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Mi scappa la pipì [gianbarly]

Da Gianbarly

Mi scappa la pipì  [gianbarly]Devo fare pipì. Il pensiero miscuote dal sonno profondo in cui mi sono immerso sul far dell’alba. Sento lavescica che mi scoppia, trattenuta solo dalla provvidenziale erezionemattutina. Lotto per un po’ contro la spiacevole sensazione poi, come d’abitudine,stendo il braccio verso l’altra metà del letto, ma ci trovo solo il freddodelle lenzuola.Non ho ancora voglia disvegliarmi e mi sistemo più comodo cercando di afferrare di nuovo il filo delsonno. Provo a rilassarmi ma è inutile, ho troppo bisogno di farla. Allora mialzo, senza praticamente aprire gli occhi. Sono deciso ad espletare la miafunzione e ad rinfilarmi immediatamente nel letto. Vado al bagno seguendo levie dell’abitudine, alzo la tavoletta ed appoggio una mano al muro, mentre ilmembro riprende lentamente la posizione di riposo. Ora sono fermo, in attesa. Unpensiero mi lacera il cervello: lei non è nel letto.
Quando mi scappa così forte,diventa un problema farla, il corpo ha fatto uno sforzo così intenso pertrattenerla che ora non gli riesce rilassarsi. Devo concentrarmi per spremerele prime gocce e intanto comincio veramente a svegliarmi. Lo so che non c’è.Apro finalmente gli occhi eguardo in basso: la pipì continua ad uscire piano, con piccoli schizzi cheprovoco contraendo i muscoli dell’addome. Sarà così fino a quando la vescicanon si sarà svuotata almeno in parte. Solo allora comincerà a fare il suolavoro. Quella stronza mi ha lasciato. Mentre il sonno svanisce e la mia mente emergecontrovoglia alla vita quotidiana, il getto della pipì comincia ad ingrossarsi.Ora finalmente sento dipotermi rilassare, lasciando che la natura compia automaticamente le suefunzioni. Un getto potente inonda il water ed io mi sento molto meglio. Unbrivido di piacere mi percorre la schiena, facendo scivolar via anche lesensazioni spiacevoli con cui mi sono svegliato. Ma chi se ne frega se mi halasciato. Me ne rido di lei, io.“Mi fai ridere, stronza!” urloalle pareti del bagno mentre una strana allegria mi invade tutto il corpo. Masì! Meglio così, non c’è dubbio. Mi metteva un’ansia, quella lì! Se ne è andatadicendo che c’è in me qualcosa che non va. Muovo allegramente con la mano ilmio pisello bagnando le pareti interne del water. “Ecco, ti pare che ci siaqualcosa che non va, in me? Guarda, stronza, come funzionano bene i miei reni!”Si è portata via i nostrifigli e questo mi dispiace. Di più, mi fa incazzare. Non doveva metterli dimezzo, doveva lasciarli fuori. Invece me li ha messi contro, quella troia! Leinon mi ha fatto male, quando se ne è andata. In fondo l’avevo capito chesarebbe finita così, era troppo diversa da me, non sarebbe mai riuscita acapire quello che ho dentro. Gretta e meschina come sua madre. Incapace di unvolo di fantasia, di vedere oltre ai semplici bisogni della quotidianità. Unpeso, che mi ha sempre impedito di volare veramente.Però non doveva mettermicontro ai miei figli. Loro sì, che mi hanno fatto male. Lo so io quanto hosofferto davanti allo sguardo imbarazzato di Luca e alla condanna senza appelloche emanava dal viso della mia Alice. Cazzo! Ma me li riprendo, lo giuro!Sistemo le mie cose, ora che la stronza non c’è più, e me li riprendo. Glielofaccio vedere, chi sono veramente io.La pipì continua a sgorgarepotente dai miei lombi, senza accennare a diminuire d’intensità. Lascia chesistemi due o tre cose che ho in sospeso, poi vedrai come cambia la musica. Leinon c’ha mai creduto in me. Ma non sono un idiota, so quel che faccio. E quandotutto sarà sistemato dovrà rimangiarsi ogni cosa e io mi riprenderò i mieifigli. Dovrà strisciare per terra, se vorrà rivederli; chiedermi scusa di tuttoquanto e implorare la mia pietà. Ma lei non la riprendo, questo no, è troppo.Mi tengo i ragazzi e lei che vada pure al diavolo. Qualcosa che non va, come sefossi malato. Rimpiangerà di averlo detto!Ora sono perfettamente sveglioe mi sento bene, tonico, pronto ad affrontare la giornata. Alla sensazionedolorosa della vescica troppo piena si è sostituito quel sottile senso digodimento che ti da una bella pisciata. Ma quanto l’ho trattenuta? E’ un saccodi tempo che sto urinando a pieno getto e ancora non accenna a smettere.Quant’è che sono qui? Guardo istintivamente il polso per vedere l’ora, ma nonho l’orologio, l’ho lasciato sul comodino. Cavolo, ne avevo veramente tanta dafare! Mi metto ad osservare il getto dalle infinite sfumature del giallo,esaltate dalla luce del sole che entra di sbieco dalla finestra. Decido che èil momento di smettere e faccio i consueti movimenti di quando si è terminatala funzione, ma inutilmente. Il mio corpo reclama la necessità di continuare.Sento come un brivido lungo la schiena, ma poi mi do dell’idiota. Probabilmentesono andato un po’ lungo con la fantasia e, in realtà, non è poi così tanto chesono qui. Lei me lo diceva sempre. “Ma cosa hai per la testa? Lo vedi che seisempre fra le nuvole e non ti accorgi di niente?” Sarà anche stato vero, nondico di no. Ma quello che mi faceva male era il tono con cui lo diceva, mifaceva sentire un idiota, inadeguato ad avere una famiglia e tutto il resto.Non era più capace di rivolgersi a me con un tono gentile o almeno comprensivo;ormai la sua voce mi feriva ogni volta che parlava. Meno male che se ne èandata.Intanto continuo a pisciarecon la stessa potenza di prima. Non sento quel senso di svuotamento cheinvariabilmente arriva dopo un certo numero di secondi. Mi prende lo sgomento.Secondi? Ma qua non sono secondi, saranno almeno dieci minuti buoni e ancoranon si decide a fermarsi! Mi guardo in giro smarrito, in cerca di una qualcheconferma. Faccio l’atto di andare in camera a prendere l’orologio, ma sonocostretto a restare lì, fermo davanti alla tazza. Se mi muovo allago di pipì ilpavimento. Oddio, cosa mi succede? Sono nel panico. Con una mano tengomeccanicamente il pisello che continua a buttar fuori pipì come se non dovessefar altro per il resto della vita. Non so cosa fare. Apro la bocca per urlare,per chiedere aiuto, ma in casa non c’è nessuno. Che diavolo mi sta succedendo?Non è possibile, non ha alcun senso. Tutti, quando fanno pipì, dopo un po’smettono. Potrà durare qualcosina di più, se hai bevuto tanto. Per esempiodella birra. Ma io non ne ho bevuto ieri sera e nemmeno troppa acqua, che miricordi. Cerco di calmarmi, di fare qualcosa di razionale. Allora, vediamo. Doun’occhiata al getto ma poi distolgo immediatamente lo sguardo perché sento ilterrore che mi assale di nuovo. No, devo essere concreto. Questa cosa non èpossibile, forse sto sognando. O semplicemente la mia mente ha dilatato iltempo che è trascorso da quando sono venuto qui. Sì, sono stati i miei pensieria farmi credere che la cosa duri da così tanto tempo.Faccio un respiro, profondo.Ora lo cronometro, anche senza orologio. Comincio a contare ad alta voce,scandendo bene le parole.“Milleuno, milledue,milletre…” Ho letto una volta che questoè il metodo che usano i soldati per essere sicuri di scandire i secondi. Arrivato a millecinquanta cedodi colpo e comincio a piangere. Cazzo mi sta succedendo? Da dove viene tuttaquesta pipì? Cosa faccio adesso? Sono qui, inchiodato davanti ad un water,senza poter far nulla. Vorrei che ci fosse lei, almeno. No, forse non è unabuona idea. Mi guarderebbe con disgusto, dicendomi “Ecco, te ne sei inventataun’altra!” e io mi sentirei un idiota, come se fosse veramente colpa mia.Però devo fare qualcosa, nonposso restare ancora qui con il pisello in mano. Mi serve un contenitore, unsecchio o una bacinella, per potermi spostare. Qui in bagno c’è solo ilbicchiere degli spazzolini. Troppo poco. La bacinella è giù, due piani piùsotto, in lavanderia. Bella fregatura avere una casa grande. Lei me lo diceva,che era troppo grande per noi. Fanculo! Poi, tanto se la prende la banca. Sicuroche se la prende. Quante volte ho dovuto sentire il ritornello. Ma ora lei nonc’è più e io devo arrivare fino alla bacinella senza allagare tutta la casa.Provo a stringerlo con ledita, come si fa con un tubo. Con uno sforzo riesco a ridurre quasi a zerol’uscita del liquido giallo, ma un dolore insopportabile mi preannuncia l’imminenteesplosione della vescica. Devo mollare, non è questa la strada. Allora prendofreneticamente l’asciugamano, lo giro velocemente intorno al membro, lo premopiù forte che posso sul ventre e comincio a correre disperatamente verso ilbasso. In pochi secondi la spugna si impregna completamente ed inizia agocciolare. Merda! Una striscia bagnata si stende lungo le scale. Arrivo allameta e posso finalmente urinare normalmente dentro alla bacinella. Ora devomuovermi, fare in fretta. Il telefono, devo arrivare al telefono per chiamareil dottore.Muoversi con una bacinella chesi riempie non è affatto semplice. E poi si deve anche stare attenti a farceladentro, con il coso che sembra farlo apposta a muoversi in continuazione. Perfare pochi metri ci metto una vita. Finalmente arrivo dal telefonino. Appoggiocon delicatezza la bacinella per terra e allungo la mano per prenderlo, semprecontrollando che il getto non vada di fuori. Ce l’ho! Ora però devo riprenderela bacinella e andare verso il bagno, perché ormai è quasi piena. Il liquidooscilla paurosamente sfiorando ogni volta i bordi. Facendo piccoli passi velociriesco in qualche modo a raggiungere il bagno e a versare la pipì nel water.Assieme al telefonino.Lo guardo sgomento incastrarsinella curva del cesso mentre continuo mio malgrado ad orinargli sopra. “Sai cara cosa ho fatto? Hodisdetto il telefono di casa. Tanto abbiamo i cellulari, a cosa ci serve? Unbel risparmio, non credi?”“Sarà …”Resto così, instupidito, perlunghi momenti. Alla fine è una sete mostruosa che mi scuote. Devo bere,assolutamente, subito. Riprendo la bacinella ed inizio un nuovo balletto.Arrivo in cucina e mi scolo una bottiglia da due litri. Intanto la bacinella èdi nuovo piena. Non ho tempo di tornare fino al bagno. Ma sì, chi se ne frega:la svuoto nel lavandino. Lo so che non si fa, che lei non vorrebbe. Ma che ciposso fare, cristo? Vorrei vedere lei nella mia situazione. Ma poi perchéfaccio tanti sforzi per non sporcare? Ne vale la pena? Quasi quasi mi metto ad orinaredirettamente nel lavandino. Ci ho tenuto tanto alla casa, a questa casa. E’stata il simbolo del mio amore per lei, la prova solida ed indistruttibile delnostro amore. Comincio con decisione a pisciare  direttamente sulle stoviglie. Sì! Le sto lavandocon la pipì! La bella casa a cui ho dedicato tante cure. Tanto se la prenderàla banca, è solo questione di giorni. Allora continuo a pisciare direttamentesul pavimento, muovendo in larghi gesti l’uccello, ora a destra ora a sinistra.Arraffo un paio di bottiglie e mi sposto in salotto, bagnando tutto quello chemi capita a tiro. Annaffio i suoi soprammobili, le piante nei vasi, il tappetoche ci ha regalato sua madre. Alzo il tiro per benedire i quadri alla parete,tanto non mi sono mai piaciuti.Ma sì! Mi piace inondare diliquido giallo tutto quello che mi è appartenuto. Lo vuole la banca? Se loprenda, piscio compreso! Apro i cassetti e li riempio, osservando ipnotizzatola cascata che dal più alto si riversa su quelli di sotto e poi giù fino al pavimento.Bevo e piscio, piscio e bevo.Devo marchiare tutto con i miei umori. Devo distruggere ogni cosa, corromperlacon questo dono che oggi il cielo mi ha dato. Finalmente ci vedo chiaro, sì! Mimuovo frenetico per ogni angolo, non devo lasciare nulla di intatto. Che vengala banca, che venga anche lei a pigliarsi questo ben di dio che esce potentedal mio corpo! Salto sul tavolo, rovescio la consolle e piscio anche su quella.Corro su nelle camere per inzuppare i letti e l’armadio quattro stagioni poi riscendodi corsa, inseguendo un pensiero: la dispensa! Mi ero dimenticato delladispensa, perdio. Sono esausto. Afferrol’ennesima bottiglia da due litri e mi lascio cadere sul divano. L’odore acredell’ammoniaca comincia ad ammorbare l’aria chiusa del salotto. In un attimosento che il liquido caldo ha impregnato completamente l’imbottitura. Chiudogli occhi e mi concentro sulla fantastica sensazione che mi da l’uccellonell’emettere quella straordinaria quantità di urina. Resto così per un tempoinfinito, assaporando la mia rivincita. Ora i miei pensieri sgorgano lisci,come la pipì che continuo a fare. La casa è persa, inutile piangerci sopra. Maa lei non la do a vinta. Ho delle risorse, io; mi bastano un paio di telefonatee mi rimetto in carreggiata. Nel giro di sei mesi, un anno vado dalla banca emi riprendo tutto. Anzi no, che me ne frega, mi riprendo solo i ragazzi e ce neandiamo a vivere da un’altra parte, magari viaggiamo per il mondo, loro nesarebbero felici, lo so.Ora però devo pensare a questacosa. Non potrò andare avanti così per molto. La sete mi costringe a berequantità enormi di acqua. Devo andare dal dottore, o al Pronto Soccorso, Sì,forse è meglio il Pronto Soccorso. Mi faccio rimettere in sesto e poi via,verso il futuro!Mi vesto in fretta e, mentre ipantaloni mi si appiccicano alle cosce, esco di casa con le braccia cariche dibottiglie e vado alla macchina ignorando la vicina che mi guarda con gli occhifuori della testa. Se non avessi le mani impegnate farei una pisciatina anchesu di lei, garantito.Per la macchina mi spiace unpo’, ci sono affezionato ma d’altra parte è vecchia e prima o poi andavacambiata. Guido nel traffico con i piedi affondati in un lago di piscio. Ognitanto afferro una bottiglia e bevo lunghi sorsi d’acqua. Il traffico è lento,ci metto una vita a fare qualche chilometro. Ma non si arriva mia, cazzo! Orasiamo fermi del tutto. Ne approfitto per bere di nuovo. Si riparte, ma solo perpochi metri. Comincio ad innervosirmi, non riesco a star fermo, le mani miballano sul volante. Passano i minuti e sono semprequi. Ho quasi finito l’acqua. Stizzito mi attacco al clacson, prendendomi gliaccidenti di quelli che mi passano accanto a piedi. Inutile, la fila non simuove, io non posso aspettare, devo andare all’ospedale, lo volete capire? Aproil finestrino e urlo a quello davanti di farsi da parte rimediando un bel paiodi corna. Esco dalla macchina per dirgliene due ma ci ripenso e rientro primache mi veda in questo stato. Cazzo, ho una dignità, io!La sete mi tormenta, ho finitole bottiglie. Quanto potrò resistere senza bere? Provo di nuovo a suonare.Inutile. Devo bere, ho troppa sete. La lingua mi si sta ingrossando e nonriesco quasi più a parlare. Se almeno ci fosse lei, saprebbe cosa fare. Cazzo,perché mi ha lasciato? All’angolo davanti a me c’è un negozio di alimentari.Esco dalla macchina ed entro per chiedere dell’acqua. Con un balzo ilproprietario mi è addosso e mi spintona fuori.“Ho sete”  cerco di dire.“Vergognati, disgraziato!” miurla lui spingendomi fuori. Cado sul marciapiedi senza più la forza di alzarmi.La gente mi evita con mormorii di disgusto. Protendo le mani per fermarli, maloro girano al largo, allungando il passo per non finire con le loro bellescarpe nella mia pipì.Ora comincio ad avere deidolori fortissimi che mi squassano le viscere. I miei reni sono esausti,stremati dal superlavoro. Ho bisogno di bere, un disperato, impellente bisognod’acqua. Cerco freneticamente di farmi capire da qualcuno. Gli automobilisti infila mi osservano e commentano fra di loro come davanti ad uno spettacolo.Cerco di strisciare via ma sono troppo, troppo debole. Appoggio la schiena almuro e mi lascio andare. Non penso più a niente, non ne ho la forza. Resto soload osservare il rivolo che continua ad uscire imperterrito dal fondo dei mieipantaloni. Non è più giallo ma rosa. Di un rosa via via più intenso. Striaturerosse di sangue si mescolano all’urina.Resto lì, seduto su unmarciapiede ad osservare la mia vita fuggire, portata via da un flussoininterrotto di piscio.Guardami, Lucia. Dove seiamore mio?

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