Accompagnare la Rai nel passaggio da broadcast company a media company annunciato dalla Direzione Generale. Questa la missione del nuovo CTO Rai, Valerio Zingarelli, che nel corso di un’intervista a SatCafé spiega i dettagli del suo mandato. Ecco di seguito un anticipo dell’interessante chiacchierata in cui il manager illustra la sua strategia basata tra l’altro sul coinvolgimento delle giovani generazioni e sulla necessità di migliorare la ricezione del Digitale Televisivo Terrestre.
Allora ingegnere come si sente in questa nuova veste e qual’è stata la sua personale reazione alla chiamata?
“Per me è stata una sorpresa. Non avevo legami particolari con il mondo Rai. Sono stato chiamato dal direttore generale Luigi Gubitosi. Mi ha presentato questo progetto che ho condiviso. Ci ho pensato qualche giorno perché sono cosciente della complessità e della difficoltà di realizzarlo. E alla fine ho accettato perché questa trasformazione ha ora una importante finestra di opportunità e di fattibilità”.
Internamente la sua nomina ha provocato più timore o più entusiasmo?
“Più entusiasmo. Sono tutti coscienti che c’era bisogno di questo tipo di figura”.
Operativamente in cosa consiste?
“La mia prima importante missione operativa è quella di integrare, coordinare e rendere ancora più efficaci quelle strutture che fino ad ora hanno operato separatamente, con il rischio di non essere sufficientemente sinergiche per gli scopi della Rai. L’obiettivo strategico è di creare visione e progetti funzionali alla media company. E questo lo si può fare molto meglio quando c’è una responsabilità che integra le varie funzioni”.
Quale sarà in concreto il ruolo della Rai nella fase di transizione?
“La Rai deve prima di tutto condividere e poi comunicare questa visione e queste strategie. Il secondo passo è trasformare la comunicazione in ambienti di piattaforma e acceleratori di impresa. Per esempio, il Prix Italia può essere oltre che un momento di presentazione anche uno di facilitazione, di aiuto, di sviluppo. Un momento di discussione e di raccolta delle proposte creative e innovative da cui nascono le start up”.
In particolare cosa si offrirà ai giovani?
“L’Italia vive un momento difficile a livello economico e industriale. E questa trasformazione rappresenta un’opportunità per l’intero paese in termini di innovazione, start up, creatività, sviluppo e quindi lavoro. E deve essere opportunamente indirizzato. Quindi si tratta di creare un ambiente fertile che richiami l’attenzione con proposte delle nuove generazioni di lavorare in questa industria. E’ chiaro che è un industria complessa: serve molta competenza e molta preparazione. Però è fattibile”.
Quanto tempo richiede il processo?
“Abbiamo fretta: entro due anni dobbiamo diventare una media company. Questo, però, non vuol dire abbandonare la broadcast company ma affiancare a questa una media company. Iniziamo e poi, nel futuro, le evoluzioni dei contenuti e delle tecnologie ci guideranno opportunamente”.
Cosa dire delle risorse finanziarie?
“Quello non è il principale problema. Con la media company l’obiettivo è aumentare la raccolta sul web e mobile che può anche supportare nuovi progetti di sviluppo”.
Sulla rete del Digitale Terrestre Rai persistono delle criticità. Cosa ha intenzione di fare a riguardo?
“Questa è una delle cose che ho iniziato ad affrontare e che nel giro di non molto tempo verrà risolta. Per esempio, voglio eliminare le immagini ‘pixellate’ oppure il messaggio che qualche volta compare sul televisore dicendo: ‘segnale debole controllare l’attacco del cavo d’antenna’”.
Bisogna aspettare la seconda fase del digitale terrestre, il DVBT2, per ampliare l’offerta Rai in HD sul Digitale Terrestre?
“Il DVBT2 sarà fondamentale perché moltiplica l’efficienza dello spettro e ci permette di portare tutta la nostra offerta in HD”.
Però l’avvento del DVBT2 è molto problematico e soprattutto molto lontano. Come se ne esce?
“La mia posizione è che non bisognerebbe rendere obbligatoria la produzione e la vendita di televisori in T2 di prima generazione a metà 2015, ma aspettare la seconda generazione del T2 con lo standard HEVC, che arriverà poco dopo”.
Qual è il rischio?
“La seconda generazione del T2 ha un codec per la visualizzazione delle immagini, chiamato HEVC, che permette di ottenere un’efficienza spettrale tripla. Solo che sarà introdotto nel mercato non prima del 2016 e non è retro compatibile. Quindi nel 2015 i consumatori italiani che decideranno di comprare un nuovo apparecchio lo compreranno della prima generazione”.
In futuro che ruolo avranno le sedi regionali?
“Avere 21 canali in più da trasmettere rende più complessa la pianificazione frequenziale. Però le sedi regionali sono una grandissima ricchezza per la Rai in termini di produzione di contenuti e di servizio pubblico. Tanto è vero che al mattino il programma che ha più share è Buongiorno Italia, che offre un focus territoriale regione per regione”.
Quindi questo sarà il modello di partenza?
“E’ un punto da valorizzare. Tanto è vero che si sta anche lavorando alla ‘regionalizzazione’ di Rainews24, che è un progetto molto interessante. Tutto questo è un grande sforzo in più, ma dall’altro lato è una grande opportunità”.
E sulla Radio cosa bolle in pentola?
“Con il DAB+ anche la Radio è di fronte ad una grande opportunità di trasformazione. Attualmente la copertura è al 45 per cento, dobbiamo incrementarla. E’ chiaro che alla base c’è la questione della sostituzione degli apparecchi riceventi ed è una questione da affrontare anche con i costruttori di automobili. Il salto successivo, con la media company, è di fare la ‘rich radio’ che è ben di più della web radio. Significa che mentre una persona ascolta la radio sul PC, attraverso una finestra, riceve informazioni aggiuntive correlate”.