Titolo: Zorba il greco
Autore: Nikos Kazantzakis
Anno: 1946
Il romanzo fu pubblicato nel 1946, ma solo nel 2011 per la prima volta con una traduzione direttamente dall’originale greco. Assolutamente da segnalare un’importante riduzione cinematografica, grande successo internazionale, coronato con 2 Oscar e 4 nomination: sublime ed esuberante l’interpretazione di Anthony Quinn, impareggiabili le musiche popolari di Mikis Theodorakis.
<Ecco il mare nella languida dolcezza dell'autunno, ecco l’ isola bagnata di luce sotto la pioggia minuta che stendeva un diafano velo sulla immortale nudità della Grecia. Felice l'uomo, pensai, che prima di morire ha la fortuna di veleggiare sul mar Egeo>: questo libro sarebbe impensabile senza la descrizione del paesaggio greco così come lo sarebbe se non avesse come protagonista quello che ha, il greco Zorba, appunto. Banale considerazione? Provate a leggere le pagine di questo romanzo e resterete ammaliati e stupiti di come uomo e natura siano direttamente proporzionali l’uno all’altro, l’uno il naturale completamento dell’altro.
La storia è più che semplice: un anonimo intellettuale decide di raccontare la vita di Alexis Zorba, da lui incontrato durante un viaggio a Creta. I due hanno differenti approcci alla vita: vive in un “mondo di carta” il primo, a volte troppo pauroso per affrontare la realtà; vitale, affascinante, innamorato della vita e del mondo, talvolta egoista e maschilista l’altro. Pur in tanta diversità, i due diventeranno amici e condivideranno avventure, pensieri e discussioni. La narrazione gioca su questo contrasto, ma a volta risulta ripetitiva se non monotona, in questo continuo confronto sì, ma impari, dove il vecchio ha sempre la meglio sul giovane.
Eppure, fra i classici da leggere e ri-leggere <Zorba il greco> entra di diritto, perché non è la trama o l’architettura narrativa a fare di un libro un buon libro, o perlomeno non è solo quello… Il mare blu, di un colore che solo chi ha avuto la fortuna di vedere può ricordare, il cielo infuocato all’ora del tramonto, la lentezza dell’uomo greco nel sorseggiare il caffè all’ombra di un platano e…immancabili…le note dello zeibèkiko: <allungò la gamba, sfiorò leggermente la terra con il piede, allungò l’altra, i passi si intrecciarono selvaggiamente, gioiosamente, la terra risuonò. … Hop! Hop! … Fece un salto, le sue gambe e le mani diventarono ali. Si lanciava eretto sopra il suolo, e vedendolo sullo sfondo del cielo e del mare mi sembrava un vecchio arcangelo ribelle. Perché quella danza di Zorba era tutta una sfida, un’ostinazione, una rivolta>.
Se non apprezzerete Kazantzakis come scrittore, sono comunque fermamente convinta che gli riconoscerete il merito di una personalissima ricetta per la felicità:
<Cerchi soluzioni mirabolanti, ti esalti solo davanti ai grandi effetti speciali, alle parole roboanti, alle sfrenatezze delle fantasticherie di una mente frustrata e in gabbia. E allora perdi il suono del mare, il bicchiere di vino, la bellezza dell’essere delle cose. Cerchi troppo in alto. Soprattutto il problema è che cerchi. E allora non vedi. Lo sai, te l’hanno già detto tutti, ma non lo sai mai fino in fondo: la retorica della felicità finalmente ha la sua fine quando capisci che la questione non sta nei contenuti, ma nell’atteggiamento.
Allora quando non hai più tensioni, attese, aspettative verso questa o quella cosa, questo o quell’evento, sei tutto aderente all’atto dell’attimo. Sei tutto preso. Non c’è dualismo, non c’è domanda, non c’è ricerca>.
Pensate a queste parole quando vi troverete davanti alla mi(s)tica Ellade…