- Dullah, con il vento umido sono arrivate anche le formiche: grosse eh? Saranno lunghe un centimetro. Secondo te, sono pericolose? -
Dullah ha 35 anni circa, o almeno così pensa, in base a calcoli piuttosto vaghi: sua madre e suo padre non hanno mai saputo leggere, scrivere o contare. Forse sapevano in quale stagione Dullah fosse stato partorito sul pavimento di casa, ma quando era giunto il tempo per lui delle domande, suo padre era già morto e sua madre non ricordava più nulla.
Piccolo, magro, con gli incisivi sporgenti e gli occhi gialli, Dullah è arrivato a Zanzibar da Pemba, 10 anni fa. Ha modi pacati, persino tristi, ti ferma in spiaggia offrendoti dei tour che poi avrebbe difficoltà ad organizzare, conosce poco dell’isola e ti racconta della sua vita dura. Ti dice che non mangia perché deve mettere da parte i soldi per comprare una casa e di conseguenza riuscire a sposarsi, perché senza soldi nessuna donna ti sposa e senza sposa e senza figli, che vivi a fare.
Qualche volta però Dullah dice anche la verità, forse perché in un continente dove l'età media è sotto i trent'anni lui comincia a sentirsi vecchio, ma soprattutto stanco. Così, se gli chiedi se vende droga, dice “ogni tanto” e racconta di essere stato un ragazzo che voleva sempre fare a botte ma non ne sa il motivo. L’avevano persino bocciato a scuola e questo gli brucia perché sa di essere più intelligente di altri. Vorrebbe imparare a manovrare una barca a vela, e nel suo zainetto ha un quaderno ordinatissimo a righe larghe e una penna: prende appunti su frasi in lingua straniera, ma solo quelle che possono servire per un eventuale business, tipo aprire un ristorante. Ultimamente non ci vede più da vicino, non riesce a leggere bene, e questo per lui è fonte di ulteriore scoraggiamento.
- Di che colore la formica? Se nera, no problem. Se rossa, problem. Se ha le ali, molto problem: se ti punge, piangi. -
Ha detto così anche a proposito di una piccola medusa azzurra che abbiamo trovato sulla spiaggia: “Questa è morta e non fa niente, ma di solito ha dei filamenti blu che in acqua non si vedono e se ti tocca, piangi per il dolore” e ha fatto il segno delle lacrime che scorrono lungo le guance.
Nel suo paradiso di musulmano poco praticante, tutti hanno una media di 25 anni, non invecchiano e non si ammalano mai; c’è cibo in abbondanza e ti puoi sposare, puoi fare tutto quello che vuoi e vivrai lì per sempre con tutte le cose che ti servono e senza sofferenza: niente di più di quello che potresti avere in una vita fortunata, a parte vecchiaia e malattie.
Dullah ci aspetta al di là della fila di pali che in spiaggia separa la parte privata dei turisti dal tratto pubblico. Non prova neppure a superare la barriera, anche se potrebbe facilmente passare tra un palo e l’altro: dalla parte proibita ci sono i guardiani Masai con le braccia ingessate di perline che camminano gobbi come avvoltoi e hanno una testa che pare capace di ruotare a 360 gradi. C'è anche un cane con al collo delle collane colorate che riesce a distinguere perfettamente tra guardie, personale, turisti e tutti gli altri: quando mi vede scodinzola e si mette a pancia all’aria coprendosi gli occhi con le zampette, che hanno unghie e potenza da Velociraptor; si fa vergognosamente grattare per ore ma è capace di rincorrere un motorino per chilometri, se questo ha commesso l'errore di attraversare senza permesso il “suo” territorio, e persino di tirare giù il guidatore per mangiarlo vivo. Anche per questo motivo Dullah, come tutti gli altri, ha molta paura dei cani: son posseduti da spiriti maligni, dicono; possono cambiare da un momento all’altro e aggredirti. Niente cane miglior amico dell’uomo, qui: sono animali infidi e soprattutto hanno denti troppo grossi.
Dullah ci vuole portare a un party frequentato da locali, in un posto proprio locale, non per turisti, dove si mangia spendendo poco, anche se il menù è ridotto al solo Mishkaki: banane fritte con salsa, e spiedini di pollo. Si è presentato docciato e senza zainetto da Beach Boy, e nell'accompagnarci, questa volta non si sforza di adattare la sua andatura a quella dei turisti grassi: corre come una pantera nel buio, per i sentieri appena accennati che escono dal villaggio. Quando io inciampo in qualche buca lui dice: “Sorry, pole pole” e io vorrei rispondergli: "Pole pole un corno, stai viaggiando a velocità bicicletta sullo sterrato con le ciabatte infradito: come ci riesci?” ma intanto arriva silenziosamente un altro ragazzo che spinge con i piedi sul sentiero un motorino spento, e lo vedo soltanto perché ha una sigaretta accesa.
Mi accorgo all'improvviso che in ogni cespuglio scuro ci sono persone scure che ci fissano in silenzio: le intravedo grazie alla luce della luna e soltanto se si muovono, ma quando noi passiamo si immobilizzano, e questo non mi piace. Dullah procede a testa bassa senza guardarsi intorno e non riesco a capire se siamo in un posto pericoloso oppure no. Mi coglie il solito raptus del supereroe e vorrei dire a tutti di lasciare perdere il club locale e di proseguire in questo gioco della boscaglia misteriosa: voglio togliermi le scarpe a mio rischio e pericolo ma imparare come si diventa un'ombra muta, che scivola tra i cespugli come un cobra, senza neppure respirare. Purtroppo però, le cose che divertono me non divertono mai nessun altro, già lo so: taccio e procedo frustrata osservando lo scenario come un bambino guarda un parco giochi mentre è trascinato altrove dai genitori.
La musica, che da lontano, e forse anche da memorie televisive demenziali, sembrava di tamburi, si trasforma da vicino in semplice disco-dance dal ritmo pedante: molte canzoni, tutte in Swahili, ripetono spesso la parola "Tanzanìa".
Insomma, è una balera all'aperto, appena più smunta di una Festa dell’Unità organizzata in un paese di periferia: c’è una piccola spianata di cemento con dei pali di legno che sorreggono una tettoia di lamiera e un disk-jokey con il berretto da baseball e un portatile appoggiato su un tavolaccio. Un faro intermittente, forse epilettico a causa degli sbalzi di corrente, illumina una grande vasca di sabbia che sembra essere la pista da ballo. Intorno, erba secca e spazzatura.
L’interessante caratteristica di Zanzibar è che ovunque tu vada, anche quando corri saltellando e tenendoti il cavallo dei pantaloni verso una toilette, tutti ti osservano con pacata indifferenza, in attesa che tu esprima le tue esigenze, a voce o a gesti: sembra che manchi un po’ l’empatia. Anche lì pare necessario specificare cosa vogliamo e soltanto dopo siamo ammessi nel prato brullo, dove aspettiamo compìti che ci portino il tavolo e le sedie di plastica, una delle quali rotta. Arriva una cameriera, anche lei con il berretto da baseball, per l'ordinazione delle birre che sono tenute in un gabbiotto di cemento chiuso da ogni lato con delle grate di ferro, e che devono essere pagate prima. Lì c’è anche, nascosto da qualche parte, il vino di papaya: un’acquavite più forte della birra e con una certa dose di tossicità, che è responsabile dei brutti casi di alcolismo che rovinano le famiglie dell’isola, dice Dullah, assieme alla droga, aggiungerei io, che circola sempre di più, anche e soprattutto grazie ai turisti.
Pagate le birre, ordino il mio piatto di banane fritte con spiedino, mentre aspetto che qualcuno si lanci a ballare, sotto l’unica luce che c’è. Ho già visto una discoteca normale all’aperto, a nord dell’isola, ma lì i ragazzi sono tutti tirati a lucido per fare bella figura e si fiondano come avvoltoi sulle vecchie turiste sole. Avevo provato a ballare con uno che mi sembrava un minimo preso dalla musica, ma mi ha mollata di botto per andare a corteggiare una signora tedesca con la gobba. Qui invece sono davvero tutti locali in relax e l’unico capo d’abbigliamento a cui sembrano tenere è il cappello: molti hanno un berrettino fatto all’uncinetto, altri il berretto da baseball, e qualcuno indossa il tradizionale copricapo cilindrico con i ricami. Le ragazze sono pochissime.
La musica è assordante e proviene da due casse alte come un uomo, piazzate sulla sabbia.
Quando arriva il mio piatto scopro che lo spiedino di pollo carbonizzato, che ho visto tante volte nelle vetrinette sporche della strada, è freddo: sta lì, sotto il sole e nell’umidità dei tropici, dal pomeriggio: calcolo mentalmente quante pastiglie di disinfettante intestinale mi sono rimaste. Il pollo utilizzato per la pietanza deve essere un mutante: ci sono più ossa in quel piccolo spiedino che in un tacchino intero, anzi mi chiedo se non sia proprio l’osso di pollo la specialità, perché di carne non ce n’è. Mi rimane il dubbio anatomico su dove si trovino, in un pollo, ossa di forma cubica: dovrò studiare sul web.
Le poche fette di banana invece provengono dalla cosidetta "zanna d'elefante": una banana verde, lunga circa un metro e dal sapore di patata, le cui rondelle non sono state fritte ma probabilmente passate in una padellaccia, una rondella sì e una no. La famosa salsa si rivela essere ketchup diluito.
Se non fosse per la musica troppo alta, ribadirei un concetto già espresso più volte da quando sono qui: Anthony Bourdain, nel suo video sulle specialità gastronomiche zanzibarine di strada, ha preso tutti in giro. Se le sarà cucinate lui da solo, le specialità: qui ogni cosa è preparata in modo talmente sciatto e deprimente che morire di fame diventa un’idea più accettabile. Di certo, anche disponendo di una grande quantità di questo cibo, si tende a mangiarne soltanto il minimo indispensabile.
Finalmente inizia un po’ di movimento: sono le cameriere che si picchano. Alcuni ragazzi cercano di dividerle, ma loro si corrono dietro per tutto il locale. La più massiccia picchia anche chiunque cerchi di fermarla e vedendola in avvicinamento io scosto educatamente la mia sedia crepata dal tavolino e afferro la mia bottiglia di birra asciugandola per bene, che non mi sfugga di mano, giusto in caso. Sono l’unica però che sembra preoccuparsi del ciclone di botte in arrivo: mai capito perché, in tutto il mondo, se due donne fanno una rissa, i maschi osservano divertiti con sorridente tenerezza, come se una bottigliata in testa tirata da una persona alta un metro e settanta e di almeno 60 chili fosse un semplice sberleffo.
- Dullah, ma perche si menano?-
- Per i ragazzi. Gelosia. A volte le donne lo fanno.-
- Ma qui è pieno di uomini, ne hanno cinquanta a testa: perché quella più grossa è così arrabbiata? -
- Perché è la più brutta.- La semplice verità, senza filosofie pedagogiche. - Dormono insieme lì dentro (capanno di due metri quadri senza finestre) e domani saranno amiche di nuovo, akuna matata. -
Dullah è seduto a gambe accavallate, sembra annoiarsi. Ogni tanto passa qualcuno che lo conosce e ci saluta cortesemente. La serata è calda e il vento di Jambiani che arriva forte dal mare è carico di umidità ma è comunque fresco rispetto alla temperatura della giornata: per questo motivo molti festeggiano e fanno l'alba ogni notte, felici di poter respirare un po’ meglio, finendo per dormire pochissimo. Il giorno preferito per fare festa è il lunedì. Sabato? Perché? Inutile spiegare cosa sia un weekend e quanto si lavori in certi posti del mondo durante la settimana.
Finalmente qualcuno si butta in pista a ballare: è uno con i jeans sporchi e la maglietta malconcia. La visiera del berretto è girata a coprire la nuca e lui molleggia sulle ginocchia in modo buffo, che mi fa pensare a quanto i suoi menischi siano ben oliati. La camminata è decisamente difficile da imitare: il busto sembra volere andare da una parte ma le gambe lo trascinano altrove, si capisce che c’è una guerra di potere, lì nel sistema nervoso del soggetto: si muove quindi diagonalmente, in lotta con se stesso.
- Dullah, quello che balla: è ubriaco vero? -
- Si. Sempre ubriaco. Vino di papaya.-
Il ballerino si trascina molleggiando senza meta lungo traiettorie imprevedibili. Le ginocchia sembrano avere un ritmo indipendente tra di loro e nel complesso il movimento è ipnotizzante, almeno per me. Intanto passo il pollo ai gatti che pattugliano silenziosi il prato buio e valutano con attenzione ogni cartaccia.
- Dullah, per andare a vedere la foresta, domani: a che ora ci sarà il bus?-
- Alle due. -
Loro contano le ore a partire dall’alba: l’ora 1 è la prima ora di luce del mattino. Solo che è difficile capire quando è l’alba: vero che siamo quasi all’equatore, ma non è così fissa, e a volte è nuvolo.
- Dullah, l’alba è alle 6 ora occidentale? -
-Si. -
- Oppure è alle sette? -
- Si. -
- Quindi le due sono le…? -
Non lo sa.
In realtà non ha idea di quanti autobus ci siano e a che ora, ma non lo ammetterà mai. Ha anche un ororlogio, se è per questo, ma è decorativo e non segna nessuna ora che possa corrispondere a qualche meridiano africano. Va tenuto anche in conto che il venerdì è un giorno particolare per i musulmani e le cose funzionano diversamente dagli altri giorni. Questo succede anche il sabato e anche la domenica. Il lunedì le cose vanno a rilento, quindi in sostanza l’unica è svegliarsi presto, recarsi alla fermata e aspettare, minuti o ore. A quella fermata spesso ci sono persone che sembrano aspettare il bus ma in realtà hanno una bicicletta: sostano lì per riposare all'ombra e, come gli altri, osservano la vita che scorre, semplicemente.
- Va bene: noi ci alziamo presto e andiamo alla fermata. Speriamo che l’autista non faccia il pazzo come l’altra volta, che ho fatto due ore di viaggio con le budella attorcigliate. Perchè corrono così? Consumano un sacco di carburante in più invece di risparmiare, rischiano di rompere il mezzo, e in fin dei conti nessun passeggero ha fretta: dov'è la convenienza?-
- Passano davanti agli altri bus e raccolgono più clienti -
- Ma la polizia non li ferma? -
- Si, vuole soldi. -
Dullah stira le labbra mostrando i suoi incisivi sporgenti: può esibire uno sguardo molto dolce, ma questa volta sembra piuttosto un topo crudele dei cartoni animati.
- Lo vedi quello che balla? -
- L’ubriaco con la lotta motoria in atto? Certo che lo vedo, è l’unico. -
- Lui è uno degli autisti dei bus. -
- Capisco. Un amico tassista affidabile ce l'hai, che non faccia il solito prezzo assurdo? -
- Sì, mio zio. Ma ha appena fatto un incidente -
- Ma come si fa a fare incidenti su strade dritte, vuote e senza incroci? -
- Non hanno funzionato i freni e ha investito le capre che erano sulla strada: tutta la macchina rotta. Adesso non ci sono i soldi per pagare le capre e la macchina. -
Dullah intanto si alza piano e va a parlare con qualcuno, perso nel mucchio e nel buio del prato. Torna lemme lemme, con gli occhioni grandi:
- Se vuoi c'è il mio amico che domani va a Stone Town e può darvi un passaggio, però è un camioncino e dovete stare seduti nel cassone. Devi pagare però, i bianchi pagano. Vengo anch'io, se vuoi. -
- Ah, è quella faccenda per cui il camioncino fa pagare il bianco e al tempo stesso offre un passaggio gratis a tutti i locali che trova per strada? -
- Sì. - Sorride come un cucciolo, ma di faina.
- Mi piace, basta che costi poco -
- Ok. Domani alla fermata, alle due. Mettiti il cappello, che nel cassone non c'è l'ombra. - Dullah sarà un po' deprimente ma è dolce e premuroso e mi commuove all'istante.
- Grazie, Dullah. Solo una cosa: non è che il tuo amico adesso è ubriaco pure lui? -
- No, lui non beve, è osservante. Ha due figli.
- Ottimo. Quindi domani passaggio in pick up: cosa trasporta di bello il tuo amico? - Sogno un viaggio sulle strade luminose di Zanzibar, con l'aria che mi scompiglia i capelli e le palme che ondeggiano, seduta tra rigogliosi caschi di banane.
- Penso taniche di benzina. -
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