Magazine Diario personale

Il miglior giocatore del mondo

Da Big @matteoaiello

I feel confident because I’m the best player in the world.
It’s simple.

NBA Finals, gara 1: Stephen Curry riceve palla dalla rimessa, va in terzo tempo e viene stoppato da dietro da Kyrie Irving. JR Smith recupera il rimbalzo e chiama subito time out. Il punteggio è 98 pari e mancano 24.1 secondi alla fine. Cleveland ha il pallone in mano per vincere alla Oracle Arena.
Guardo me pà e gli dico: “Vanno ai supplementari”.
Ripeto, non perché sono un veggente, lungi da me esserlo, ma perché so già che l’ultimo tiro lo prenderà il numero 23. Beh, è logico. Da sempre, ci siamo abituati a vedere un numero 23 che segna canestri decisivi sulla sirena. Sì perché, se in campo ci fosse il 23 giusto, chiunque alla Oracle Arena o a casa sul divano, si sarebbe già messo l’anima in pace. Proprio come quella notte del 14 giugno 1998. Io e il Cap che abbiamo avuto l’onore e la fortuna di vederla in diretta lo sapevamo. Come tutti coloro che la stavano guardando.
Il problema però è che quelle due cifre che hanno cambiato per sempre la pallacanestro, le sta indossando il giocatore sbagliato. Ma è il Prescelto e ha fatto 42 punti. Come può non prendere lui l’ultimo tiro?

Infatti, il pallone arriva tra le sue manone, ma invece che buttarsi dentro e appoggiare al vetro o raccattare due tiri liberi, la scaglia da tre punti.
Sdeng.
Avevo ragione, si va ai supplementari.
All’overtime, Cleveland segna la “bellezza” di due punti, per altro a partita chiusa, e perde.

Come per le Finals dell’anno scorso, gara uno è stata per me il riassunto perfetto della carriera del Prescelto. Vi ricordate cosa fece all’AT&T Center di San Antonio con la partita in perfetto equilibrio? Si fece da parte perché gli faceva caldo e gli vennero i crampi.
San Antonio vinse. Proprio come Golden State.

Ho letto che è “il più grande di sempre”.
Allora perché ho pensato (e credetemi, non sono il solo) che quella partita non l’avrebbe mai vinta?
Maybe it’s my fault.
Ho dei termini di paragone piuttosto alti, dato che come mi piace sottolineare ogni volta, la pallacanestro vera l’ho vista. Non voglio scomodare Lui o gli altri due dello Spirito Santo, ma voglio farvi un esempio pratico:
se in campo c’era Reggie Miller, che nella sua carriera mi ha regalato soltanto pugnalate, sarebbe andata all’overtime?
Se in campo c’era Paul Pierce sarebbe andata all’overtime?
Se in campo c’era Kobe sarebbe andata all’overtime?
Non credo.
Potrei continuare all’infinito ad elencare una ventina di assassini che per uccidere usano un pallone invece che un fucile di precisione. Giocatori che toglievano e tolgono ogni dubbio.
Vincenti, non vincitori.

Finisce gara 5. Golden State vince e si porta sul 3-2 e avrà il match point a Cleveland. Nella conferenza stampa post partita, un giornalista chiede al Prescelto come si sente per l’imminente gara 6. La sua risposta è raccapricciante: “Ho sensazioni positive (cit.) perché sono il miglior giocatore del mondo. Semplice”.

Che sia dominante è evidente anche ad un cieco.
Il Magio e il Pec che lo hanno visto giocare dal vivo mi hanno detto la stessa cosa: “sembra di vedere un adulto che gioca tra i bambini”.

Però, come ho scritto prima, il miglior giocatore del mondo ti toglie ogni dubbio. Lui, al contrario, te li mette.
Il miglior giocatore del mondo fa sempre la cosa giusta al momento giusto.
Il miglior giocatore del mondo is a shotter not a shooter (cit).
Perché puoi essere stellare, mostruoso, illegale e dominante, fare le pose e le occhiatacce a cattivo al pubblico, ma 42 punti me li infilo dove non batte il sole se poi negli ultimi due minuti e nell’overtime, perdi quattro/cinque palloni fondamentali e smetti di far canestro.
La cosa divertente è che due giorni prima, Michael Jordan si trovava a Parigi per festeggiare i trent’anni del marchio che porta il suo nome. In una breve intervista gli chiedono cosa potrebbe fare oggi: “Dipenderebbe molto dalla squadra. Sento dire da molti che potrei segnare 50-60 punti se giocassi ora, ma a me piacerebbe essere in una situazione in cui non dover segnare così tanto. A me importa solo vincere, quindi la squadra diventa fondamentale“.

C’è una certa differenza tra le due dichiarazioni, non trovate?
La tragedia shakesperiana che si porta dentro il buon Prescelto è proprio questa: il fatto di mettere l’io al primo posto in uno sport di gruppo. Ed è stato così fin dal primo giorno in NBA.
Il suo arrivo tra i pro ha portato una lenta ed inesorabile involuzione del gioco: isolamento, penetrazione a testa bassa modello Lo Chiamavano Bulldozer e o canestro o scarico. Non è poi così difficile fare triple doppie su triple doppie giocando così. Cristallizzando ogni possesso e lasciando gli altri quattro fuori dall’arco per l’eventuale passaggio.
Giocava nello stesso modo anche il primo Jordan che infatti raccattava figure di merda su figure di merda. Jackson fu bravo nel farglielo capire, ma credo che sia impossibile inserire il concetto nel cranio spelacchiato del Prescelto. Perché come dice Carlino: “a certi livelli è la testa che fa la differenza” e Jordan vinceva prima di scendere in campo.
Quando uno così vince una volta, sai che poi non smetterà più“.

Hanno già iniziato a trovargli una giustificazione. Sembra di rivedere me quando mi interrogavano a latino.
Un anno la squadra non era pronta (2007), un anno Bosh non era all’altezza (2011), un anno Wade era alla frutta (2014) e quest’anno gli infortuni di Irving e Love.
Come insegna il filosofo cinese Lao Tzu: “un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa“.
E il giocatore più forte del mondo è talmente perdente che nessuno si ricorda le due finali che ha vinto (per altro in una delle due, se non c’era Ray Allen col caxxo che la vinceva).

Ha perso ancora una volta e questa mi da ancora più soddisfazioni perché lo ha fatto in casa dopo l’ennesima pagliacciata estiva di voler tornare “a casa” dopo essersene andato per scegliere la strada più facile.
Ma va bene così.
E’ giusto così.
E la NBA mi sta continuando a sorprendere.
E’ un circo, continua ad essere un circo, ma alla fine, per il secondo anno consecutivo, ha vinto la squadra e ha vinto perché gioca in cinque. Senza buffonate. Senza titoloni ad effetto. Senza nessuno che si sia autoproclamato il miglior giocatore del mondo.
Non è calcio europeo. E’ pallacanestro americana. C’è tutta un’altra cultura dietro, fatta di rispetto per i propri giocatori e per gli avversari. Quindi, caro Prescelto, se dovunque vai c’è un palazzetto intero che ti offende, vuol dire che hai sbagliato qualcosa.

Ci vediamo l’anno prossimo.
Tanto lo sai che sarò qui ad aspettarti.
E già che ci sei, approfitta dell’estate per fare qualcosa di intelligente tanto è inutile che continui ad ingrossare: rimettiti a posto i capelli. Sei l’unico che si è fatto il trapianto e continua a perderli.
Gliel’hai detto al chirurgo della clinica che sei il miglior giocatore del mondo?

#weareallwitnesses

ps. ma il “not two, not three, not four, not five, not six, not seven” che tu dicesti il giorno della presentazione con la maglia degli Heat, era riferito alle finali vinte o a quelle perse?


Archiviato in:I Hate This Game Tagged: 23, cleveland cavs, golden state warriors, lebron james, michael jordan, nba finals 2015

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