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Il Sud Sudan, la Chiesa e il futuro di un Paese ferito dalle violenze. Cosa sta veramente accadendo

Creato il 25 gennaio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Nel Sud Sudan il sangue versato negli anni di guerra non si è ancora seccato. La ferita è aperta e la paura di un ritorno nel baratro della guerra è sempre alle porte.

Troppi fratelli e troppe sorelle vivono ancora nel terrore” ha fatto sapere il capo dell’associazione dei superiori religiosi, il comboniano Daniele Moschetti. E ha in seguito ripreso il contenuto in una lettera, scrivendo: “Come religiosi siamo chiamati a pregare impegnandoci a favore della pace e della riconciliazione. Non possiamo che invitare i leader politici e militari a riporre l’interesse dei popoli al di sopra di quello personale“.

Il contributo dei missionari e dei religiosi in questo territorio è stato da sempre determinante. La lettera scritta da Daniele Moschetti è un invito profondo alla pace, rinnovando l’impegno di tutta la Chiesa. Ricordando il dicembre 2013, Moschetti parla della violenza avvenuta nel Sud Sudan, della barbarie inaccettabile a cui è stato chiamato il popolo innocente. Un evento per cui è stato versato il sangue di “migliaia di fratelli“. La morte ne ha fatto da protagonista, e con essa l’assoluta violazione della proprietà nei tre Stati di Jonglei, Unity e Upper Nile. Come qualche giorno fa riferì per la Nigeria l’arcivescovo di Abuja: “Lo Stato sta assistendo impotente e quasi inconsapevolmente all’eccidio di un popolo“, allo stesso modo Daniele Moschetti denuncia di come le strutture sociali del Sud Sudan stiano guardando senza reagire alla barbarie di migliaia di innocenti. E’ un territorio, questo, dove i concetti di riconciliazione, di tregua e di tavolo delle trattative sono assolutamente estranei alle parti in conflitto. Gli appelli della popolazione sono appelli sordi, che si perdono nel nulla e la guerra continua “senza guardare in faccia nessuno“.

E’ la comunità internazionale a dover intervenire, e così pure la Chiesa per contribuire alla costruzione di un avvenire concreto per il Sud Sudan. La Santa Sede non può restare a guardare, e per l’appunto da qualche tempo coopera alla costruzione del “Centro di formazione umana e spirituale” di Kit-Juba. Nell’esperienza di questo centro formativo si ravvisa il pensiero di Papa Giovanni Paolo II, quando parlava dell’esigenza di “purificazione della memoria”, scoprendo l’alto valore insito nel passato di ogni uomo e di ogni popolo. Come già si poteva leggere nel documento vaticano “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”: “[La riconciliazione] è un atto di coraggio e di umiltà nel riconoscere le mancanze compiute da quanti hanno portato e portano il nome di cristiani, e si fonda sulla convinzione che per quel legame che, nel corpo mistico, ci unisce gli uni agli altri, tutti noi, pur non avendone responsabilità personale e senza sostituirci al giudizio di Dio, che solo conosce i cuori, portiamo il peso degli errori e delle colpe di chi ci ha preceduto“. Il progetto del Centro di formazione vuol essere dunque quella luce in fondo al tunnel, che darà un futuro a quel popolo terribilmente ferito dalla violenza della guerra. “Una risposta umile e profetica alle esigenze del popolo di Dio” hanno fatto sapere i religiosi che attualmente operano sul territorio.

La ragione che guida il progetto è il desiderio di formare presto dei giovani laici pronti a seguire la Parola di Dio e portarla nel mondo. “Saranno loro a contribuire attivamente alla guarigione di questa ferita procurata dalla guerra“. Come hanno lasciato intendere i religiosi: “Progettare è dare speranza“, e il Sud Sudan ha oggi più che mai bisogno dell’entusiasmo di una speranza viva. La gioia, contenuta nelle parole dei missionari, è la gioia di quanti sono desiderosi di riprendere in mano i fili della storia e rigenerare le sorti di un popolo altrimenti destinato all’annientamento. Daniele Moschetti ha così commentato: “E’ assai triste vedere che in Sud Sudan si ricordino ancora i giorni bui delle due guerre passate“.

La Prima guerra civile, dal 1955 al 1972, portò alla morte più di 400mila civili e oltre 100mila guerriglieri. Uno scontro di fuoco, della durata di 17 anni, che ha indotto una gigantesca “diaspora”. Migliaia di uomini e donne sono stati costretti ad abbandonare le proprie terre per cercare un futuro possibile altrove. Gli Accordi di Addis Abeba, del 1972, furono di continuo infranti e le violenze continuarono incessantemente. Il popolo del Sud Sudan iniziò dunque ad accrescere le agitazioni di piazza fino all’ammutinamento del 1983, anno in cui riprese il conflitto e il Paese piombò nella Seconda guerra civile.

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