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La donna che visse due volte

Creato il 26 dicembre 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Prosegue il nostro viaggio alla scoperta delle opere letterarie che hanno ispirato i capolavori di Sir Alfred Hitchcock. 

E non ci occupiamo di una pellicola qualunque bensì di quello che è stato definito “il miglior film di tutti i tempi“: La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) guida infatti, dall’agosto dello scorso anno, la prestigiosa classifica stilata ogni due lustri dalla rivista cinematografica Sight & Sound. Che si tratti o meno miglior film di tutti i tempi – classifiche di questo genere, per quanto affascinanti (e, nel caso di Sight & Sound, indiscutibilmente autorevoli), lasciano il proverbiale tempo che trovano – , siamo di fronte a una delle massime vette del cinema hitchcockiano: un’opera che conserva intatto il proprio fascino da oltre mezzo secolo e che è quasi ingeneroso paragonare al romanzo da cui trae – molto liberamente – origine.

La donna che visse due volte

P. Boileau, T. Narcejac: D’entre les morts (Sueurs
froids), 1954. Il titolo originale – letteralmente
“In mezzo ai morti (sudori freddi)” – è stato mutato da
Alfred Hitchcock nell’assai più felice “Vertigo”.
Una volta tanto, però, è il titolo italiano ad aggiudicarsi
la palma della vittoria, non siete d’accordo?

La leggenda vuole che Pierre Boileau e Thomas Narcejac, apprezzata coppia di giallisti francesi già autori del fortunato Les Diaboliques (Celle qui n’était plus), abbiano scritto il noir sentimentale D’entre les morts (Sueurs froids) a metà degli anni Cinquanta confidando in una trasposizione sul grande schermo per mano di Sir Alfred.
Quel che è certo, il romanzo affronta tutti i nodi tematici cari al Maestro del Brivido: la vertigine fisica ed emotiva, i sentieri – anch’essi vertiginosi – dell’inconscio, il peccato, il senso di colpa. Ma soprattutto il tema del doppio, che qui beffardamente, genialmente si esaspera in un continuo gioco di specchi e diviene caleidoscopico: Renée che interpreta Madeleine che a sua volta “interpreta” Pauline Lagerlac…

Hitchcock si lascia sedurre dall’ingegnosità dell’intreccio criminale e dalle atmosfere simenoniane (il romanzo è ambientato in una Parigi livida e misteriosa, agli albori del secondo conflitto mondiale) e rielabora il tutto da par suo, apportando modifiche sostanziali e in alcuni casi, occorre dirlo, provvidenziali: dalla Ville Lumière la vicenda si sposta sulle strade di una San Francisco fascinosamente anni Cinquanta (memorabile il salto di Kim Novak nelle acque gelide della baia, all’ombra del Golden Gate Bridge) e le elucubrazioni del tormentato protagonista, che costituiscono la cifra distintiva del testo originale, si sublimano in un mix perfetto di azione e tensione narrativa.

Un buon romanzo e un ottimo film, si potrebbe sintetizzare. Merito di una sceneggiatura che rimaneggia con piglio deciso i passaggi più “deboli” della costruzione romanzesca e disegna un finale semplicemente perfetto, che annichilisce – nonostante lo si conosca ormai a memoria, o forse proprio per questo – con la sua bellezza. Un epilogo assai diverso da quello, pur apprezzabile e a suo modo coerente con lo spirito del romanzo, immaginato dalla premiata ditta Boileau-Narcejac.

Se siete così fortunati da non aver ancora posato gli occhi su questa storia, ecco la nostra modesta proposta: procuratevi immediatamente una copia del film (Jimmy Stewart in stato di grazia val bene un’eccezione alla regola aurea del “prima il libro”) e quando sarete sazi – lo sarete, potete giurarci! – godetevi il fascino tutto particolare di un noir d’autore inspiegabilmente ignorato e sottovalutato. A lungo introvabile, in Italia è stato ripubblicato da Sellerio nel 2003 con il titolo La donna che visse due volte e un’interessante nota di commento a cura di Claudio G. Fava.

Simona Tassara

(articolo originariamente pubblicato sul blog di Uno Studio In Giallo)



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