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Quei giorni in cui i Campioni del Mondo giocavano nei nostri prati

Creato il 08 gennaio 2016 da Faustotazzi
Quei giorni in cui i Campioni del Mondo giocavano nei nostri prati
In principio fu il metodo, fino agli anni trenta quella fu la tattica più diffusa nel gioco del calcio. Inventato nei college di Cambridge e portata al successo dai Blackburn Rovers che nella notte dei tempi - primi anni novanta dell'ottocento - ci vinsero cinque Coppe d'Inghilterra, il metodo per oltre un trentennio fece fortuna nel mondo intero. Il fulcro del metodo era il centromediano medodista, il giocatore che piazzato davanti alla difesa leggeva, dirigeva e distribuiva il gioco verso tutti i suoi compagni. I padri del metodo furono Vittorio Pozzo, antico allenatore della nazionale Italiana e il suo amico e rivale Hugo Meisl, a capo di quella Austriaca. Con il metodo, negli anni tra le due guerre l'Italia vinse due Campionati del Mondo nel 1934 e nel '38, l'Oro Olimpico del '36 e due Coppe Internazionali - l'equivalente di allora del Campionato Europeo - nel '30 e nel '35. Metodista era quel Bologna che vinse due Mitropa Cup  e fu soprannominato "lo squadrone che tremare il mondo fa", giocava secondo il metodo pure la Juventus del Quinquennio d'Oro: cinque scudetti consecutivi dal 1931 al '35.
Quello tra metodo e sistema fu un grande dibattito tra differenti scuole calcistiche in Italia e in tutto il mondo. Il metodo era un gioco meno fisico rispetto al sistema. Quelle metodiche erano squadre opportuniste, spesso giocavano con lanci lunghi che partivano dal centromediano metodista e giungevano ai centrocampisti avanzati per servire l'attaccante e finalizzare la manovra verso la rete. Il sistema entrò in Italia sulle ali del successo del Grande Torino che applicando questo modulo vinse cinque campionati consecutivi l'ultimo dei quali fu assegnato postumo d'ufficio dopo che la cavalcata trionfale in un torneo che stavano letteralmente dominando venne interrotta tragicamente dal disastro aereo di Superga. Il buon vecchio Vittorio Pozzo, troppo legato al metodo e troppo compromesso con i successi del passato regime Fascista, si diise nel '48. Lui e il suo metodo avevano fatto ormai il loro tempo, comunque avevano passato quasi vent'anni di successi sulla panchina della Nazionale. Col passare del tempo il sistema, che già era un modulo molto meno sbilanciato in attacco, continuò a rafforzare la fase di difesa. Il centromediano venne arretrato sulla linea dei difensori e da distributore di gioco  diventò l'uomo incaricato di opporsi direttamente al centrattacco avversario trasformandosi così da regista in stopper. Le marcature divennero più rigide e passarono da zona a uomo e infine per rinforzare la linea mediana del campo anche le due mezze ali vennero arretrate a formare una sostanziosa cerniera tra il reparto arretrato e quello avanzato dove rimanevano solo il centrattacco e le due ali. Negli anni '60, la grande Inter di Helenio Herrera decise di aggiungere un ulteriore uomo in difesa e il sistema diventò il catenaccio. Tutte le squadre avevano ormai abbandonato da tempo il metodo.
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Ma è ai tempi del metodo che risale la nostra storia, che come tutte le storie ha ormai sbiadito i suoi confini tra la realtà la fantasia, il ricordo e il mito. Tanto il metodo era un gioco bello e divertente quanto il catenaccio era fisico e duro: difesa e lancio lungo, difesa e lancio lungo a scavalcare gli avversari. Soprattutto nelle serie minori e meno tecniche diverse squadre vinsero parecchi campionati marcando a uomo e commettendo falli, tanto che alla fine tutti furono stanchi di subirne quindi abbandonarono la marcatura a zona e il metodo, passarono a uomo-contro-uomo, sistema e catenaccio e iniziarono fare falli a loro volta. Il gioco diventò più fisico e pesante e in inverno quando i campi erano intrisi di pioggia e pozzanghere si faceva ancora più duro e violento. Con il metodo invece, sui campi pesanti i giocatori sembravano giocare ancora più leggeri: era tutto un altro gioco il metodo, si vedevano di quei centravanti e di quelle mezze ali... 
Quelli furono i tempi d'oro del Calcio Crema, che allora era arrivato fino a giocare in Serie B. Un sacco di gente dai tutti i paesi vicini la domenica pomeriggio andava allo stadio per vedere la partita. Un anno arrivarono a uno spareggio con lo Spezia, giocarono a Melzo e persero. In quel Crema giocava Olmi, il campione del mondo. Poi c'era Cadregari un gran centravanti di quelli che sapevano come andare in gol, e c'erano anche Massa, Piloni e Boldizsàr. Boldizsàr era stato il portiere della nazionale ungherese, e calciava i rigori. Una notte scappò dal suo paese oltre la Cortina di Ferro ed arrivò a Crema (dove peraltro sposò un'amica della mamma, una certa Setti). Quando cominciò ad affermarsi il sistema il gioco si fece meno divertente e pian piano il pubblico iniziò ad abbandonare lo stadio, molti persero la passione e alla fine la squadra retrocesse. Cadregari finì al Napoli, Della Frera al Novara, Massa all'Inter, Piloni al Monza, sempre in serie A. Anche gli altri se ne andarono, il portiere Boldizsàr finì la sua carriera a Parma, in Serie C, e tirava sempre i calci di rigore. 
A quei tempi tutti al paese conoscevano bene i giocatori del Calcio Crema. Dal 1943 al 1945, durante la Repubblica di Salò, tutti i campionati vennero sospesi per motivi bellici e allora si organizzavano delle vere e proprie sfide nelle campagne. Loro venivano spesso a giocare nei prati dietro al paese la domenica pomeriggio. Mio padre e un'altra ventina di ragazzi partivamo la mattina e ripulivamo un grande prato dalle erbacce e dal letame che ci avevano sparso i contadini per fertilizzarlo, poi una volta sanificato il tutto piantavamo i pali delle porte e tracciavamo le righe del campo. Per le due del pomeriggio quando arrivavano giocatori e pubblico il campo da gioco era pronto! Ogni tanto arrivavano anche i Fascisti e allora si doveva mollare tutto e scappare per la campagna. Era un mondo che non esiste più. 
Dunque in quegli anni spesso i calciatori del Crema venivano ingaggiati per giocare a Trescore, erano tutti ragazzi che avevano fatto la B e anche la A. Nelle sfide tra i paesi vicini si giocava con Pandino, con Ombriano, con Casaletto... Casaletto aveva una bella squadra, ci giocavano ragazzi di Torino che erano militari a Bergamo, già tesserati per il Torino e per l'Atalanta, li pagavano per giocare e vincere con loro: 10, 20 o 30 lire a partita. Con noi giocava un ragazzo del paese che abitava proprio qui vicino, era il miglior calciatore di Trescore e giocava in Serie C. Era un portiere, un gran bel portiere. Una volta ci giocammo la finale di un torneo contro l'Ombriano, anche loro erano andati a cercare giocatori semiprofessionisti in giro e quell'anno avevano allestito una squadra davvero forte. Preparammo dei documenti falsi, Agostino che era impiegato al Comune falsificò delle carte d'identità e facemmo tornare il nostro portiere dal servizio militare per cinque giorni, apposta per giocare la finale. Ci prese sei gol: ogni volta che andavamo in vantaggio quelli subito pareggiavano col primo tiro. Alla fine perdemmo quella partita per 6 a 5, lo avremmo voluto ammazzare.
Era un portiere bravissimo... e si era venduto la partita. 
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Renato Olmi fu un grande protagonista del calcio italiano fra gli anni ’30 e ’40, considerato uno dei migliori centromediani metodisti di sempre. Iniziò a giocare in prima divisione nel Crema, poi in serie B con Cremonese e Brescia finché venne acquistato dall’Ambrosiana-Inter di Giuseppe Meazza con cui vinse scudetti e coppe e venne convocato per la Nazionale vincendo i mondiali di Francia nel ’38. Giocò anche nella Juventus, poi tornò all'Inter, alla Cremonese e al Crema in serie B. L’A.C. Crema gli ha dedicato la maglia numero 5 e gli ha intitolato la Curva Nord dello stadio Voltini. E’ ancora oggi considerato la leggenda del calcio cremasco.
Il portiere venduto si chiamava Mario, il suo soprannome era Chiì. Era davvero un amico di mio padre, poco più vecchio di lui, probabilmente del '17 o del '18. Un giorno la sua famiglia si trasferì a Milano dove aprirono un negozio di fiori che coltivavano qui in campagna. Era un gran bel ragazzone Mario, come pure bella era sua sorella Rina. Entrambi rimasero paralizzati alle gambe, dicono fu un olio avariato, forse il fondo di una damigiana. Rimasero entrambi in carrozzella.
Il Crema ritornò in C nella stagione 1947-48, nei tre anni successivi si salvò senza troppe difficoltà poi nel 1952-53 fini quattordicesimo e retrocesse in Quarta Serie. Oggi gioca con alterne fortune nel Girone C dell’Eccellenza Lombardia.
Così finiscono alcune belle storie che se mio padre non me le avesse raccontate e io non le avessi trascritte qui sarebbero molto probabilmente andate dimenticate.
Note: le memorie di papà sono introdotte da una nota su metodo e sistema i cui contenuti se non proprio la forma sono presi da Wikipedia. I dettagli sulla storia della squadra del Crema sono presi dal sito ufficiale http://www.ac-crema1908.com

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