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IL CINICO INCANTO DI BILLY WILDER #cinema #hollywood #billywilder

Creato il 04 aprile 2013 da Albertomax @albertomassazza

billy wilder

Ebreo, nato nella Galizia polacca nel 1906, al tempo sotto l’impero austro-ungarico, Billy Wilder svolse il suo apprendistato artistico tra Vienna e Berlino, lavorando come giornalista e sceneggiatore cinematografico. All’avvento di Hitler, dovette prendere la via dell’esilio, come tanti altri artisti e intellettuali ebrei di lingua tedesca. Perse madre, patrigno e nonna ad Auschwitz. Fu prima a Parigi e successivamente a Hollywood, dove andò ad infoltire quella straordinaria pattuglia di cineasti esuli germanofoni, tra i quali il suo maestro Ernst Lubitsch.

Proprio per Lubitsch scrisse, nel 1939, la sceneggiatura di Ninotchka, con la divina Greta Garbo, commedia a sfondo politico sulla contrapposizione tra capitalismo e bolscevismo, che gli valse la prima nomination all’Oscar, doppiamente bissata nel 1941, sempre come sceneggiatore, con le commedie La porta d’oro di Leisen e Colpo di fulmine di Hawks. Nel 1942 diresse il suo primo film hollywoodiano, Frutto proibito con Ginger Rogers, commedia degli equivoci in cui si palesa il gusto tutto wilderiano per il travestimento come unico mezzo di sopravvivenza nella società moderna. Dopo il film di propaganda anti hitleriana I Cinque segreti del deserto, Wilder si dedicò al genere noir, sfornando, nel giro di pochi anni, capolavori come La fiamma del peccato del 1945, Giorni perduti, premio Oscar nel 1946 per regia e sceneggiatura, l’epocale Viale del tramonto del 1950, in cui viene messa a nudo la faccia oscura dello star system, e il profetico L’asso nella manica del 1951, sulla strumentalizzazione e spettacolarizzazione del dolore da parte dei mass-media. In questi anni, Wilder non tralasciò del tutto la commedia, con film come Scandalo internazionale con la Dietrich e Stalag 17, con William Holden, entrambi su sfondo bellico.

Alla metà degli anni cinquanta, il regista inaugurò il suo periodo aureo della commedia, con film come Sabrina con Audrey Hepburn e Bogart (1954), Quando la moglie è in vacanza (1955) con la Monroe e il capolavoro assoluto A qualcuno piace caldo (1959), sempre con la Monroe, Tony Curtis e Jack Lemmon, quest’ultimo protagonista di molti film successivi, a partire da L’appartamento (1961) e Irma la dolce (1963), entrambi in coppia con Shirley Mclaine. Ancora, Un, due, tre (1961), satira sulla guerra fredda con un magistrale James Cagney, ambientato a Berlino al tempo della costruzione del muro; la serie con la coppia Lemmon-Matthau, con titoli quali Non per soldi, ma per denaro (1966), Prima pagina (1974) e Buddy Buddy (1981). Uniche non commedie di questo lungo periodo furono, entrambe del 1957,  il biografico L’aquila solitaria (con James Stewart, sulla trasvolata atlantica di Lindbergh) e Testimone d’accusa, thriller carico di ironia, tratto da Agatha Christie, la quale lo celebrò come miglior adattamento filmico di una sua opera.

Il disincanto e il cinismo con i quali Wilder osserva la realtà, per quanto crudi, non scivolano mai verso il nichilismo, non si compiacciono d’aver smontato e ridicolizzato i meccanismi diabolici della società moderna. Piuttosto, attraverso lo smascheramento delle convenzioni, delle convenienze, delle miserie morali che si celano dietro la retorica della società del benessere, l’implacabile ironia wilderiana tende a un rinnovamento della società, liberandola dagli schemi precostituiti e dai tabù. In definitiva, un cinismo che vuole sostituire l’incanto artefatto e superficiale della realtà con quello profondo e naturale dell’autenticità.



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