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Gianluca D’andrea, 5 inediti e una nota

Da Narcyso

GIANLUCA D’ANDREA
SACRO
5 INEDITI

Gianluca D’andrea, 5 inediti e una nota
Leggo queste poesie con lo stupore che si deve alle parole che finalmente si aprono, che strappano i paraventi della forma barocca. Quanto barocco abita la poesia che lo dinega? E qualcuno prima o poi dovrá dirlo se intendiamo per barocco quel di piú che sovrasta la necessitá della parola nuda – nuda, o quantomeno ferita nel procedere verso la sua resa – E io credo che bisognerebbe partire, prima di ogni altro percorso, almeno da questa nuditá, o a questa nuditá ritornare – l’ultimo Montale non é, a mio avviso, la risultante di un’influenza europea, ma il prodotto di un attrito con il vuoto -
Allora queste cinque poesie di Gianluca D’Andrea mi dicono due cose: la prima é che la forma si costruisce a partire da una necessitá non funzionale al testo ma funzionale a se stessa; il testo viene di conseguenza. La seconda é che, considerando l’eccesso di sovrastrutture interpretative di cui spesso soffre la poesia, se dovessimo ingabbiare questi versi nelle maglie di una critica che interpreta il minimalismo come effetto sintomatico di un pensiero debole, ne risulterebbe una fruizione a sua volta ingabbiata nella prevenzione di un pre/testo di natura storica.
Occorre, dunque, porsi davanti a queste poesie come davanti a uno specchio in cui troviamo le nostre rughe, speranze, rese, oggetti, attese. Il nostro sguardo, insomma, che si misura con l’altro, ne valuta i confini e le distanze e non si trincera, ma sa cogliere le possibilitá della vita e le accoglie nel progetto della parola.

adesso ti tocco per conoscere i confini
e rispettare le tue soglie.

Sebastiano Aglieco

***

Nothing that is not there and the nothing that is.
W. Stevens

I

La sera al ritorno a casa
il fatto che tu possa realizzare la sorpresa
di esserci nel trasporto dei nostri desideri.
Fuori un cielo di terra e il vento
che scuote di continuo le piante sul terrazzo,
il tuo viso, accarezzandoti,
stringerci e dire le nostre parole,
l’estremo privilegio di amarci come gli uomini fanno.
Sulle nostre dita, in nostra figlia
il rito esorcizza la scomparsa,
anche qui tra i mobili, i libri,
andiamo a restringere i nostri bisogni
e un bagliore riempie i vuoti.
Le tue contrazioni,
il fumo di una sigaretta alla finestra
mentre altre luci preparano vite vicine,
a qualche metro il vento
trasporta particelle al resto cresciuto nel nulla.
Le nostre salive si mescolano
confermando il legame, la promessa,
tutto il senso del mondo nel gesto
che ci accomuna nella distanza
e in questo istante ci avvicina.

II

Notte, l’aria ferma delle cinque
è una bacheca e il lampione
dalla finestra della cucina esegue
le sue intermittenze.
Manuela ha ripreso sonno
proprio ora che il mattino si fa spazio
e un primo chiarore scompensa il buio precedente.
Sto sospeso nei miei pensieri e malesseri
ora che la vita è accennata
ed accenna a restare.

III

Poi anche la vita si risveglia
in movimenti definitivi,
il gatto nero nel giardino insegue i piccioni
che tubano e svolazzano fuori dai nidi.
Una ragazza e un cane salgono le scale
e più distante il cinguettio dei passerotti.
Maggio in questo scorcio si colora di fiori,
ancora, al passaggio della prima automobile,
la luce è più alta, i lampioni ancora accesi,
nessun confine anche se la soglia
della finestra mi incornicia in una dimora.
Il mondo sopravviene
muovendo il suo circuito di relazioni
e disposizioni infinite.

IV

Pioveva il giorno della tua nascita,
riuscivo ad osservare poche luci
gli stop dei motorini,
il tragitto da una parte all’altra della città
tra i lampioni e la pioggia di terra.
Il quattro giugno duemilaundici
ti ho vista per la prima volta separata da chi mi accompagna
e ho visto te respirare nel dolore
la nuovissima aria, sconosciuta,
il tuo primo trasloco.
Ho ricordato la mia solitudine
nel momento in cui senza protezione
ti lanci nella vita che ti accade.
Piccola estranea, fibra che si estende
lontano
dal nostro incontro,
adesso ti tocco per conoscere i confini
e rispettare le tue soglie.

A Sofia

V – DALLA SOGLIA

La ricerca fuori dalla gioia,
ricordi quando discutemmo la protezione?
non è il potere ad inoltrare quei gesti,
la debolezza dei corpi a sfregiare l’anima
di ogni uomo, la paura che chiede gli occhi
e le mani negli attraversamenti del dolore.
Si aprono le membrane della ferita a un lascito -
testimonianza di questi giorni insieme,
tutti i nostri giorni sono insieme
nelle ultime curve di un paesaggio di sole
in cui si espande il mare che devasta lo sguardo;
in quell’istante le dimensioni si assottigliano
e le violenze e l’ottusità sono riassorbite
in altri spazi.
Reminiscenze e residui intagliano
parti microscopiche di mondo
e l’elastico del mare rientra
nelle mani sul volante.
L’attenzione alle curve
perché le spine non entrino dai finestrini
a ferirti. Mi fermo
affinché nessuna forza ti escluda
dal contatto esiziale e germinante di ogni dolore.

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