Magazine Cultura

Zola: Operazione a Cuore Aperto

Creato il 16 gennaio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il gennaio 16, 2012 | LETTERATURA | Autore: Manuela Marascio

Zola: Operazione a Cuore Aperto«Non c’è nulla di più irritante che dover sentire onesti scrittori gridare alla depravazione, quando si è intimamente persuasi che non sappiano neppure a che cosa gridano». Così Émile Zola, nel 1868, fieramente reagiva alla marea di critiche che lo aveva travolto dopo la pubblicazione, l’anno precedente, del suo romanzo Thérèse Raquin (da noi letto nell’edizione della Newton Compton tradotta da Maurizio Grasso). È un’autodifesa, la lunga prefazione che l’autore decise di comporre per acquietare gli animi di coloro che avevano giudicato l’opera sconcia, immorale, persino disgustosa, in certi punti. E Zola stesso si indignò davanti al moralismo ottuso dei critici più virtuosi che avevano gridato allo scandalo, considerando pornografica la materia del romanzo e altrettanto miserabile il romanziere. Nessuno sembrava rendersi conto della rivoluzione che lo scrittore francese stava facendo scendere in campo. Qualche anno dopo, sarebbe stato reso noto un suo saggio, Le Roman expérimental (“Il romanzo sperimentale”), che doveva dare un fondamento teorico alla sua poetica, basata su un modo tutto nuovo di osservare la realtà e di concepire la letteratura. Questo romanzo è uno dei primi “esperimenti” di Zola: lo scrittore si propone di studiare dei temperamenti umani, prelevando un campione di realtà a caso e procedendo all’analisi dei dati con la meticolosità di un vero e proprio scienziato, o, come egli stesso si definisce, di «un semplice analista, che si sarà pure smarrito nel marciume umano, ma che vi si è smarrito come un medico può smarrirsi in una sala anatomica». Inizialmente, Zola ci accompagna in una passeggiata attraverso posti a lui familiari, fino a fermare il passo davanti al luogo in cui si erano svolti i fatti che intende esporci. E, allora, a noi non resta che accomodarci su panche di legno, forse un po’ scomode e consumate, e prestare attenzione ai processi che avverranno dietro il vetro di un’ordinaria bottega, occupata da ordinari individui. Zola prende in esame la signora Raquin, una merciaia di Vernon, che ha cresciuto amorevolmente suo figlio, Camille, e la nipote Thérèse. Raggiunta l’età matura, i due giovani si sono sposati e, da quel momento, la vita all’interno della bottega procede scandita da ripetitivi gesti quotidiani. L’arrivo di una quarta persona, Laurent, sconvolge questa tranquillità: egli diventa in poco tempo l’amante di Thérèse, e la loro relazione procede senza intoppi. Ma, ben presto, il desiderio di rimanere uniti per tutta la vita si impossessa delle loro menti e, con una calma, per quanto folle, lucidità, valutano la possibilità di uccidere Camille. Il delitto riesce perfetto e Laurent non ha difficoltà a farlo passare per un incidente. Segue, poi, un periodo di stasi, durante il quale i due amanti a malapena si sfiorano. Laurent continua, con pazienza, a frequentare la bottega, finché riesce a conquistarsi la fiducia della vecchia signora Raquin. Ma, quando arriva il giorno tanto atteso delle nozze, i due corpi sono presi da un malessere latente, che, a poco a poco, si manifesta nei momenti di maggiore intimità. Ritrovandosi soli in una stanza, non sentono più la brama di stringersi in abbracci appassionati, anzi, respingendosi, rimangono immobili, ognuno nel proprio spazio, delimitato da confini invalicabili. La colpa commessa genera rimorsi sempre più penetranti, che trovano sfogo nelle crisi nervose di pianto o nella rabbia violenta.

Zola: Operazione a Cuore Aperto

Nessuno dei frequentatori della casa si accorge del dramma dei due coniugi, che, al contrario, vengono elogiati per la serenità che trasmettono. Persino la signora Raquin, sempre presente, continua a compiacersi dell’armonia della nuova coppia, anche quando una paralisi totale le nega qualsiasi movimento o parola. I due sposi, intanto, si avviano lentamente verso l’autodistruzione: non riuscendo a scacciare il fantasma di Camille, la cui presenza si avverte ovunque, anche nel loro letto, decidono di estirpare il loro dolore alla radice. Così, nel momento in cui stanno per uccidersi reciprocamente, dopo un ultimo pianto disperato e liberatorio, vanno incontro al suicidio, insieme, per sempre uniti, proprio come avevano voluto. Dieci anni dopo l’uscita del romanzo Madame Bovary, di Gustave Flaubert, la letteratura francese è costretta a dire addio ai vagheggiamenti, alle fantasticherie e ai sentimentalismi di una donna segregata all’interno della prigione borghese. Thérèse non ha più i connotati delle grandi eroine romantiche: sebbene viva, come Emma Bovary, un’esistenza monotona, priva di sfumature e annichilente, ci appare come una creatura senza ideali, senza sogni, persino senza semplici e banali pensieri, fino al momento in cui incontra Laurent. È in questo punto che il medico osservatore registra il fattore scatenante il lento processo del degrado fisico e psichico: la donna, pur mantenendo, apparentemente, i connotati della moglie buona e mite, sperimenta l’abbandono dei freni inibitori, si sente appagata nel soddisfare quei desideri carnali che mai Camille le aveva suscitato. Thérèse si offre a Laurent, emblema della virilità e attraente nella sua possanza, come una donna segnata dal tempo, abbruttita dalla sola vicinanza di Camille, omiciattolo debole, cagionevole di salute e, ai suoi occhi, ripugnante. Credendo di essere stata, in qualche modo, contagiata dalla malattia del marito, spera di trovare la cura nell’amante, ma è proprio questa passione a causare l’insorgere di un nuovo male, questa volta senza alcun rimedio. Mi sono resa conto di quanto sia difficile, per un lettore del terzo millennio, accettare di seguire meccanicamente l’occhio di un narratore che tutto vede e tutto conosce, che non utilizza alcuno spazio per le sue riflessioni personali e che si rende indiscreto, penetrando nell’intimità dei personaggi, senza, però, mai lasciarsi coinvolgere. Forse, oggi siamo troppo abituati a vivere la letteratura come sfogo e liberazione e rimaniamo sconcertati davanti alla pretesa di dover leggere una storia come se fossimo davanti al tavolo di una sala operatoria. Ma, secondo quanto ci dice Zola, nemmeno ai suoi tempi la gente era preparata a imbattersi in letture di questo tipo. La vicenda può risultare banale, perché non ha nulla di diverso rispetto a molti fatti di cronaca che continuamente riempiono i giornali: un matrimonio infelice, un adulterio, un delitto. E, naturalmente, una tragica conclusione. L’amore passionale, l’impeto travolgente, il rifiuto di certe imposizioni: sono tutti elementi che attirano chi ha un debole per le avventure tinte di rosa. E Zola lo sapeva bene: erano tempi in cui circolavano frivoli libriccini che tenevano compagnia alle signore nei salotti, e che ormai erano entrati nel costume della società borghese. Ma le cose, fino ai giorni nostri, non sono poi tanto cambiate. E anche noi ci indigniamo, adesso, nel veder vivisezionare dei personaggi senza pietà, senza nemmeno un accenno di partecipazione emotiva. Rimaniamo congelati dal freddo, ma lucidissimo, sguardo del chirurgo. Non c’è la minima traccia di considerazioni personali e sono totalmente assenti quelle massime pseudofilosofiche che, troppo spesso, oggi, capita di leggere, mescolate a sentimentalismi inconsistenti. Thérèse e Laurent sono fatti di carne, di sangue, di muscoli e di ossa. Sono due corpi che rispondono a istinti naturali, non usano la ragione, non si cercano con il pensiero, ma con la pelle, con il fiato, con il sudore. Zola li definisce “animali con sembianze umane, niente di più”. Li studia da vicino, li osserva nel loro iniziale scambio di sguardi, proprio come due animali che si girano attorno prima dell’accoppiamento. E, poi, si insinua nelle stanze in cui avvengono i loro incontri, analizza i movimenti e le espressioni di quei corpi che lentamente si fondono insieme. Ed è un processo irreversibile, come la maggior parte dei fenomeni che avvengono in natura. Saranno per sempre uniti, in uno spietato gioco di tensioni opposte che li porterà a respingersi, pur non potendo esistere l’uno senza l’altra. Operazioni di questo tipo, adesso, richiederebbero l’anestesia. E nulla ci vieta di tornare a farci cullare dalle parole dolci e confortanti di scrittori che vogliono solo aiutarci a comprendere meglio i nostri sentimenti. Ma resta indiscutibile il fatto che solo il chirurgo con la mano ferma può portare a buon esito un’operazione.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :