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Alberto Carollo autore di “Doppio ritratto” parla del suo romanzo con Iannozzi Giuseppe

Creato il 08 maggio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Alberto Carollo

autore di “Doppio ritratto”

di Iannozzi Giuseppe

Alberto Carollo autore di “Doppio ritratto” parla del suo romanzo con Iannozzi Giuseppe
1. “Doppio ritratto” è il disegno di un destino infelice, di un amore la cui misura par essere disgraziata sino alle estreme conseguenze. C’è di fondo un esistenzialismo talvolta cinico in Alfredo, nel protagonista del tuo ultimo romanzo. Sbaglio?

Non sbagli. Alfredo è un personaggio “saturnino”, un malinconico con tutti i crismi e carismi del caso. Il suo esistenzialismo è il prodotto di una sensibilità non comune e affiora prepotente nei dialoghi, spesso caustici, intrisi di un umorismo “nero” che a ben vedere è una forma di autodifesa, una barriera di protezione per il suo io vulnerabile. Lo scioglimento dell’intreccio, come rilevi, non è certamente quello di un happy end ma nelle mie intenzioni lascia aperta qualche possibilità, se non altro di una ulteriore, pur dolente, consapevolezza.

2. Chi è in realtà Alfredo Algelo, questo scrittore di grandi ambizioni ma incapace di evadere dalle sue ossessioni?

Alberto Carollo autore di “Doppio ritratto” parla del suo romanzo con Iannozzi Giuseppe

Alberto Carollo

Alfredo è un giovane insegnante con una profonda passione per la Storia dell’Arte e una tenace motivazione ad esprimersi creativamente. Come aspirante scrittore è alla ricerca di un pubblico di interlocutori in grado di apprezzare e confrontarsi col suo lavoro. Purtroppo nella società provinciale e distratta in cui opera, infatuata di ben altri valori, i suoi sforzi sono destinati all’insuccesso. Le sue ricerche sul “Doppio ritratto” di Giorgione, oltre a costituire un’intrigante sfida intellettuale per le loro implicazioni filosofiche ed esistenziali, divengono vere e proprie ossessioni, una continua tensione a dare forma e consistenza alle sue ambizioni artistiche e di vita. Ossessioni estetiche ma pure erotiche: in un momento di particolare fragilità psicologica Alfredo incappa in Alina, la complicata ragazza di un pubblicitario, e si invischia in una relazione perniciosa e senza scampo.

3. In “Doppio ritratto” ci sono due importanti figure femminili, Alina e Ilaria. Con Ilaria il protagonista Alfredo instaurerà un rapporto profondo, alla fine quasi materno più che intellettuale. Quanto è importante il femmineo per Alfredo e per il tuo saper essere scrittore che scava nella psiche umana?

Hai colto con grande acume la pietra angolare del romanzo: il femmineo. Per uno scrittore, maschio, inseguire la propria parte femminile, quella che Carl Gustav Jung – padre della psicologia analitica – definisce anima, è individuare la propria componente artistica, la propria creatività. Ė stato così per Dante e Petrarca; nelle loro opere Beatrice e Laura perdono le connotazioni terrene per divenire “altro”: cammino verso la perfezione, eterno femminino. Alina ed Ilaria sono figure emblematiche in questo senso: da una parte la giovane donna sensuale, preda di un istinto vorace che ben si adatta al suo habitat naturale, dotata di conoscenza e talenti “empirici” che confondono e relativizzano le certezze di Alfredo; al polo opposto l’anziana poetessa sul viale del tramonto, minata nel fisico, fiaccata dalle esperienze difficili e complicate dell’esistenza, che diviene specchio della condizione dell’artista nell’odierna società, spesso incompreso e marginalizzato.

4. Alfredo insegue l’Arte, ma è forse più giusto dire che insegue un ideale artistico caratterizzato da una forza comunicativa immarcescibile che ricusa l’effimero. È Alfredo più votato all’apollineo o ad una dimensione dionisiaca dell’Arte? Spiega perché.

Alfredo si dibatte in una sorta di inconciliabilità degli opposti. Avverte lo sfilacciato della sua esperienza di vita; sente che potrebbe renderla più compiuta nella rappresentazione artistica. La sua disposizione apollinea è il tentativo di fare della propria vita un’opera d’arte, di poterne essere il regista, di ordinarla come si fa per le categorie dell’intelletto e della ragione. Ma l’esistenza sguscia, è palpitante e inafferrabile nel sentimento che il personaggio nutre per Alina, nel suo goffo tentativo di imbrigliarla nel logos. «I filosofi non sanno danzare», sembra pensare Alfredo; Alina lo trascina nel mezzo di una danza dionisiaca, nel vortice di una forza irresistibile quanto sconosciuta. Difficile rimanere in bilico: difatti cade, per inesperienza. Un Alfredo più maturo avrebbe forse tentato una diversa integrazione dei due aspetti, chi lo sa.

5. In “Doppio ritratto”, ad esempio, vengono analizzate diverse opere di Munch e Van Gogh, il primo appartenente alla scuola dell’arte espressionista, il secondo invece un impressionista tout court. Entrambi non sono stati ben accolti né compresi nel momento storico che li ha visti protagonisti. Nelle loro opere forte è l’angoscia e la solitudine. Per Munch la morte e la passione sono i temi dominanti, mentre per Vincent, come bene spiega Argan nel suo saggio “L’arte moderna”, “l’arte deve inserirsi come una forza attiva, ma di segno contrario” affinché sia “lampante la scoperta della verità contro la crescente tendenza alla alienazione e alla mistificazione”. Quanto c’è di tutto questo nel tuo romanzo?

Il romanzo ha diversi piani di lettura e i temi che concentri in questa domanda sarebbero per me un invito a cena quanto una crocefissione per i lettori di questa intervista, che si dilungherebbe oltre il lecito. Ho raccolto un dossier consistente sulla “melancholia” nella preparazione di “Doppio ritratto”; materiali disparati: letteratura, medicina, storia dell’arte, musica, filosofia, psicanalisi. Il malinconico è uno dei tipi più ricorrenti e studiati nella cultura occidentale; Munch e Van Gogh erano dei melanconici in forme che gli studiosi moderni ascrivono a stati patologici. In Marsilio Ficino e nel pensiero neoplatonico la malinconia è una forza di segno positivo, prodiga delle più alte e nobili facoltà come ragione e speculazione. Secondo Aristotele tutti i più grandi uomini erano dei melanconici: ne soffrirono Socrate ed Empedocle, Van Der Goes e Dürer, Leopardi e Baudelaire, De Chirico, Umberto Saba e finanche Gassman per fare qualche nome. Nel romanzo mi interessava accennare a questa continuità, pungolare il lettore ad approfondire.

6. Alfredo è il ritratto incarnato della sofferenza, in altri tempi sarebbe stato tacciato d’essere un ‘artista maledetto’. Vittima di uno spleen incoercibile Alfredo riesce a tradurre in arte con la “A” maiuscola la sua sofferenza? E se sì, in che maniera?

La sofferenza del malinconico è una condizione più o meno estrema di inadeguatezza: l’essere pensante e creativo è quasi ridotto all’impotenza perché non possiede (e forse non possiederà mai) le conoscenze adeguate a risolvere i propri problemi esistenziali. Per riallacciarmi in coda o in supplemento alla domanda precedente, la “forza attiva, ma di segno contrario” di cui parla Argan è la lucidità che questi stati mentali conferiscono a chi ne è affetto. La melanconia può essere croce e delizia e c’è in molti malinconici un atteggiamento ambivalente, l’esser quasi compiaciuti di essere così tormentati e consapevoli. In forme e modi differenti ritengo che pressoché tutte le espressioni artistiche di rilievo siano la rappresentazione degli aspetti più reali di problemi fondamentali che ci assillano dalla notte dei tempi.

7. A tuo avviso l’ànemos è qualche cosa di reale, o è invece una fantasiosa idea comune a tante religioni e filosofie? Alfredo crede nell’eternità dell’anima? E in quella dell’Arte?

Perbacco, Beppe! Mi sudano le mani, ma da buon malinconico “compensato” presto volentieri il fianco al supplizio del tuo “interrogatorio”. Alfredo non crede in Dio o in qualsivoglia dottrina religiosa; per lui l’anima è, nella sua accezione aristotelica, “entelechia”, forma e principio di vita che anima e governa il corpo. L’Arte è una forma di sublimazione, di amplificazione della coscienza e delle percezioni, ma tutto avviene nei territori della psiche, dell’io. Alfredo è molto simile a Ilaria Baldini, a quel che la poetessa scrive nella sua lettera, a proposito della sua paura tutta “terrena e sensibile” della morte. È quasi foscoliana Ilaria: sopravviviamo nel ricordo di chi ci ha conosciuti e amati, e nelle nostre opere. Io sottoscrivo con un “Mi piace”.

8. Per Alfredo la bellezza è una realtà tangibile o si tratta invece di un ideale mutevole soggetto ai capricci del momento storico in cui l’artista vive?

Per Alfredo la bellezza è qualcosa di imperituro che trascende il concetto di tempo lineare: alcuni testi, alcune composizioni musicali, alcuni dipinti come il “Doppio ritratto” ci parlano attraverso i secoli. Dante è assolutamente un nostro contemporaneo, così come lo sono Leonardo o Piero della Francesca. Vi è poi un certo tipo di bellezza, ad un livello più “cinetico”, direbbe Joyce, che alletta i sensi e riverbera il periodo storico, come la moda. Una sorta di fascinazione estemporanea, di vezzo estetico con un suo spessore, come il Barocco o la Pop Art.

9. La figura di Ilaria Baldini ricopre un ruolo di primo piano nel tuo romanzo: è una scrittrice già in là con gli anni, costretta sulla sedia a rotelle e affetta da non pochi acciacchi, che è diventata famosa per aver dato alle stampe le sue “Vacanze coatte”. A chi hai pensato per ritrarre il personaggio di Ilaria?

Sono lieto che tu me lo chieda; sono molto affezionato al personaggio di Ilaria. Ho avuto il piacere di conoscere un’anziana scrittrice e giornalista che assomigliava per certi aspetti ad Ilaria; è mancata dopo qualche anno di frequentazioni ma mi ha lasciato degli splendidi ricordi. Aveva una volontà senza pari; non si arrendeva mai, mi ha insegnato a “meravigliarmi” della bellezza che siamo in grado di scorgere quotidianamente, come fanno i bambini, con semplicità. Ho preso in prestito alcuni suoi tratti per costruire Ilaria, e credo di averle reso giustizia in buona parte, per quanto ho potuto. Non ne ho mai parlato finora: Iannozzi è come una seduta da Sigmund Freud!

10. “Doppio ritratto”, quale messaggio vorrebbe portare all’attenzione del lettore di oggi?

Non ho manifesti da contrabbandare; confido che il mio lettore possa trascorrere qualche ora piacevole con le mie storie, ma che sia pure indotto a non considerare acriticamente quanto gli accade, dentro e fuori dal romanzo. È sempre possibile guardare gli eventi, il mondo che ci circonda da altre angolazioni, comparare tra loro elementi disparati e apparentemente senza collegamento. Lasciamo sempre aperta qualche porta, insomma. Senza troppi timori o idiosincrasie, mi raccomando.

11. Gli autori che da sempre hanno influenzato il tuo modo di scrivere?

Beh, mi dovrei prendere qualche settimana di ferie per risponderti. Da veneto mi sento molto vicino alla narrativa di Goffredo Parise, alla poesia di Zanzotto, alla scrittura di confine di Fulvio Tomizza. In qualche modo mi hanno sicuramente influenzato Svevo e Pirandello, di cui ho letto praticamente tutto nella mia adolescenza. E ancora Milan Kundera, Franz Kafka, James Joyce – ho letto varie volte l’Ulisse e non me ne sono ancora fatto una ragione! Mi piacciono le sceneggiature di Woody Allen, il teatro di Harold Pinter; leggo con ammirazione Ian Mc Ewan, Jonathan Coe, Philip Roth, Paul Auster, Don De Lillo, Agota Kristof, Mordecai Richler.

12. Ho notato che in “Doppio ritratto” i dialoghi sono molto serrati, quasi carveriani, mentre le descrizioni sono (oltremodo) particolareggiate. Il motivo di questo contrasto qual è?

Ho curato i dialoghi con molta attenzione. Li ho spesso letti a voce alta, per rendere il ritmo del respiro, il ping pong del botta e risposta tra i personaggi.
Mi piacciono le descrizioni nei romanzi, è un aspetto della scrittura che attualmente è stata sacrificata, per contaminazione tra i generi, ad una visione da script cinematografico, rapida ed essenziale. Senza scomodare l’Ottocento, penso che gli stati d’animo dei personaggi si riverberino in qualche modo negli ambienti, nel paesaggio, creando un climax irripetibile per altre forme espressive. Penso alle pagine di apertura di “A sangue freddo” di Truman Capote. Nella descrizione del villaggio di Holcomb nel Kansas ogni elemento concorre a creare un’atmosfera presaga di morte, di rabbia e disagio repressi, di follia gratuita.

13. ‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti così come noi li rimettiamo ai nostri debitori….’ E tu, Alberto, dacci almeno un buon motivo, senza falsa modestia, per cui leggere il tuo romanzo “Doppio ritratto”.

Leggetelo perché in fondo è una buona storia d’amore: c’è tanto sesso e storia dell’arte (per compensare con eleganza i “bassi istinti” dell’autore). Credo non sia un romanzo banale; ho cercato di scriverlo bene perché ci ho messo qualche anno e tre o quattro riscritture (mi sono fatto consigliare e dileggiare, con umiltà e pazienza) e spero possa fornirvi qualche spunto di riflessione. Nel tempo.

Grazie, Alberto, al solito sei stato molto gentile. A te ogni bene.
Beppe

Grazie a te Beppe; sei stato un gran bastardo ma è stato un piacere passare per le tue forche caudine.
Lunga vita e prosperità..


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