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ZXR400 (di Massimo Janigro)

Da Villa Telesio

futurismo

Era un giorno qualsiasi a scuola, fuori una bella giornata. Probabilmente era primavera o fine estate. Eravamo nell’aula di disegno, quella che ridà su via Firenze.

La professoressa era la mitica Milanesi. Faticava a tenere la calma in classe, ma non le mancavamo di rispetto, le volevamo bene. Sento un rombo, da via Firenze, insieme ad Arnaldo guardiamo in strada. Abbiamo detto qualcosa come “che belva”.

Sapevamo qualcosa di moto. Quello che sentivamo dai fratelli maggiori o leggevamo su Motociclismo o Tuttomoto. Io avevo fatto qualche bel giro come passeggero con la vecchia moto di mio padre, la Benelli 250 2C e con la MTX 125 di mio fratello e sognavo ad occhi aperti. A 12 anni non vedevo l’ora di compierne 14 per avere un mezzo tutto mio. A 12 anni mi chiedevo se sarei mai stato in grado di cambiare le marce.

“Pensa che è solo 400” disse Arnaldo o forse lo dissi io -sono passati più di vent’anni e a volte i ricordi si mischiano attraverso giri strani. Sognammo di essere fuori da quella classe, ma soprattutto sognammo di avere quella moto verde, di farla urlare con tutta la voce che ha.

In realtà, essendo la sorella 750 più diffusa, molto probabilmente era proprio una 750 quella che sentimmo urlare e vedemmo scalpitare costretta dalla limitatezza di una strada del centro, ma per me rimase sempre “solo (una) 400”. E non la scordai più.

Poi sono entrato nel mondo delle moto per davvero. La passione mi ha portato dal guardarle e desiderarle sulle pagine dei giornali a guidarle. Non mi sono mai piaciute le moto da corsa, per questo la mia moto era una Tenerè, una moto che potremmo dire da avventura, con cui riesci a far tutto, magari tutto appena benino, ma tutto veramente.

Era una sera di ottobre del 2012 mi pare, ero a cena a casa di Thomas e Stefania a Fabriano. Come sempre andare a cena a casa di Thomas e Stefania era una figata. Non so se mi ero autoinvitato o mi avevano invitato loro vedendo il mio scarso frigorifero. A casa loro si mangiava sempre benissimo, spesso cucina sarda, vino di ottima qualità e c’era sempre anche un bel carrello di amari.

Guardavamo la televisione e su Rai 3 mandarono in onda la puntata di “Sfide” dedicata a Marco Simoncelli, morto in gara appena un anno prima. Era un ragazzo eccezionale, un pilota “no limits”. Guardare quella puntata mi rattristò molto. Ma mi fece capire anche una cosa, che avevo bisogno di guidare una moto sportiva, che qualcosa mancava alla mia esperienza.

E fu più per memoria del passato che per un principio di sana prevenzione dall’autodistruzione o istinto di sopravvivenza che scelsi di prendere una sportiva di una certa età, che magari non primeggiava in prestazioni assolute, ma che per me significava molto.

In pochi giorni da quell’intuizione rientrai da Fossombrone a Fabriano con la ZXR400. Per qualche istante fui davvero felice, come forse lo può essere solo un ragazzino di 12 anni che realizza un suo sogno. Diamo un senso al nostro essere “grandi” se riusciamo a dar vita a quello che un tempo sognavamo.

Un anno dopo comprai anche una TT350, ma quella è un’altra storia.


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