C’era una volta il luogo comune per cui entra nel corpo docente universitario solo chi:
- è figlio di
- è parente di
- è amante di
Il luogo comune è sfatato da varie osservazioni e provvedimenti. Fra i provvedimenti, quello originato dalla riforma Gelmini per cui non si può fare alcuna domanda di contratto presso un Dipartimento Universitario dove sia già impiegato un parente (sino al quarto grado di parentela). Fra le osservazioni, quelle inerenti la qualità della ricerca nell’accademia italiana che dimostrano che non siamo poi così male, dunque probabilmente un minimo di reclutamento saggio e costruttivo è stato fatto, anche nelle nostre Università.
Aldilà di questi luoghi comuni che comunque, almeno in parte, è piuttosto semplice sfatare, ce ne è uno molto più difficile da confutare anche per chi vive le realtà migliori dell’Università italiana: il fatto che si viene reclutati dopo aver dimostrato subordinazione e fedeltà ad un gruppo di ricerca. Tale subordinazione molto spesso viene vista/vissuta come una totale rinuncia all’indipendenza, non solo nella scelta di un tema o di un percorso di ricerca, ma anche nel palesare le proprie idee e critiche su scelte e modus operandi anche strettamente inerenti la ricerca in atto. Lungi dal voler aprire un dibattito sul perchè questo avviene (mi occorrerebbero una decina di post, almeno), vi vorrei segnalare delle dichiarazioni estemporanee che farebbero saltare sulla sedia molti docenti. Del tipo “Io ho potuto fare la carriera che ho fatto solo perché mi trovavo in un luogo dove si privilegiava l’indipendenza, l’autonomia e la capacità di leadership”. Non basta, perchè questa faccia tosta dice persino che i docenti universitari che vogliono rimanere in servizio dopo i 70 anni “offendono la propria università ma soprattutto i giovani. In un momento di sacrifici per tutti li facciano anche loro che hanno avuto tanto da questo mondo”. E il risparmio sul turnover attuato brutalmente sinora “vuol dire chiudere le porte a ciò che è fondamentale per l’università: il ricambio generazionale”. Verrebbe da chiedersi chi ha avuto il coraggio di dire tanto, mettendosi chiaramente contro “i padri” dell’Università italiana ed inneggiando ad una spregiudicata indipendenza, autonomia e capacità di leadership…ecco qui la soluzione.