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Antoni Slonimski

Da Paolo Statuti

Antoni Słonimski

Antoni Slonimski

   Poeta e prosatore, commediografo, umorista, brillante saggista –Antoni Słonimski rappresenta nella letteratura polacca il tipo della creazione impegnata e satura di contenuti umanistici. Era nato il 15 ottobre 1895 a Varsavia. Terminato il ginnasio studiò pittura e storia dell’arte a Varsavia e a Monaco.

   Debuttò come poeta nel 1918 con un ciclo di Sonetti. Nel 1920, assieme a Jarosław Iwaszkiewicz, Jan Lechoń, Julian Tuwim e Kazimierz Wierzyński, fu uno dei fondatori del celebre gruppo “Skamander”. Tra le sue raccolte poetiche uscite nel ventennio tra le due guerre, ricordiamo: “Czarna wiosna” (Nera primavera, 1919), “Parada” (La parata, 1920), “Godzina poezji” (L’ora della poesia, 1923), “Droga na Wschód” (La strada per l’Est, 1924), “Okno bez krat” (Finestra senza grata) – uscita nel 1935, nella quale è inclusa la nota poesia “Ai Tedeschi”. Quest’ultimo volume di versi rappresentò nella lirica polacca di quel periodo – una delle più potenti voci di protesta contro l’ondata di fascismo, sviluppatasi nell’Europa degli anni ’30.

   Antoni Słonimski va ricordato non solo come poeta, ma anche quale autore di pungenti e arguti feuilleton, come ad esempio le celebri “Cronache della settimana”, pubblicate dal 1927 al 1935 sulla rivista liberale “Informazioni letterarie” e trattanti tutte le questioni di attualità di quegli anni. Scritte con grande coraggio, esse costituiscono una straordinaria fonte d’informazioni sulla vita culturale del ventennio, sugli umori, gusti e sui problemi che travagliavano l’intellighenzia del tempo. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, queste cronache incantano per la loro verve polemica e l’arguzia dell’autore.

   Słonimski si cimentò brillantemente anche in campo teatrale, e le sue commedie: „Wieża Babel” (La torre di Babele, 1927), rappresentata per la regia di Leon Schiller,  “Murzyn warszawski” (Il negro di Varsavia, 1928), “Lekarz bezdomny” (Il medico senzatetto, 1930), “Rodzina” (La famiglia), furono rappresentate sulle scene polacche nel periodo tra le due guerre. Particolarmente “La famiglia”, una commedia che si burlava delle  teorie razziste dei fascisti, messa in scena a Varsavia nella stagione teatrale 1933/34, cioè nel momento in cui Hitler era salito al potere in Germania, riscosse molto successo.

   Durante gli anni della II guerra mondiale Słonimski soggiornò all’estero: dapprima in Francia e, dopo la disfatta – in Inghilterra, dove dal 1942 al 1946 diresse il mensile letterario “Nuova Polonia”, favorevole alla concezione di una Polonia democratico-popolare, libera dalle tendenze totalitarie degli anni ’30.

   Nei primi anni dopo la guerra il poeta fu direttore dell’Istituto di Cultura Polacca a Londra, e rappresentò la Polonia all’UNESCO. Tornò a Varsavia nel 1951 e da quel momento svolse un ruolo di primo piano nella vita culturale del paese. Negli anni 1956-59 fu presidente dell’Unione dei Letterati Polacchi e membro attivo di molte altre istituzioni e organizzazioni culturali, come ad esempio il Pen-Club.

   Negli anni ’50 e ’60 pubblicò tra l’altro le raccolte poetiche “Wiersze wybrane” (Poesie scelte) e “Rozmowa z gwiazdą” (Colloquio con la stella). A cominciare dagli anni ’60 appoggiò numerose iniziative di opposizione alle autorità comuniste, come ad esempio la “Lista 34” nel 1964 – una lettera di protesta sottoscritta da illustri scrittori e studiosi, indirizzata al primo ministro Józef Cyrankiewicz, per chiedere un attenuamento della censura e una maggiore disponibilità di carta, e il “Memorial 59” – lettera aperta degli intellettuali per protestare contro le modifiche della costituzione e soprattutto per l’inserimento in essa del ruolo guida del PZPR (Partito Unificato Polacco dei Lavoratori).

   Quella di Słonimski è una poesia estremamente matura, lirica, a volte ironica, a volte amara, ma che non perde mai la fede nella vittoria del pensiero umano. Vi troviamo sempre più spesso note di cupa tristezza, di delusione e dolore, molte meditazioni sull’inesorabile trascorrere del tempo, e l’inquietudine per le sorti della cultura umana.

   Liberale e pacifista, Słonimski ebbe numerosi, accaniti avversari sia a destra che a sinistra, ma ebbe anche moltissimi ammiratori, che egli commoveva con la sua lirica rivolta ai sentimenti e divertiva con il suo spirito arguto.

   Fino all’ultimo restò un uomo votato alla lotta e alla polemica: beffardo, ostinato, scomodo per coloro che non sopportano l’opposizione e la critica, paladino del coraggio, della rettitudine, della libertà di opinione.

   Morì il 4 luglio 1976 in un tragico incidente automobilistico e scomparve con lui non solo un grande scrittore, ma anche una delle più brillanti figure del mondo letterario polacco. Di Antoni Słonimski pubblico qui 5 poesie nella mia versione.

 

Antoni Słonimski tradotto da Paolo Statuti

Parole

Come un prete che più non crede, ma zelante

Usa ancor parole che gli furono sante,

E governa i suoi fedeli in adorazione

Non con lieta grazia, ma con triste ragione,

Così anch’io colgo parole che più non sento,

Quelle in cui da piccolo credevo, rammento.

Scrivo: fede, e nei codici, nei sacri testi

Leggo la coscienza come tanti riflessi.

Scrivo: progresso, e vedo come ognor fluisce

E muta il corso degli eventi e poi finisce.

Scrivo: vita, e vedo la materia vibrare

E quell’onda che si avvicina, poi scompare.

Scrivo infine: ragione e amore, e dietro queste

La quiete cerco ma sento solo tempeste.

E voglio invano placare il loro frastuono,

E ho per arma una parola sola: uomo.

 

Tutto

A Tolosa o Ankara,

in Italia o a Dakar,

a Lisbona o nel cuore dell’Asia

o nell’umida Londra,

trascinati dall’onda

ci perdiamo la strada di casa.

Che cos’è che sogniamo,

che cos’è che vogliamo,

quali gemme ci hanno rubate.

Non per la fama o gli agi

noi viviamo randagi,

ma per cose più nobili e sacre.

No non per il potere

ma bensì per giacere

con un libro all’ombra d’un pioppo,

con le voci dei campi,

le zanzare ronzanti,

e i cavalli lanciati al galoppo.

No non per comandare

ma bensì per tagliare

e dividerci il pane equamente,

per uscir sulla strada

nella notte stellata

e dormir sotto il cielo splendente.

Per guardare affacciati

i castagni spruzzati

dalla pioggia che sembra un tessuto,

e rifare al mattino

quello stesso cammino –

non è molto, eppure è tutto.

 

Ai Tedeschi

Mirando con orgoglio la città fumante,

Dal cortile un rozzo romano mise piede,

Con la daga arrossata, in casa d’Archimede,

Quando Marcello entrò a Siracusa trionfante.

Seminudo, impolverato, come un ossesso,

Irruppe immaginandosi un altro misfatto,

“Noli turbare circulos meos” – distratto

Disse Archimede, tracciando cerchi col gesso.

Sul cerchio, sul raggio e sul triangolo inscritto,

Come un ruscello vivente il sangue è piovuto.

Archimede, difenditi dal bruto!

Archimede che oggi verrà trafitto!

Il sangue è scomparso, ma il tuo spirito resta.

Ma no. Anch’esso perisce. Dov’è l’impronta?

I marmi della casa la vipera infesta.

E le rovine dell’Ellade il vento affronta.

1935

Lettera dal viaggio

Se dovrò morire in un viale italiano,

Tra i neri cipressi, all’ombra del caprifoglio,

Portatemi, vi prego, quanto più lontano.

Mantova è straniera. A Genova morir non voglio.

Non posatemi nelle vigne – troppo terso

E’ il cielo, lì la terra sotto il corpo cede –

Sotto il cielo nativo e piovoso sia messo,

Nel mezzo della città, sotto il marciapiede.

Tra tubi, fil di ferro, tra cavi e bulloni,

Trovi il mio riposo in un covo di topacci,

Su di me ruggisca il mulino dei demòni,

E la bestia con mille teste mi schiacci.

Col biancore delle ossa fenderò i flutti

Della folla, come fa un relitto incagliato –

Riportatemi nella patria, amici tutti,

Se morrò nella terra straniera che ho amato.

1922

Lirica

Lo so, andrò a piedi dalla stazione,

Anche se di sera era buio.

Difficile perdersi, seguirò i binari del treno

Lasciando le due acacie a sinistra.

L’odore del tabacco in fiore,

Il concime equino che profuma di miele

E lontano il fischio della vaporiera

Lungo, mesto, che si spegne pian piano.

Così come altre volte ho già sognato,

Riconoscerò la tua voce che chiederà: “Chi è?”

E mi prenderanno alla gola

Del ritorno la paura e la felicità.

“Chi è là?” – chiederai. Dirò: “Io – Antonio,

Sono qua.” Ancora un passo, mezzo passo.

E la mano tremante sentirò sulla  tempia

E il battito del cuore nell’oscurità.

“Non pensavo di spaventarti così!

Non accendere la luce, restiamo al buio.

Perché guardarci negli occhi non più nostri,

Se i cuori battono come nella giovinezza?”

“Perché sei tornato? Qui va male.” “Lo sapevo,

Ma per me conforto non c’era più,

Ho lasciato qui tutto ciò che avevo,

I nostri comuni sogni di gioventù.

1945

 

(C) by Paolo Statuti

 

 

 



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