Sono prevenuto nei confronti di Saviano, lo ammetto.
Finisce sempre per piacermi, anche se leggendo mi rendo conto che ogni suo tentativo di “romanzare” le storie che racconta fallisce e si trasforma nel giro di tre periodi in un’inchiesta di tipo giornalistico.
Però poi l’inchiesta mi piace e mi affascina, quindi comunque riesce nel suo intento.
Come per Gomorra, alla fine del libro ci si rende conto di essere entrati in contatto “vero” con mondi che si ignoravano più o meno consapevolmente.
Perchè della la cocaina, in fondo, non sai niente.
Non sai se la usa quel tuo collega che lavora “come un matto”; non lo sai se la usa il corriere che ti porta i libri di amazon, sottopagato, sfruttato, ma sempre puntuale e simpatico; non sai se la usa “ogni tanto” quel ragazzetto tanto brillante che qualche volta hai incrociato al bar; non sai se la usa il pilota dell’aereo che prenderai, se la usa il chirurgo che ti ha operato o il pizzaiolo all’angolo.
Non sai che la coca è ovunque, ne sono intrise le banche e le borse, la politica e la finanza.
Non lo sai perchè in fondo non lo vuoi sapere.
Basterebbe incrociare qualche notizia per farsi qualche domanda in più e per capire che anche se non l’ha mai vista dal vero potresti comunque averne sporche le spalle, come dopo essersi poggiati su un muro di gesso…
Ma c’è altro in questo libro, non solo coca.
C’è Roberto Saviano, 34 anni, pienamente consapevole di non potersi dipingere come eroe, ma come qualcuno che non ha potuto evitare di iniziare a fare qualcosa che lo ha travolto violentemente, che porta il peso di aver cambiato la vita di molti, dalla sua famiglia agli uomini della scorta che costantemente lo proteggono. Un ragazzo che ha sempre sulla testa il puntino rosso del mirino, anche se è da solo, anche se è chiuso in casa.
Un ragazzo che per non sentirsi solo continua a fare quello che sa fare: scrivere e documentare anche se stesso.
In questo libro si ha molto a che fare con lui, con il Roberto che nonostante tutto suscita pareri discordanti: antipatia, venerazione, scetticismo, stima, indifferenza.
Per alcuni, ad esempio, il fatto che nonostante tutte le accuse e le rivelazioni fatte sia ancora vivo è un miracolo. E infatti c’è anche la morte:
Non mi sono mai mosso da Napoli. Non solo con il pensiero, ma sopportando l’odio che mi Viene versato di continuo, anche accogliendo le braccia che mi stringono per darmi coraggio. Sono sempre lì. Raccontare Napoli è un po’ tradirla, però in questo tradimento io trovo posto. L’unico, per ora, che mi è dato. Per me, il dolore del sangue che colma le piazze, il dolore dei nomi che che allungano gli elenchi è un dolore che non guarisce neanche a soffiarci su con tutto il fiato possibile. E’ un dolore che non guarisce neanche a medicarlo col mercurio cromo, neanche se lo suturi. Mi riguarda, come ci riguardano le cose che provocano il dolore più profondo: la nostra carne, i figli, la parte più intoccabile di noi. Come la morte, che riguarda solo te. Sino a che qualcuno o qualcosa non mi uccide, non potrò che continuare a giocarmi il mio numero.
Un libro pesante, ma non solo perchè di difficile lettura.
Dopo l’ultima pagina, con la mano sulla copertina, ho ripetuto la frase che più ho sentito mia. Si trova nella sezione “Ringraziamenti” ed è di Daria Bignardi.
“scrivi, Roberto. scrivi sempre”…