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La letteratura del dissenso in Cina
Ad accomunare Zhang Jie e Gao Xingjian non è soltanto la nazionalità cinese, ma sono soprattutto il coraggio con cui hanno espresso le proprie idee e il loro dissenso (per cui hanno dovuto scontare la “rieducazione” del governo di Mao), nonché l’attenzione a dare voce al disagio: in particolare quello della collettività nel caso di Jie, quello personale per Xingjian.
Zhang Jie, nata a Pechino nel 1937, è stata riproposta al pubblico italiano dalla casa editrice Salani con i romanzi Senza parole (2008) e Anni di buio (2010); ormai introvabile, invece, è la raccolta di racconti Mandarini cinesi, pubblicata nel lontano 1989 dalla Feltrinelli e mai ristampata, nonostante i tanti riconoscimenti internazionali ricevuti dall’autrice (per altro più volte candidata al Nobel). In Mandarini cinesi sono due i nuclei precipui di interesse della Jie: gli assurdi privilegi di cui gode una pletora di funzionari neghittosi e opportunisti e il labile confine che conduce alla follia.
“È davvero così netta la linea di demarcazione tra normalità e follia? Solo un paio di milligrammi separano una dose curativa di arsenico da una dose mortale.” (Zhang Jie, Mandarini cinesi, Feltrinelli)
Sullo sfondo dei suoi testi si agita l’umanità dolente e variegata del popolo cinese, rassegnato al sopruso e abbrutito dalla miseria, colto con sguardo caustico, ma velato da una mesta compassione. Particolarmente godibile è il racconto Una persona fuori posto: un ironico affresco del mondo intellettuale, della sua ipocrisia; narra le vicissitudini di un artista di provincia, virtuoso quanto ingenuo e genuino. Sorprende come i vizi degli uomini siano gli stessi a ogni latitudine (ma quest’ultimo brano è anche oltremodo istruttivo per gli aspiranti scrittori)…
Quasi coetaneo della Jie, Gao Xingjian vive a Parigi dal 1989 ed è nella capitale francese che ha concluso e pubblicato, nel 1990, La Montagna dell’Anima. È un originale romanzo autobiografico, con ambizioni onnicomprensive: le due voci narranti che si alternano a ogni capitolo, un io e un tu, ripercorrono la storia e le tradizioni della Cina, indagano sul senso della vita e su quello della letteratura, contemplano la natura e ne rivelano i segreti, ma se una insegue la visione della Montagna dell’Anima, l’altra (di un intellettuale “insubordinato”) è inseguita, o meglio perseguitata, dal regime. Xingjian ha saputo descrivere l’essenza violata della Cina e la fragile interiorità dell’uomo, senza accettare compromessi di alcun tipo; una caparbietà e un talento che gli sono valsi il premio Nobel nel 2000.
“Attraverso l’ebbrezza della lingua lui ha raccontato l’uomo e la donna, l’amore, la passione, il sesso, la vita, la morte, l’anima, la gioia e la sofferenza della carne, l’impegno politico, il rifiuto della politica, l’impossibilità di fuggire la realtà, l’immaginazione, l’irreale, la ricerca del vero, […] la nascita delle strutture della grammatica generativa, il non aver ancora detto tutto che non equivale a non aver detto nulla, l’inutilità della parola nella discussione delle funzioni, l’assenza di vincitori nella lotta tra uomo e donna, gli scacchi come disciplina che rileva le capacità dell’uomo, la necessità dell’uomo di mangiare, la scarsa importanza del morire di fame di fronte alla gravità della perdita dell’integrità morale malgrado la difficoltà di riconoscere la verità, l’inaffidabilità dell’esperienza, l’errore se di errore si tratta, il romanzo rivoluzionario che sovverte l’idolatria per la letteratura, la rivoluzione del romanzo e la morte del romanzo.Questo capitolo si può saltare, ma ormai l’avete letto.” (Gao Xingjian, La Montagna dell’Anima, Biblioteca Universale Rizzoli)
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