charlize Theron, per esempio, capace di reggere più o meno da sola sulle sue spalle un film dalla sceneggiatura esile esile e dalle ambizioni estetiche inesistenti, a metà strada tra La mia vita a Garden State e Elizabethtown: il topos dell’uomo o della donna che per qualche triste motivo torna alla propria cittadina natale di provincia dovrebbe essere vietato per legge, a Hollywood. Rimane un titolo in più nella prescindibile filmografia di Jason Reitman, che dopo i carini esordi (“promettenti” sarebbe eccessivo; cfr. Thank you for smoking e soprattutto Juno) si è ormai specializzato in film che si fanno guardare anche volentieri e che si dimenticano il giorno dopo (cfr. questa volta Tra le nuvole). E rimane, a quanto ne so, ed è un peccato che ciò accada in una pellicola tanto mediocre, il primo riferimento nostalgico agli anni Novanta mai udito in un film. Argomento: magliette di rock band. A un certo punto qualcuno, forse proprio Mavis, farfuglia qualcosa tipo: “Già, gli anni Novanta… Mitici”. Che tragedia: si comincia a parlare di quel decennio come negli anni Ottanta si parlava dei Sessanta. Non si sfugge alla nostalgia.
Alberto Gallo