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Assaggi di romanzo - BELLOFAX ITALIA, capitoli 14-19

Creato il 01 aprile 2011 da Zioscriba
Assaggi di romanzo - BELLOFAX ITALIA, capitoli 14-19
La Snip era un normale miniappartamento trasformato in ufficio, al secondo piano sopra il negozio di un ferramenta in un magro paesello che si chiamava più o meno Grassobbio. Il ferramenta era il padrone di casa. Pretendeva l’affitto. Avere la sede nel magro paesello e pagare l’affitto al ferramenta era un po’ il punto debole, e Quartullo se ne crucciava. Tuttavia, non era un impedimento decisivo. Il discorso è questo, diceva Quartullo. Che cosa succede: se la Fininvest ha sede a Cologno Monzese, non si capisce perché la Snip non possa stare a Grassobbio.
Nel miniappartamento c’erano un corridoio, tre locali sulla destra del corridoio, e un cesso in fondo con lo sciacquone che non funzionava. Poi c’era uno sgabuzzino col sacco della spazzatura da ricordarsi di mettere fuori (Dennis).
Nel primo locale ci lavorava il sostituto segretaria Dennis, e c’erano il telefono, un computer, la stampante ad aghi per le fatture delle vittime, gli armadi con gli archivi e le scorte di cancelleria.
Il locale di mezzo, ipertecnologico, era quello del gaucho programmatore di computer autodidatta argentino di nome Aymar, che a un certo punto, da collaboratore esterno che era stato inizialmente, era riuscito a farsi assumere.
C’erano due megacomputer, lo scanner, la fotocopiatrice, una stampante laser, un modem, c’erano pile di elenchi Bellofax Italia addossate alla parete di sinistra, c’era la radiolina del gaucho fissa tutto il giorno su radio deejay, con quei deejay operati molto bene al cervello che ragliavano tutto il santo giorno le loro insopportabili vuotaggini, e una puzza di chiuso che sembrava di stare dentro una borsetta di pelle di pantegana, probabilmente per colpa del toner della fotocopiatrice, anche se Quartullo, scherzando con Dennis, l’imputava a talune intemperanze anali sfagiolate via accidentalmente dal gaucho durante il lavoro.
Poi c’era l’ufficio di Quartullo, con gli scaffali pieni di pagine gialle vere sgraffignate in giro per l’Italia, e la scrivania dietro cui Quartullo parlava e parlava e si faceva grande grande e si strappava i peli delle sopracciglia e diceva che cosa succede.
Sulla sua scrivania c’erano due telefoni e un fax, e saltuariamente c’erano attorno delle ragazze scalcinate che lavoravano al telefono per preparare gli appuntamenti agli scalcinati agenti Snip, ma le ragazze cambiavano sempre perché in buona sostanza non guadagnavano un fico secco.
Dennis guadagnava poco di più.
Il gaucho invece aveva uno stipendio quasi decente, perché era un tipo furbetto che sapeva il fatto suo, anche se a guardarlo in faccia proprio non sembrava.
Le finestre dalla parte del corridoio davano su uno strapiombo di strettoia. Quelle dalla parte degli uffici davano sul camper del ferramenta parcheggiato nel cortile del ferramenta. La veduta sul camper del ferramenta mentre tu eri lì intrappolato a lavorare ti faceva girare un pochettino i coglioni esistenziali. (…)
****
A volte, nell’accingersi a consultare un elenco telefonico o il suo stesso Bellofax Italia davanti a sconosciuti, Quartullo si lanciava con ardimento a recitare a memoria, ad alta voce, tranci sconnessi e incompleti di alfabeto.
Recitava, velocissimamente: “Abicìeffegìaccaì”.
A volte lo faceva troppo in fretta, si confondeva, andava in apnea, ricominciava, ripeteva. “Abicì-accaì. Abicì… Abicìeffegìaccaì…”
Sembrava un bambino di sei anni, eppure lo faceva col tono di chi esibisse, orgoglioso, una qualche portentosa conoscenza, un sapere iniziatico che solo lui avesse saputo procurarsi chissà come. Una tiritera che avresti potuto intitolare: “La lettera d, questa sconosciuta”.
“Abicìeffegìaccaì”.
E la d, porcoddue? Che male ti ha fatto, la d?
“Abicìeffegìaccaì”.
E quelle dopo?
Niente.
“Abicìeffegìaccaì”.
Era una delle scene più struggenti cui Dennis avesse mai assistito in vita sua.
Quando non stava dietro la scrivania a farsi grande e a parlare e ad attentare alle proprie sopracciglia, Quartullo lo trovavi in giro per le ditte a stipulare qualche contratto, a rubacchiare qualche briciola, oppure lo trovavi a far perdere le sue tracce nei meandri del cesso per non pagare un fornitore capitato lì all’improvviso.
Più spesso lo trovavi nel locale numero uno a dare il tormento a Dennis, oppure lo trovavi nel locale numero due a dare il tormento al gaucho, che cosa succede di qui, che cosa non succede di là, e allora che cosa succede, il discorso, è questo.
Solo una volta Dennis lo vide bloccarsi nel bel mezzo di un che cosa succede, e con piglio autoironico ritrattare: “No, non succede un cazzo, che cazzo sto dicendo”.
Inutile dire che quella fu l’unica volta in cui il “che cosa succede” avrebbe avuto perfettamente senso nella narrazione in atto.
Tutte le volte che decideva di darti il tormento, dovevi cercare di mantenerti a una certa distanza di sopravvivenza, poiché Quartullo, per non sembrare un calabrese dappoco, aveva l’alito che tanfolava di peperoncino.
****
A volte, a seguito di questi annunci per cercare nuovi rappresentanti, telefonava della gente assurdissima. Un giorno telefonò una specie di zio settantenne che voleva trovare un lavoro alla nipote, probabilmente all’insaputa della nipote.
Questa specie di zio proponeva per lavorare come rappresentante alla Snip questa sua specie di nipote, e voleva fissarle un appuntamento per un colloquio.
Tu lo intuivi, avendone anche avuto esperienza diretta, che si trattava di uno di questi zii che non si fanno gli affari loro, e ti trovano a tua insaputa dei lavori pazzeschi, che tu non accetteresti mai. Però nel dubbio l’appuntamento lo fissavi, riempivi uno spazio nell’agenda, allertavi Quartullo, insomma mettevi in moto un meccanismo, un qualche cosa di importante.
Poi, il giorno stesso del colloquio, all’ultimo momento telefonava la mamma della ragazza, tutta incazzata con lo zio scemo, ma un pochino anche con voi, Come vi salta in testa di fissare appuntamenti con mia figlia, ma come vi permettete.
Guardi che non è mica un appuntamento per scopare, avresti voluto rispondere.
Tu, a grandi linee, parteggiavi per la ragazza, è chiaro, ma questo fatto che dopo lo zio rincoglionito aveva telefonato la mamma, ti faceva venir voglia di andare a prenderla un po’ a calci, quella brutta svegliona. Così magari si svegliava.
La immaginavi come una tizia sostanzialmente poco sveglia, passiva, coi brufoli, che se ne sta lì tutto il tempo a fare le puzzette.
****
Quando Dennis e il gaucho facevano pausa pranzo in ufficio e si mangiavano due panini, ché di pranzare fuori non se lo potevano permettere, la mensa era la scrivania di Quartullo, dal momento che le altre erano tutte troppo piccole o ingombre, per mangiarci in due, e Dennis e il gaucho, pur non essendo amiconi, volevano farsi compagnia, e dopo Quartullo rompeva i maroni perché quell’idiota del gaucho lasciava sempre gli aloni della lattina di aranciata.
Solo che i maroni per questa cosa non li andava a rompere al gaucho. Li rompeva a Dennis, che sotto la sua lattina ci metteva sempre uno scottex.
Dennis avrebbe voluto rispondergli che invece di pensare agli aloni pensasse a togliere dal tavolo i sopracciglietti arrotolati, che a vederli mangiando i panini gli veniva da vomitare.
Avrebbe voluto dirglielo, però non glielo diceva, perché ci sono cose che se lui è il padrone e tu no non gliele puoi mica andare a dire.
Il gaucho dell’ostia mica se lo procurava, lo scottex.
Il buon Dennis prese l’abitudine di portarsi in ufficio due scottex.
****
Questo imprenditore italiano moderno – che aveva “creato”, in proporzione, lo stesso numero di posti di lavoro degli imprenditoroni più in voga e, senza bisogno di proporzioni, della stessa, identica, umiliante precarietà – campava di piccole furbizie patetiche, eppure efficaci.
Una volta, per non pagare un fornitore, uno che vendeva materiale di cancelleria, si mise d’accordo con Dennis per recitare la manfrina del libretto degli assegni.
Perché lui era fatto così, a volte ti trattava come uno schiavo, a volte ti trattava come se foste stati due soci truffatori tipo il Gatto e la Volpe.
La manfrina era questa: approfittando del fatto che era un venerdì pomeriggio sul tardi, al momento opportuno Quartullo avrebbe estratto il suo libretto dalla tasca interna della giacca, la penna già pronta per scrivere. Avrebbe chiesto lumi al fornitore sull’intestazione e sulla data, avrebbe reso tutto più reale buttando lì la preghiera temeraria di poter fare un giochetto di leggera postdatazione, tanto per far vedere che era davvero pronto a mollargli l’assegno, e solo a quel punto si sarebbe accorto, mannaggiammuerte… che gli assegni del libretto erano finiti.
Allora avrebbe chiamato Dennis, (che sarebbe arrivato pattinando sulla cera del corridoio con derapage finale dopo strisciata di sette metri, cosa che a Quartullo faceva prudere le sopracciglia) e gli avrebbe chiesto se si fosse ricordato, andando in banca, di farsi dare un libretto nuovo come gli era stato detto.
No, avrebbe dovuto rispondere Dennis, assestandosi una potente manata sulla fronte. Accidentaccio, me ne sono scordato.
Guarda che a quel punto dovrò farti un piccolo cazziatone davanti al fornitore, per rendere la manfrina credibile, l’aveva avvertito il boss. La cosa era abbastanza seccante, e lui aveva accettato solo per non perdere il lavhorror. Ma poi Quartullo, tutto preso nella sua parte, l’aveva insultato e maltrattato così a fondo da spingere proprio la vittima, il fornitore buggerato, a intervenire in difesa di Dennis, a dire a Quartullo di calmarsi, che i soldi non erano mica tutto nella vita, e che la pazienza è la più grande virtù.
Bene, aveva detto Quartullo quando quello se ne fu andato, a questo stronzo paziente lo pago tra due anni, che razza di fesso, andasse affanculo.
****
Dennis non è che ne avesse molti, di amici. Amici veri praticamente nessuno.
Forse il suo problema era sempre stato crederci troppo, nell’amicizia. Quando tu credi troppo nell’amicizia, e ti aspetti di trovare amici veri, e pretendi che anche questi amici abbiano fede in questo sentimento, in questo sogno condiviso, come lo chiamava Raymond Carver, e lo considerino importante come e più di un matrimonio, tu, di solito, con questi presupposti, nella vita non è che ne trovi poi molti, di amici.
Non avendo amici che non fossero occasionali compagni di studi, o di svaghi o di poker, Dennis fu ben contento di aderire all’idea del gaucho Aymar di andarsene insieme, il sabato mattina, in un posto gestito da un pretonzolo che conosceva lui, e che costava molto poco, a giocare una sana e distensiva partita a tennis.
Il paese era un po’ scomodo, da raggiungere, e il campo bruttino. Era in cemento, e stava su un cucuzzolo trafitto dal sole dove c’erano soltanto una chiesa, il campanile e il campo da tennis, ma il prezzo era davvero onesto, per essere una roba cattolica, e tra Dennis e il gaucho Aymar s’era verificata quella rara e importantissima condizione per riuscire a divertirsi giocando a tennis. Sembrerà banale, ma questa condizione è di essere giocatori dello stesso livello. Ma esattamente dello stesso livello. Non importa se alto o se basso. Nel caso loro, bassissimo. Perché se i livelli sono anche solo un poco diversi, al gioco del tennis ci si annoia da morire, uno vince sempre senza provarci gusto, l’altro perde sempre e ne prova ancor meno.
Ora, invece, su questo campuzzo trafitto dal sole si registrò un doppio miracolo, ché non solo Dennis e il gaucho Aymar dettero vita a memorabili sfide di coppa Davis Italia-Argentina, ma ancor più equilibrata e più avvincente e più divertente si sarebbe rivelata in seguito la sfida di doppio, che, da un certo punto in avanti, avrebbe visto schierati il gaucho e un amico scalcinato del gaucho a difendere i colori biancocelesti da una parte della rete, e dall’altra Dennis e l’ex agente della Snip Celestù a difendere l’onore italico degli azzurri.
A volte, nel Gioco, le persone ti si disvelano sotto nuovissimi riflessi di luce. Per esempio, Celestù non era per nulla pedante né pignolo né niente nel computare i punteggi del tennis, o nel rivendicare palline cadute per il classico pelo di figa al di qua o al di là della riga.
Contrariamente a quanto ti saresti aspettato, non aveva con sé nessuna calcolatrice, non pensava che gli argentini lo volessero fregare, non s’impuntava sui net o sui falli di piede, e giocava sereno la sua bella partita a tennis senza vangare i coglioni a nessuno, sperando che questo esercizio fisico l’aiutasse a buttar giù, un poco, la pancia.
Giocando a tennis, tra amici non proprio amici, il sabato mattina, Celestù ti diventava simpatico.
Sembrava un’altra persona. Più distesa, sorridente, più tranquilla. Sembrava uno che non c’entrasse per nulla, con la cavolo di Snip.

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