“Zeman” in lingua ceca è un vocabolo composto dalla preposizione ze (che indica la provenienza) e il sostantivo man, corrispondente al nostro “uomo”, si potrebbe tradurre facendo riferimento a un titolo feudale, a metà strada tra il nobile e l’uomo libero, non asservito ad alcun proprietario, che indicava il possidente terriero nella società medioevale nordeuropea (una sorta di Junker tedesco). “Zdeněk” è un nome tipicamente ceco che potrebbe derivare da una correzione del latino Sidonius, aggettivo indicante una località di origine fenicia.
Se uniamo il patronimico al nome di battesimo otteniamo una miscela unica: Zdeněk Zeman del proprietario terriero ben abbiente ha l’aspetto, il contegno e anche la diffidenza, così come l’intraprendenza e il senso assoluto di autonomia di un antico mercante fenicio che non bada all’opinione altrui e si incaponisce pur di piazzare la propria merce. Il problema di questa “miscela” nasce ogni volta che il “bene” prodotto non riesce ad essere venduto, e per “bene” qui intendiamo il tipo di gioco che da oltre trent’anni il tecnico boemo, soprannominato Sdengo, tenta disperatamente di imporre alle sue squadre per ottenere dei risultati significativi. Forse nel mondo del calcio non è mai esistito un utopista così pervicace come Zdeněk Zeman, un allenatore che sembra nato apposta per infischiarsene di qualsiasi ad impossibilia nemo tenetur di volta in volta paratogli innanzi.
Le statistiche non sono un’opinione, Zdeněk Zeman non ha mai riportato alcun trionfo nella massima serie italiana, il miglior risultato resta il secondo posto nella stagione 1994-95 con la Lazio a dieci punti dalla Juventus di Lippi, poi una sfilza di piazzamenti di rincalzo e di gioco altalenante, con il reparto difensivo sempre schierato in linea a ridosso della mediana e spesso in difficoltà contro squadre più veloci e meglio attrezzate atleticamente. In undici campionati di serie A con Foggia, Lazio, Roma, Napoli e Lecce Zeman ha fatto realizzare 557 reti subendone però 469, non brillando nemmeno nelle competizioni europee (i quarti di finale di Coppa UEFA 1994-95 raggiunti dalla sua Lazio rappresenta il suo miglior risultato internazionale). Che piaccia o meno, quanto affermato da John Elkann all’inizio del campionato in corso, “La cosa interessante è che Carrera in una sola partita ha vinto di più che Zeman in tutta la sua carriera”, è la pura verità. Massimo Carrera sostituiva l’allenatore juventino Antonio Conte squalificato e l’11 agosto 2012 ha vinto la Supercoppa italiana TIM 2012 battendo il Napoli 4-2, mentre Zeman…
All’indomani dell’ennesimo esonero in carriera subito da Zeman, siamo qui a chiederci se l’ennesimo errore è stato commesso dalla dirigenza della Roma o dal tecnico boemo, se il famigerato 4-3-3 unito a un metodo di preparazione atletica rigoroso e uguale per tutti (anche per chi magari avrebbe bisogno di un trattamento differenziato, come Dodò reduce da un gravissimo infortunio) sia ragionevole in un contesto come la nostra serie A… Errore di valutazione della Roma? Direi proprio di sì. I casi sono due: o si offre a Zeman una pattuglia di atleti pronti a eseguire il dettato senza battere ciglio, e forse neanche poi così eccelsi sul piano dell’individualità, oppure si consente alla formazione scesa in campo di alternare partite spettacolari, come la vittoria per 4-2 con il Milan dello scorso 22 dicembre, a prestazioni imbarazzanti, come le disfatte con la Juventus e il Cagliari. È sempre stato così e sempre lo sarà, finché dura Zeman. Non saperlo è un peccato mortale calcistico. Chi ha scelto di affidarsi a questo intransigente velitel per costruire una squadra vincente sin da subito non si è rivelato perspicace, si è affidato alla speranza, che nello sport ha valore solo se accompagnata da abbondanti vittorie consecutive.
Ricapitolando: lo Junker Sidonio non muterà mai la sua visione del calcio, i giocatori che militano nelle sue squadre non possono far altro che svolgere alla lettera tutto quanto viene loro chiesto, da bravi robot (parola ceca che indica il lavoro forzato), il resto non conta… e di vittorie neanche l’ombra… Da umile sostenitore romanista, tutto questo lo sapevo già quest’estate prima che venisse chiamato Zeman a guidare la compagine giallorossa, pertanto non mi stupisco se le cose siano andate così. Mi meraviglio che altri, pagati per fare il proprio lavoro, contro ogni buon senso e con premesse altamente sfavorevoli si siano illusi di poter vincere qualcosa…
© Marco Vignolo Gargini