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Gieky e la bicicletta da sostituire

Da Guglielmomariakley

 Era il 22 maggio del 1974

Per il settimo compleanno i miei mi regalarono un paio di occhiali gialli della Baruffaldi per proteggermi dai pollini, che mai indossai e una bicicletta nuova, la famosa “Leopard” della Carnielli: tre marce, pesante, sagomata, nera e gialla, acquistata dallo storico Silvestrini di Milano.
La Leopard era l’antagonista “ricca” della Saltafoss che avevo chiesto con tanto fervore, ma che i miei, non so per quale strano motivo, non vollero regalarmi. Tutti gli amichetti della via Lattanzio, in particolare un paio ma a me sembrava che tutti l’avessero, avevano la Saltafoss, spartana, molleggiata, leggera e molto meno costosa, per me avere una bici come quella di Massimiliano e Simone sarebbe stato il top, ma non venni esaudito, comunque la bicicletta nuova, era bellissima ( forse anche troppo per i miei gusti di allora che in parte spartani sono rimasti).
Mio fratello, Gieky, avrebbe compiuto gli anni il 25 giugno, circa un mese dopo; osservandomi a bordo di quello scintillante mezzo, mi guardava con le braccia conserte, le labbra serrate e gli occhi torvi che sprizzavano invidia, mia madre si accorse della suo disappunto, si avvicinò e con tutta la sua dolcezza gli sussurrò :“Abbi pazienza tesoro, ti compreremo la bicicletta nuova appena avrai rotto questa….”. Senza specificare che al suo compleanno avrebbe ricevuto anche lui una bella bici nuova.

Si sa, i bambini non sanno aspettare: il compleanno un mese dopo e la voglia di avere una nuova bicicletta nell’immediato, nell’attesa di rompere quella che già aveva; erano decisamente troppo.
A mio fratello, solitamente obbediente…insomma….beh più o meno, ascoltando la frase di mia mamma si innescò nella mente un meccanismo perverso, che solo di li a breve avrei potuto comprendere.

I palazzi in cui abitavamo erano circondati da giardinetti erbosi con cespugli di biancospino e pungitopo, alberi di betulle e abeti i vialetti attraverso i quali scorrazzavamo erano senza pericoli se non quelli che normalmente trovavamo tramite occasionali, non troppo occasionali, rovinose cadute in bicicletta; erano molti gli incidenti che capitavano in quei palazzi ai ragazzini, a noi compresi: croste, punti di sutura, fratture ed escoriazioni erano la prassi, ad esempio capitò in uno dei primi giorni di primavera, che due tra i ragazzini più intraprendenti, gironzolando sul perimetro che dava sulla strada erano su una graziella, Alessandro era in piedi sul portapacchi e l’altro pedalava sbandando sempre più frequestamente. In un sol attimo Alessandro, in uno di quei bruschi cambi di direzione venne lanciato con la faccia contro l’accuminata cancellata color amaranto finendo giusto giusto con la mezzeria della faccia conto lo spigolo di uno degli elementi della cancellata. Mi ricordo come adesso lui sdraiato sull’erba con tutte le persone che man mano si accalcavano ed un tizio che gli versava un tubetto di acqua ossigenata nella profonda ferita che iniziò a “busciare” tra le urla strazianti del ragazzino, mentre il sangue schiumoso gli colava su tutta la faccia creando una maschera di sangue rossissimo; di li a breve sopraggiunse l’ambulanza che se lo portò via. Qualche giorno dopo Alessandro tornò a farsi vedere, il suo viso era ormai arricchito da una lunga fila di neri punti utilizzati per ricomporgli la faccia.

Nei confronti di mio fratello sono sempre stato molto protettivo e responsabile, quindi tenerlo sott’occhio portandomelo dietro era una cosa normale, anche se ogni tanto un po’ di solitudine ed indipendenza mi faceva piacere conquistarla.
Tra i vialetti giravamo sempre insieme, avendo come meta prima uno poi l’altro parchetto giochi presente tra i palazzi, con buche di sabbia, altalene cigolanti e “mondi” di tubi innocenti colorati, tutto rigorosamente ben piantato sul duro asfalto; cadere non era impossibile, farsi male la prassi.
Durante un pomeriggio di quei caldi giorni di fine maggio, persi di vista mio fratello, che per ovvi motivi di responsabilità…e per il fatto che lo conoscevo bene, iniziai a ricercare in ogni interstizio di quel dedalo di vie, anfratti, box cantine…per un bimbo un mondo nel mondo insomma.
Mi aggiravo ansioso e preoccupato, scrutando ogni angolo, ogni cespuglio, quando ad un certo punto sentii echeggiare tra i palazzi un rumore sospetto, simile al metallo contorto durante gli scontri d’auto, ma più secco.
Individuata la provenienza del rumore e avendo intuito cosa stesse accadendo, mi nascosi acquattato dietro ai cespugli e mi misi ad osservare.
Vidi Giacomo che con la bicicletta alla mano, risaliva la rampa che portava dalle cantine – locale spazzatura, al piano dei giardini; era un piccolo precipizio di almeno 3 metri delimitato da una lunga ringhiera bianca uguale a quella dei balconi, una lunga fossa, un accesso, parallelo al palazzo, che si stagliava verso il cielo a pochi metri. Lo guardavo incuriosito, nel dubbio se intervenire o meno; Giacomo seguendo poi la perimetrale della ringhiera si posizionò proprio su quel vuoto, alzò con forza la bicicletta e con uno sforzo erculeo la scaraventò fragorosamente nel baratro; non contento prese i macigni che aveva preso preparato in precedenza (erano posti sotto ai balconi dei palazzi (credo che tutta la parte di architettura fosse stata forse ideata come sistema di drenaggio per l’acqua piovana; erano tutte pietre rotonde di almeno 12 cm di diametro, grigie e bianche, tutte posizionate alla base dei palazzi)

e ZAM…con altrettanta forza scagliò le pietre sul povero martoriato ed oramai inservibile rottame di bicicletta.
A quel punto uscii allo scoperto…lo so, con il senno del poi avrei potuto farlo prima,
ma un po’ per curiosità, un po’ per il sano gusto perverso della distruzione infantile che avevo…restai ad osservare lo spettacolo…e quando mai mi sarebbe capitata un’altra simile occasione???
“Gieky! Cosa fai???!!!” esclamai…” ma sei impazzito???Vedrai stasera quando torna a casa papà quante botte ti darà!!!”.
Ma lui imperterrito, risalendo nuovamente la rampa con la bicicletta condotta dal manubrio…ridotta ormai in condizioni pietose, ripeté nuovamente la scena dichiarando:” Tanto me l’ha detto la mamma di distruggere la bicicletta vecchia, così me ne prenderà una nuova…..!!!”.
Avvisai mia madre citofonandole, scese e rendendosi conto dell’accaduto, si accertò che Giacomo non si fosse ferito durante l’opera di demolizione. Tirando poi un sospiro di sollievo.
Infatti non era raro…anzi era solito che capitasse ogni settimana, di sabato, di finire al pronto soccorso per incidenti più o meno gravi.
In quella occasione l’unica che ci andò di mezzo fu la biciclettina.

Guglielmo


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