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Di quando Nolan mi ha messo un cappotto intorno alle spalle, per farmi sapere che il grande cinema è vivo.

Creato il 03 ottobre 2012 da Presidenziali @Presidenziali
Di quando Nolan mi ha messo un cappotto intorno alle spalle, per farmi sapere che il grande cinema è vivo.Ho visto Il Cavaliere oscuro - Il ritorno, dopo più di un mese dalla sua uscita in sala. Il motivo di quest’attesa non è chiaro, neppure a me.Dirò la verità, ho passato la prima mezzora del film cercando di affrontarlo con freddezza, di non farmi trascinare dal cieco entusiasmo, nonostante ne attendessi con ansia l’arrivo. Ma dopo un po’ di minuti passati a cercare invano il pelo nell’uovo, mi sono resa conto che non aveva davvero senso farlo e l’ho capito ascoltando il battito del cuore e guardando i muscoli delle gambe tendersi e agitarsi, quanto i neuroni nel cervello. In questo terzo e ultimo episodio della trilogia che Christopher Nolan ha dedicato ad uno dei supereroi più conosciuti del panorama fumettistico universale, ritroviamo il multimilionario Bruce Wayne alias Batman (Christian Bale) ridotto ad un misantropo che da anni non vede più nessuno se non il suo maggiordomo e che si è ritirato da ogni attività super-eroistica fino a quando Gotham City precipita nuovamente sotto il controllo e la brutale dittatura del villain di turno, Bane, un terrorista che indossa in volto, una maschera di cannule attraverso cui respira, mentre il resto è un corpo ipermuscolarizzato da bestione, grandiosamente minaccioso e violento. Non c’è un’inquadratura in questo film che non comunichi un senso di male, di malessere, di malattia, di disagio, di possibile fine del mondo. La lotta tra i due, a distanza ma anche nei corpo a corpo diretti, è l’asse narrativo sul quale, però, si innestano molti altri subplot e digressioni, e una folla di personaggi vecchi e nuovi, cui tocca, a turno, il centro della scena.Certe volte, quando si è abituati a vedere film, parlarne, scriverne, in fondo capita che te li lasci scivolare addosso, come gocce di pioggia su una corazza robusta. Il cavaliere oscuro – Il ritorno(come il precedente episodio della trilogia diretta da Nolan) è uno di quei rari casi in cui, mentre lo stai guardando, ti rendi conto che qualcosa si sta spaccando, in quella corazza. Che sta penetrando, bruciando, elettrizzando. Non solo te, ma tutto ciò che gli sta intorno. Questo ultimo episodio – e tutta la trilogia in generale – è un uragano che tutto travolge, che fa piazza pulita, che spazza via anche il grigiume delle distinzioni, e con esse cambia radicalmente, almeno in potenza, la faccia stessa del comic book movieEd era un momento, questo, che aspettavamo, credo, da sempre. E se anche Il cavaliere oscuro – Il ritorno non supera il suo diretto antecedente, poco cambierebbe del suo inestimabile valore, del suo vigore, della sua ineccepibile poderosa violenza. Dove violenzasignifica prima di tutto, restituire allo spettatore il piacere di uno spettacolo totale. Dove nemmeno il tappeto sonoro di Hans Zimmer è una mera colonna sonora, ma una delle più grandi applicazioni di un’idea di sonoro nel cinema recente, costruita spesso su una ricerca del suono perturbante, che trasforma alcune sequenze in un’esperienza cinematografica vibrante, e fisica. Parlo di mangiarsi le unghie fino quasi alle falangi. Parlo di tremare.Affrontare Il cavaliere oscuro – il Ritorno, mette in difficoltà, perché ti rendi conto immediatamente che le solite parole non bastano. Ad esempio, quelle di elogio della mostruosa capacità di Christopher Nolan di trovare un equilibrio tra le due anime del suo cinema, schizofrenico e fenomenale, come gli splendidi e corposi personaggi di questo film. O quelle per spiegare il fatto che Il cavaliere oscuro – Il ritorno, sembri un film complesso e adulto, nonostante le impennate e nonostante le maschere, un film che risente più della lezione di Michael Mann che di Tim Burton. O ancora, le parole adatte a definire i volteggi di quella macchina da presa tra i palazzi che fa di Gotham City la vera protagonista – una città che è impersonificata e resa carne, con il suo caos, il suo dolore e il suo disperato eroismo, e la sua fioca speranza. Gli occhi che ci guardano, e che ci parlano, fin dalla prima inquadratura, sono le sue mille e mille finestre. Pronte a scoppiare.Quante sono, le cose che vorrei dire. E quante, ci sarebbero da dire. Ma tutte queste parole le rimandiamo un attimo, le mettiamo da parte, le consumeremo tra una birra e l'altra, scambiandoci colpi di gomito con un entusiasmo rivitalizzante. Io per ora, qui, mi fermo.

Voto: 8Voto redazione

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