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Zia Mimin di Giovanni Destefanis

Da Parolesemplici

-Zia Mimin, zia Mimin!-

Zia Mimin di Giovanni Destefanis

Gioco della carte

Dormiva sulla poltrona con la radio accesa che suonava a un palmo dall’orecchio. Lo scialle rosso ben sistemato e incrociato vezzosamente sul petto, il vestito nero ampio con qualche riflesso quasi blu. Persino le scarpe col mezzo tacchettino teneva in casa. “Le ciabatte in casa, mai, un po’ di decoro!” aveva sentenziato molti anni prima e ne aveva proibito l’uso anche allo zio Piero che avrebbe dato, sin che fu vivo, non so cosa per poter liberare, almeno a casa, i poveri piedi stanchi della peregrinazione postale. No. Aveva anche delle belle calze velate, la zia, graziosamente addormentata, col capino quasi azzurro abbandonato sul parevent della poltrona.

 

-Cosa fai, dormi? – le gridai nella sua discreta sordità. Si scosse, ma in modo gentile, beneducato, fine, direi quasi.

-Oh sei tu? Vuoi il caffè? L’ho appena fatto…- . La cucina era linda ed immacolata, non c’era aroma di caffè, nessuna caffettiera sul pibigas, nessuna tazza nel lavandino di marmo, ancora bello bianco.

-Ecco brava, sono venuto per il caffè.-  sorrisi a quella soave evanescenza.

-Eh.. voi giovani avete sempre voglia di prenderci in giro, a noi vecchi.-

-Ma no, zia Mimin, che prendere in giro, mica sei vecchia!-

-Quanti anni mi dai?- Si sollevò agilmente dalla poltrona e perlustrò con  sguardo acuto il piano della cucina linda ed immacolata, dove non c’era traccia di caffè.

-Te ne do un centocinquanta, e nemmeno portati bene!- replicai con grande allegrezza.

-Il caffè lo hai già preso al bar, cosa vieni a rompere le ….a me- replicò con pari giocondità. Alzandosi aveva sciolto lo scialle rosso dal petto e si era vezzosamente sistemata la chioma azzurrina davanti allo specchio attorniato dalle fotografie giallognole dello zio Piero, dei nonni Pantalino e Michelina, della figlia Jolanda …

-Qui quando era ancora da sposare, quella stupida…ma ben le sta, quel maiale le fa fare una vita da gallina, peggio per lei…se mi ascoltava a me.- La zia Jolanda era morta da dieci anni, e il maiale era ancora vivo e veniva tutti i giorni a trovare la suocera Mimin.

-Zia Mimin, come stai, cosa ti ha detto il medico?

-Il medico? Ma se sono tre mesi che non lo vedo, non viene più. L’ultima volta mi ha detto che ero un fiore…-

Dice questo accarezzando con la manina piccola piccola e rosea la chioma florida della begonietta gialla sulla finestra che dà su Piazza Savona.

-Un fiore, ehe sì, guarda qui che bel fiore!- Sapevo bene cosa le aveva detto il medico la mattina. Un fiorellino fragile fragile, col gambo che stava su per non sapere dove piegarsi.

-Hai visto che non ho il rossetto? Potevi dirmelo. Stamattina mi son dimenticata.-

-Viene quasi notte, zia, te lo metti poi domani. Stasera piove. Vuoi mica andare a ballare…

-No stasera no, quel fagnano di tuo zio son riuscita a convincerlo sabato passato…siamo andati a Bubbio. Volevo dirti una cosa, adesso che non ci sente – e con un passettino leggero si avvicinò alla finestra e sbirciò fuori con aria furba – senti, ma non dirgli niente eh, ma non ti sembra un po’ malandato di testa, da come guida la macchina? Mi ha fatto persino un po’ paura…-.

-Sai che è vero…- risposi pensieroso.-Secondo me la patente non gliela rinnovano più…-

-Ma cosa dici, se la patente non l’ha mai presa!- trillò ridendo la zia Mimin. Non resistetti.

-Ma se hai detto che andando a Bubbio…-

-A Bubbio ci ha portati Bufin, mi fido solo di lui…E tu non approfittare che ho l’arteriosclerosi per farmi dire quello che non ho mai detto…-. Sorrisi. Lei aveva dei fazzoletti sul tavolo, ben stirati, e s’era messa a raccoglierli giudiziosamente, a impilarli per colore, per disegno, per sfumatura. Le presi la manina rosea e la guardai negli occhi. La manina era fredda fredda, ma l’occhio sempre azzurro.

-Hai freddo, Mimin?-

-No no sto bene. Lo sai cosa mi son fatta a mezzogiorno? Indovina.-

-La faraona coi funghi, quella che hai imparato da Lena Cigliuti?-. Mi guardò con aria severa.

-E’ lei che l’ha imparata da me! No mi son fatta due pere della Madernassa col vino dolcetto.

-Salute!- risi.

 -Ma di vino ce ne ho messo poco eh. Poi è venuto Nazio a trovarmi, sai Nazio? Te lo conosci Nazio?-

-Ma Nazio chi, quel sardegnolo che ha comprato la casa di Pietro Gallo a Doglio?-

-Non è sardegnolo, fa finta, scherza…- Mimin era tutta ridente, si arieggiava il petto scuotendo lo scialle rosso. Ignazio Piras aveva nemmeno cinquant’anni, bell’uomo, scuro di capelli, ben portante…

-Sei sicura?-

-Si,abbiamo mangiato una pera per uno…-

-E cos’è venuto a fare.-

-Mi ha messo a posto  la finestra del buindo. Tu non me la volevi aggiustare così ho fatto venire lui…in un amen ha fatto tutto-. Andai al buindo che dava su Corso Teatro. Ma guarda! La finestra, che prima era tutta gaucia per l’umido e aveva tutte le palmelle  arrugginite e mezze rotte, adesso era a posto, aggiustata a dovere, si apriva e chiudeva che era una meraviglia. Mimin mi era venuta dietro.

-Visto che bel lavoro?-

-Davvero-. Mi grattai la testa, m’era venuta una fitta proprio sopra la nuca, una cosa strana.

-E’ in gamba Nazio. Ti dico una cosa in segreto. Prima di sposare quel balengo di tuo zio Piero ero fidanzata con lui…-

-Beh è un bell’uomo…- dissi sorridendo.

-Lo era, un bell’uomo, ma hai visto adesso che pancia ha messo su? Come tutti i sardegnoli.-

-Non ho fatto caso…- Cara cara cara Mimin. Fidanzata con Nazio, anzi Ignazio Piras, che adesso aveva quarant’anni e passa meno di lei… La invidiavo. Dalla finestrina del buindo guardammo insieme per un po’ la poca gente che passava sul Corso Teatro, le poche macchine…Le presi di nuovo la manina rosea. Adesso scottava.

-Vieni torniamo di là. Adesso fammi il caffè va…-

-Bravo! Finalmente, tutte le volte mi dici no, mi dici no…Te lo faccio meglio che al caffè, meglio che da Chilin- e andò dinuovo all finestra su Piazza Savona a sbirciare, stavolta verso il Caffè Nazionale, alle sue vetrine fioche e umide. Poi con molta perizia si mise a preparare il caffè, come se danzasse accanto al piano lindo ed immacolato della cucina. Prima la caffettiera, la napoletana, di alluminio ben lucido, poi la arbanella del caffè in grani, poi quel macinino tutto nero che appena messo in moto spandeva un aroma che stordiva il cuore, poi i cucchiaini d’alpacca..era uno spettacola la zia Mimin, ex fidanzata di Ignazio Piras ed ora fanciulla novantaquattrenne che preparava il caffè al nipote, figlio della nipote Aldina e del nipote d’acquisto Bernardino, con una grazia da ballerina nel suo scialletto rosso e nel suo bel vestito nero cangiante sul blu. Un bel vassoio col centrino all’uncinetto a roselline vivacemente variopinte, le due tazzine di porcellana vera, cinese, regalo di nozze…

-Queste qui me le aveva regalate Pina, te la ricordi sicuro, Pinotta del Saròn, quella che suo padre era ferracavallo.-

-Me ne ravviso sì, sicuro , la zia di Cesare e di Teresa- – Ecco, ma come fai a ricordartela, mi dici una bugia, saran cinquant’anni che è morta!!!-. Non erano così tanti anni ma aveva ragione.

-L’ho sentita nominare…- – Tu sei troppo furbo. Ma sei mio nipote, assomigli a me. Oh scusami neh…che stupida vecchia, mio nipote! Tu sei mio fratello Giulio. Abbi pazienza, ma a venir vecchi…-

Il caffè era buonissimo, un’opera magistrale.

-Che buon caffè fai, sorella Mimin!- le gridai con allegrezza, data la discreta sordità.

-Grazie signore!- rispose con letizia.  Lo sorbimmo dalle tazzine cinesi col mignolo sollevato, graziosamente. – Ma lei, dottore, conosce il mio fidanzato Piero? – mi disse alla fine con un grande sorriso e una certa aria maliziosetta. La dentiera impeccabile le illuminava il viso fanciullesco…

-Si certo che lo conosco, è anche mio paziente…- replicai con gioia.

-Che cara persona a venirmi a trovare! Pensi che due minuti fa c’era qui mio fratello Giulio, che mi chiede sempre cosa mi ha detto il dottore. Così glielo poteva dire direttamente a lui…Ma cosa vuole mio fratello è vecchio, ormai la memoria, la testa, poverino…. Per fortuna che ci sono io che mi ricordo le cose.-

-E’ vero signora Mimin. Adesso mi faccia sentire un po’ il polso- Ripresi la manina: era ancora gelida ma il polso mitragliava. -Mi prende la pressione?- disse ilare la fanciulla Mimin facendo scivolare vezzosamente lo scialle rosso dalla spalla e accennando a rimboccare la manica del bel vestito nero cangiante al blu.

-Peccato, non ho la macchinetta, non ci ho pensato…- dissi con la voce un po’ tremante davanti al bel colorito roseo della zia Mimin. Mi squadrò con curiosa letizia.

 -Adesso basta giocare al dottore! Sembriamo due bambini stupidi!-

Le vene del collo della zia Mimin tremavano e pulsavano in modo strano, lo stelo del fiorellino fragile fragile oscillava un po’.

-Ma stai proprio bene?-

-Sto benissimo, vedi, adesso vado di là a vestirmi perchè se non piove andiamo a ballare a Bubbio con Nazio! Anzi se vuoi andare a casa, così non ti faccio perdere tempo! Tua mamma ti aspetta.- Era diventata brusca, decisa, autoritaria. Gli occhi azzurri erano fermi, severi, le vene del collo erano tornate a posto. Si stava togliendo con perizia lo scialle, facendolo volteggiare a lungo attorno alle spalle come una ballerina di flamenco. Del resto le scarpe nere col tacchetto portate sempre anche in casa, belle lucide.Le mancavano solo i capelli corvini per lo chignon, e il tirabacio.

-Zia Mimin…Te lo chiamo il dottore.- Mi girava un po’ la testa.

-Ma se è andato via che sono dieci minuti, con mio nipote, quel cretino! Prima o poi bisogna che mi faccia morosa col dottore, così siete contenti. Se non fosse per quell’altro balengo di tuo zio Piero, adesso sarei vedova…Non è mica brutto il dottore eh, tu che ne dici? –

-Ma zia Mimin, cosa vuoi che ne sappia se è bello o no. Non sono fatti miei. Il dottore è dottore, bello o brutto. Ad ogni modo il dottore tanto bello non è…- mi lasciai andare a fatica. Una strana ansia mi gonfiava le vene del collo; che mia mamma mi stesse davvero aspettando?  Mimin sparì volteggiando sui tacchetti neri nella stanza da letto. Non la seguii, le gambe mi tremavano un po’. Di là mi trillò: -Hai visto che bel lavoro mi ha fatto Nazio al buindo? Tornerà domani, lo ha detto. Perchè siamo fidanzati e dobbiamo decidere quando sposarci!- Si riaffacciò sul corridoio, con i capelli bianchi tutti sciolti come una nuvola vaporosa attorno agli ochi azzurri, impugnando nella manina rosea una bella spazzola di tartaruga. -Che bell’uomo Nazio, come tutti i sardegnoli neh, tu cosa ne dici?- Ero ipnotizzato dalla bianca aureola della zia, la testa mi bruciava, e avevo un peso sullo stomaco, come se qualcuno, forse lo stesso Nazio, Ignazio Piras, mi stesse stringendo il petto con la sua manona da falegname sardegnolo.

-Cosa fai lì per terra, stupido. Non è mica il momento di giocare a prendere i topi. Devo cambiarmi adesso, vado a ballare a Bubbio- Non c’era più luce, la zia Mimin non la sentivo più.


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