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La Morte, un affare nero per la vita

Creato il 26 luglio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

La Morte, un affare nero per la vita
Con un po’ di fortuna, forse si avrà tutti due metri di terreno e ci dovranno bastare per l’eternità, che, poco ma sicuro, disferà in meno d’un momento le nostre spoglie mortali. Ma pensare che esista qualcosa dopo la morte è come ostinarsi a credere nelle panacee miracolose che qualcuno vende(va) agli angoli di strada promettendo guarigioni miracolose. Ma di fatto, a tutt’oggi, se io dico “tutti gli uomini sono mortali”, nessuno è in grado di smentirmi, perché anche Lazzaro alla fine ha dovuto morire, e lo stesso Cristo si dice sia morto in croce per ricongiungersi col Padre.

Si parla di apparizioni, ma l’apparizione è un “evento fantastico” che esiste solo nella nostra testa, nel desiderio di vedere una cosa o una persona che non c’è più. Un po’ come per gli UFO: il desiderio di non essere soli nell’Universo porta molti a credere d’aver visto oggetti non identificati. Ammettendo che altre vite esistano, ci si dovrebbe domandare sempre: perché ESSI non si sono ancora messi in contatto con NOI della Terra? La risposta più ovvia e sensata è che le ipotetiche civiltà aliene non abbiano mai raggiunto un grado di tecnologia così alto da riuscire ad arrivare sulla Terra prima dell’estinzione del genere umano – che prima o poi ci sarà; oppure la vita sulla Terra è la sola forma di vita nell’Universo. Ciò però non esclude che in passato possano esserci state altre forme di vita su altri pianeti, né esclude che in futuro si possano sviluppare altrove. La Terra e la sua storia in confronto all’Infinito sono meno d’un grano di sabbia di importanza pressoché uguale allo zero assoluto.

Se si crede nei morti, quindi negli spiriti, ne consegue che l’uomo avrebbe in sé afflato divino, cioè immortale; tuttavia la scienza non ha assolutamente dimostrato che l’anima sia qualcosa di reale; ha però dimostrato che con la morte l’individuo cessa di esistere per tornare alla terra, per diventare concime, per diventare materia utile all’ecosistema. Credere negli spiriti è dunque un atto fideistico per chi ha Fede e crede dunque in un Demiurgo, in un Essere superiore. La Fede è Credere, e meglio ancora “è soprattutto un credere anche là dove non ci sono prove concrete”: crede dunque nell’Aldilà colui che vuole crederci, non l’uomo razionale. Ad esempio, chi perde una persona amata, molto amata, crede di vederla in mezzo alla folla; e solo quando si trova faccia a faccia con uno sconosciuto ancora fatica a credere d’essersi sbagliato, d’aver avuto un abbaglio, perché ammettere che l’amato sia morto e non sia rimasto nient’altro che il Ricordo è un dolore troppo grande da accettare. La mente umana allora crea delle apparizioni, che in non pochi casi possono portare alla follia, quella d’avere ripetute allucinazioni ad occhi aperti.

Il medium, purché si abbia fede in esso, può stimolare la mente ad avere delle allucinazioni: colui che si affiderà ad un medium crederà così d’aver sentito la voce di una persona scomparsa, crederà anche di vederla, perché il desiderio che gli spiriti esistano favorisce stati allucinatori transitori…

La narrativa è piena di spettri più o meno famosi, di vampiri licantropi zombie e di altre creature fatate o demoniache: sta all’abilità dello scrittore conferirgli credibilità!

Giorgio Samorini, etnobotanico bolognese, – ricordo d’averlo letto da qualche parte – dava una spiegazione piuttosto convincente circa il Sabba: “…In Italia molte specie di funghi, il Marasmius oreades, il Tricholomia columbetta, l’Agaricus campestre producono un effetto allucinogeno”. Questi funghi sono capaci d’avvelenare il terreno coltivato da contadini e contadine. Ma le streghe si cospargevano il corpo anche con un unguento prima di andare al Sabba: allora com’è che stanno veramente le cose? Un certo Andreas Laugna, medico spagnolo del 1500, trovò alcuni vasetti di questo unguento e lo analizzò: la sua analisi dimostrò che conteneva Cicuta virosa, Solanum nigrum, Atropa belladonna, tutti allucinogeni che entravano in circolo attraverso i pori della pelle delle presunte streghe, illudendole d’esser capaci di volare e non solo. La povertà fece il resto: i campi erano difficili da seminare e spesse volte si panificava con graminacee dai semi stupefatti come Lolium temulentum, graminacea anch’essa allucinogena: i grani per la panificazione mischiati al loglio erano tossici e chi mangiava  il pane era soggetto ad allucinazioni d’ogni sorta, allucinazioni amplificate dalle voci che circolavano intorno alle streghe ai tempi dell’Inquisizione. Un contadino, mangiando di quel pane, vedeva nella moglie una strega! E la moglie che mangiava lo stesso pane, non poteva fare a meno di credersi una strega. Ma l’effetto più brutale era dato dalla Claviceps purpurea della famiglia delle Calvicipitaceae: la Claviceps purpurea produce un gruppo di alcaloidi derivati dall’acido lisergico, lo stesso che portò alla scoperta dell’LSD. Anche la Claviceps purpurea veniva mescolata nel comune grano, per ignoranza, per far più grosso il raccolto, per preparare la pagnotta da mettere sul desco sempre troppo magro. Mangiare quel pane significava intossicarsi – intossicarsi per vivere. Improvvisamente la caccia alle streghe terminò; nel 1700, streghe e stregoni erano sol più – o quasi – il residuo d’un passato oscuro, di favole. L’Illuminismo: molti fatti inesplicabili furono spiegati da teologi, scienziati, filosofi, e la paura fece dietrofront anche perché le condizioni di vita dei contadini migliorarono un po’ e i casi da intossicazione andarono scemando. E chi ancora diceva d’esser una strega o uno stregone, d’aver baciato l’ano del Diavolo, fu considerato alla stregua d’un pazzo.

Non occorre morire giovani per lasciare un bel cadavere: è più conveniente morire in odor di santità con un pacco di soldi raccolti durante la vita in maniera lecita o meno. Se hai soldi, quando tiri le cuoia ti fanno una bella bara, una di quelle che resistono anche un centinaio d’anni o più, così che gli agenti esterni non fanno andare in putrefazione le spoglie mortali. La tumulazione è poi solo una Arte, se vogliamo: è chiaro che se ti schiaffano in una bara da quattro soldi, dopo un anno non c’è manco più quella.

Esistono poi tanti cosmetici per la morte, che vengono applicati sul corpo prima di seppellirlo e che servono anche alla conservazione. Sotto due metri di terra, dopo che la salma è stata ben trattata con oli e cosmetici, dentro a una bara che non lasci penetrare aria, terra, microbi, un corpo si può conservare bene. Molto dipende anche dal luogo di sepoltura: meglio in un terreno fresco, non troppo secco ma neanche bagnato. Il miracolo è poi solo questo: l’arte di seppellire. E’ solo questo il trucco. Nessun miracolo. Altrimenti è giusto fare santissimo quell’ominide che hanno ritrovato ottimamente conservato nel ghiaccio e che ha qualche migliaio di anni. Come minimo quello lì dev’essere Dio, perché è proprio ben conservato: gli manca solo il Verbo. E un parrucchiere, per via della zazzera scimmiesca.

Trovo sia solo ridicolo spacciare per “miracolo” quella che è essenzialmente “arte di conservazione dei cadaveri”. Il popolino purtroppo crede che trattasi d’un miracolo. L’uomo che ha studiato un po’ sa solo che è “artifizio” vecchio quanto il mondo, giacché espedienti per conservare le salme sono vecchi di centinaia di anni e nei secoli non è che siano cambiati poi molto.

Si riesuma così la salma di Padre Pio e con la scusa del miracolo, della perfetta conservazione del cadavere, si espone il corpo – forse più bello di quand’era vivo – in pubblico e i bietoloni locali grideranno “al miracolo!” ed intanto si faranno spillare soldi, felici di farseli rubare dalle tasche, senza manco pensare che sono di fronte a una profanazione a fini speculativi e non ad altro. Per questo solo motivo mi sono dilungato “su come è possibile conservare in buone condizioni una salma”.

Credo ci sia una spiegazione per tutto. Una spiegazione razionale, che il più delle volte è proprio sotto i nostri occhi e quindi siamo incapaci di vederla.


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