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Le pioggie di Novembre

Creato il 06 gennaio 2013 da Faustotazzi
Le pioggie di Novembre
E se, e ma mi pare sarà eppure non piove e nuvole non ne vedo di qua è una striscia di cielo non diversa da prima solo freddo d'autunno e bianco color di farina 
guardo sopra al sesto piano una goccia e poi l'altra si spiaccica in faccia fa un rumore di sveglia che tintinna sul ferro di una gronda lontana
e bagna nei cortili i gerani le nere ringhiere le lingue straniere
Cambiano, le cose cambiano. Ci sono poche certezze nella vita salvo il fatto che tutto cambia, ogni cosa evolve. E, nella fattispecie, comincio a essere anche quasi convinto del fatto che a me - quando m'innamoro ma m'innamoro veramente - s'inceppa qualcosa nel meccanismo, come un bell'orologio che inizia a saltare le ore, a funzionare male. Non c'è nemmeno bisogno di portarlo dall'orologiaio per cercarne il motivo, lo ho già capito da tempo, ormai lo so semplicemente: un amore, quello vero, mi coinvolge con tale forza che io, non sono più io. Quindi, paradossalmente, se vi innamorate di me è meglio che non mi innamori di voi, o quantomeno mi innamori in quantità limitata, a scartamento ridotto, altrimenti non funziona bene. Concetto semplice, pena crudele, no?
E così ti succede che ti risvegli un giorno e lei non c'è più. In una di quelle mattine pigre dei fine settimana di una Parigi che non si sveglia mai, con gli occhi ancora semichiusi, la luce che filtra appena, prima orizzontale nelle persiane poi verticale tra le tende, con addosso ancora il calore della notte, del sonno e dei sogni, con l'immaginazione di una colazione... Allora ti trovi a cercare le sue forme nel letto, a vagare un po' distratto con la mente appena accesa verso quelle colline e quelle valli, su quei sentieri che conoscevi a memoria e invece trovi solo le pianure di deserti di lenzuola, piatte e fredde come pack invernale sulla calotta polare.
E pensi che potresti aver solo sognato, sognato per mesi, per anni, non fosse che è passato appena un giorno e che per la casa restano piccole cose sparse, perse come indizi di un tempo in cui tutto questo doveva essere vero. Un tappo di champagne sotto il letto della seconda camera, dove da allora non dormo più, i pesci colorati nell'acquario, biglietti di ristoranti dove non ricordo di essere stato, nella libreria libri che non ho mai letto, nella dispensa cibi che non ho mai mangiato, nell'armadio abiti che non ho mai messo e nell'ipod musiche che non ho mai ascoltato. Come se qualcun'altro, estraneo, abbia vissuto in questa casa, parallelo a me per chissa quanto tempo, e io che non riesco a ricordare. 
Allora io devo operare un'anestesia. Un'anestesia non è un'operazione facile, però è un intervento che ti fa sentire bene: perdi la percezione di te stesso, della vita, di tutti i tuoi problemi e ti sembra di non averlo nemmeno mai avuto quel braccio e il bello è che non lo avverti più ancor prima che sia amputato. Basta l'anestesia e il dolore passa, tutto scorre come deve scorrere e si farà quello che si deve fare. Ora, messa così può sembrare che sia stato lasciato, invece la cosa strana è che in un certo senso ho preso io la  decisione. Un giorno ho iniziato a sentire da qualche parte dentro me stesso la mia stessa voce che mi chiamava, e mi chiedeva insistentemente se lei mi piacesse davvero oppure se solo mi dovesse piacere. Perchè lo so, me lo dicono tutti: lei è bellissima e ogni uomo - e pure qualche donna, penso - si metterebbe in coda per avere il privilegio di starle vicino per un attimo, nutrire la speranza di un'ora o una vita con lei. Peraltro penso che alcuni uomini questa fila già la facciano, che planino come uccelli da preda abbastanza incuranti di me che ancora non stò nemmeno troppo lontano.
Il problema è che volte però l'anestetico non funziona bene. Adesso le profondità del mio essere mi sembra inizino a chiedermi se ho fatto bene, se invece lei non mi piacesse davvero. Comincio pensare a quanto è strano che mentre eravamo assieme sentivo il bisogno stare da solo e da quando lei non c'è più mi sento incredibilmente, universalmente, disperatamente abbandonato. Inizio a chiedermi che senso abbia - e se abbia un senso - perdere tutto così, senza nemmeno una motivazione chiara, una ragione convincente. Insomma ora non ho più le idee chiare, non stao più bene con lei e non ci sto nemmeno senza di lei, non riesco a capirne il perchè, già che fin dal primo momento che l'ho incontrata non ho avuto dubbi sul fatto che questo mondo esiste solo perchè io possa incontrare lei e lei incontrare me. Così, siccome a questo riguardo ancora adesso dubbi non ne ho, non mi resta che provare a odiarla, cercare di detestarla come uno di questi giorni grigi, disdegnarla come queste sporche pioggie di Novembre che cadono talmente fitte sulla città da far capire indubitabilmente che arrivano dalle cateratte più profonde cielo e lo rendono buio, che da lassù sembra innaffino i balconi o abbiano perdite consistenti nelle tubature. Il vento che soffia fuori assume altri sensi, suona canti stranieri, i rami che bussano contro la finestra non sono più braccia di foglie e verde vita di clorofilla come nell'estate ma ombre che vorrebbero almeno far paura ma riescono solo ridicole a prenderti tristi al cuore, come i personaggi dei film di Tim Burton in stop-motion.
Il fatto è che le cose cambiano, cambiano le direzioni dei venti che adesso soffiano potenti sulle periferie: sopra Boulogne e su Saint-Ouen, spazzano Clamart e Bagnolet mentre io striscio controvento sui marciapiedi tra il quindicesimo e la peripherique e mi ritrovo a pensare che in fondo sarei pronto a fare di tutto per non perderla. Perchè con questi venti ci sarebbe bisogno di zavorre pesanti per restare ben saldi a terra, servirebbero grandi ancore Danforth, o CQR che sono buone tenitrici, oppure dei piccoli figli, delle Cecilie o dei Giacomini dalle forze inversamente proporzionali alle loro masse, alle loro apparenze. Invece noi, messi così, voliamo solamente via come foglie, ad aspettare la prima pioggia autunnale che ci infradici e ci sbatta tutti giù per terra in una sera di mezzo Novembre, contro qualche marciapiede chissà dove, ad aspettare che aprano i tombini e le acque di scarico - o un misericordioso camioncino della nettezza urbana - ci porti via. 

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