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La simmetria dei desideri / Eshkol Nevo

Creato il 03 luglio 2012 da Lo Sciame Inquieto

La simmetria dei desideri / Eshkol Nevo La simmetria dei desideri / Eshkol Nevo; trad. di Raffaella Scardi e Ofra Bannet. Milano: Neri Pozza, 2010.
Era tantissimo tempo che G. mi aveva entusiasticamente prestato questo libro suggerendomi di leggerlo, ma il libro era rimasto lì, nella libreria della vecchia casa, pazientemente in attesa prima di trovare collocazione negli scaffali della nuova.
Mi capita spesso così con i libri, come con tutti gli aspetti emotivi della mia esistenza. A volte non è il momento, e comunque non posso decidere io quando. Finché a un certo punto qualcosa mi spinge nella direzione della storia raccontata in quel libro. Non sempre è amore a prima vista, non sempre scocca la scintilla, ma a volte quello è proprio il momento giusto per tentare un contatto.
E così è andata con La simmetria dei desideri del giovane scrittore israeliano Eshkol Nevo. Il libro mi ha conquistato a poco a poco e via via che andavo avanti nella lettura la spinta propulsiva a continuare a leggere è diventata sempre più forte.
La storia è piuttosto semplice: è quella di quattro amici appassionati di calcio che alla finale di un mondiale decidono di scrivere su un bigliettino i loro desideri, quelli che sperano possano avverarsi entro il successivo mondiale, ossia entro quattro anni. Si tratta dei quattro anni decisivi nella vita di ciascuno, quelli durante i quali si abbandona per sempre l’adolescenza e ci si trova immersi – a volte proprio malgrado – nella vita adulta, gli anni durante i quali le amicizie della propria giovinezza vengono messe a dura prova dalle fatiche e dagli inaspettati, eppure inevitabili, dolori dell’esistenza.
A raccontare la storia della loro amicizia e delle loro vite è uno di loro, che nelle vite degli altri è stato immerso profondamente, in un intreccio inestricabile che è anche quello che dà il titolo al romanzo.
La narrazione è decisamente declinata al maschile, ed anche profondamente radicata nel contesto storico-politico del tutto particolare nel quale questi quattro amici vivono. Originari di Giaffa, le loro vite ruotano prevalentemente intorno alla città di Tel Aviv, dove gli echi del conflitto tra israeliani e palestinesi arrivano molto attutiti, al punto tale che a volte si può far finta di niente e pensare che le terribili notizie che giungono ogni giorno non gli appartengano.
Nonostante la forte connotazione culturale e personale che caratterizza questo racconto la sensazione dell’universalità dei sentimenti è tangibile e – di tanto in tanto – apre degli squarci di verità emotiva talmente intensi a cui è impossibile rimanere indifferenti. A volte si può toccare con mano la assoluta trasversalità di pensieri, emozioni e sentimenti, quelli in cui ci si riconosce anche a distanze geografiche, culturali, sociali, personali di tutto rilievo.
Questo riconoscimento tra lettore e scrittore, questa conversazione muta, filtrata attraverso le tangenti imprevedibili del vissuto e delle esperienze personali costituiscono forse il dato più sorprendente della lettura. E in questo romanzo portano con sé un carico di verità particolarmente denso.
Devo confessare un iniziale pregiudizio nei confronti della narrativa ebraica, troppo spesso incastrata nelle pieghe della sua propria drammatica storia, incapace di guardare alla contemporaneità senza i condizionamenti di questo passato così ingombrante, a volte troppo militante dal punto di vista religioso e politico, autoreferenziale e monodimensionale nella sua interpretazione della realtà. E tutto questo mi tiene francamente piuttosto a distanza da molta parte della letteratura ebraica.
Eshkol Nevo mi ha però dimostrato che esiste anche un’altra faccia di questa narrativa, ed è quella di una generazione di ebrei che ha preso le distanze non solo dai condizionamenti religiosi, bensì anche dall’inevitabile dimensione collettiva che gli ebrei sembrano non poter fare a meno di attribuire anche alle azioni personali.
I quattro amici di questo romanzo sono quattro individui la cui unica dimensione collettiva è quella dell’amicizia che li unisce e che in qualche modo travalica anche le scelte personali. Questa dimensione non si configura come indifferenza nei confronti di quanto accade nel mondo circostante, anzi in qualche modo ne fa emergere per contrasto l’assurdità, e si traduce in una critica quasi implicita – cioè poco politica e dunque poco urlata – dell’incapacità di mettere fine al dramma che si consuma ogni giorno in questi territori.
A volte penso che esiste una speranza. E che molte cose cambierebbero se riuscissimo a mettere insieme le nostre speranze individuali. Anche nelle situazioni più complicate.

Voto: 3,5/5

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